Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
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da Il Manifesto del 15 marzo 2005

«Trattate come schiave»

LECCE – E al terzo giorno di carcere si dimise. Don Cesare Lodeserto, dopo otto anni, ieri ha lasciato la guida della fondazione Regina Pacis, dove ha diretto sia il centro di permanenza temporanea, sia il centro per il reinserimento delle ragazze che volevano sottrarsi alla tratta della prostituzione. Le stesse ragazze che ora lo accusano di violenza, sequestro di persone e minacce. Oggi sarà interrogato nel carcere di Verona, dove ieri sono arrivati i suoi legali e uno dei pm che ha effettuato l’indagine, Imerio Tramis. Intanto l’ordinanza d’arresto firmata dal gip di Lecce Enzo Taurino, lunga ben sette pagine, contiene una valanga di accuse pesantissime. Il cpt descritto dall’accusa è il prototipo dell’istituzione totale, dove il senso della disciplina viene «malinteso»: le punizioni, le offese e i sequestri di persona servivano a «reprimere e punire sistematicamente i comportamenti scorretti delle ragazze». I giudici stigmatizzano il suo comportamento sottolineando che non si «comprende quale norma di legge, o quale regolamento, abbia attribuito a Lodeserto questo `ius corrigendì». Infatti, prosegue l’ordinanza, «non sussistono esigenze di sicurezza», considerato che il centro abitato dalle ragazze «mira al reinserimento sociale di persone che hanno subito gravi offese alla loro persona, sono state indotte alla prostituzione, minacciate e violentate». Ma quando don Cesare individuava un atteggiamento che non gradiva, secondo l’accusa, puniva e pure pesantemente. Un esempio di comportamento scorretto: rifiutarsi di lavorare in posti dove le ragazze, tramite il suo intervento, erano state assunte irregolarmente. Non solo: privandole del minimo necessario «impediva il loro reinserimento nel contesto sociale e limitava la loro libertà di movimento, offendendole e umiliandole».

I metodi punitivi erano diversi: «Il ritiro del cartellino personale e il divieto di uscire, oppure punizioni collettive per colpe che invece erano riferibili solo a una delle ragazze». L’impianto dell’ordinanza non si ferma qui: don Cesare avrebbe anche accusato, ma del tutto falsamente, un tenente colonnello dei carabinieri. Secondo il sacerdote, aveva costretto il titolare di un mobilificio a consegnare dei mobili in cambio della sua protezione. Resta invece coperto da un omissis un quarto capo d’imputazione. Di fatto, da tutto questo, emerge un dato: le ospiti del centro erano costrette a sopportare una pesante limitazione della libertà personale. Una di loro ha raccontato che, per poter uscire, tutte avevano «bisogno di un permesso». E il permesso era di una sola ora. In un’altra occasione, don Cesare Lodeserto, dovendo lasciare il centro peruno dei suoi frequenti viaggi all’estero, avrebbe ordinato ai suoi operatori di segregare una ragazza, alla quale aveva ritirato il cartellino di riconoscimento. Il motivo? L’aveva trovata in un luogo pubblico col suo fidanzato. Molte delle ragazze venivano prese a schiaffi. Infine, le motivazione dell’arresto: da un lato don Cesare potrebbe inquinare le prove, dall’altro, in qualità di responsabile del centro e presidente della fondazione Regina Pacis, può «reiterare analoghe condotte criminose». Ecco perché, molto probabilmente, s’è dimesso. In questo modo, a breve, potrebbe riacquistare la libertà.

Intanto non sono mancate illustri dichiarazioni di solidarietà. «Ha dato la vita per aiutare i poveri, gli immigrati e le prostitute e adesso viene travolto da accuse infamanti», commenta il ministro per le Politiche Comunitarie, Rocco Buttiglione.

L’accusa di sequestro è stata «enfatizzata», dice invece il presidente della Provincia di Lecce, l’ex senatore Giovanni Pellegrino. «L’arresto è stata una misura eccessiva», dice il regista Marco Tullio Giordana, «Sono convinto che riuscirà a dimostrare l’infondatezza di queste accuse». E un aiuto arriva anche da alcune ragazze del centro che accusano chi lo ha denunciato di averlo fatto per denaro. «Il suo principale accusatore», dice una di loro, «è una persona che prima lavorava qui come volontario e che poi è stata cacciata da don Cesare perché circuiva noi ragazze. Quelle volevano solo continuare a bere, ubriacarsi e stare con gli uomini: per questo don Cesare ha fatto come fa un padre. Le ha punite, non le ha fatte uscire, perchè voleva che capissero una cosa: dovevano cambiare vita».