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Tribunale di Varese: Riconosciuto il diritto al risarcimento del danno da discriminazione etnico-razziale

Il risarcimento del danno non patrimoniale disposto a favore della vittima di una aggressione per motivi razziali.

Con un’interessante ed apprezzabile sentenza, il Tribunale di Varese, sezione distaccata di Luino (dd. 23-27 aprile 2012 n. 31 est. G.Buffone), ha disposto il risarcimento del danno non patrimoniale patito dalla vittima di una aggressione per motivi razziali. In data 1 dicembre 2001, un uomo di colore stava viaggiando su di un autobus e si limitava a salutare, in maniera educata, uno dei passeggeri. Quest’ultimo non gradiva il saluto dichiarandosi “razzista” e “contro i musulmani” e, poco dopo, contattava telefonicamente alcuni amici, i quali alla fermata del mezzo pubblico aggredivano l’uomo anche a bastonate procurandogli lesioni al capo. In relazione a tali fatti, il Giudice per le indagini preliminari di Varese, con sentenza 4 luglio 2003, applicava nei confronti degli imputati una pena “patteggiata” con il Pubblico Ministero.

A seguito della causa civile successivamente promossa dalla vittima dell’aggressione, il giudice di Varese ha dunque disposto il risarcimento non solo del danno biologico e morale (personalizzato) patito dall’uomo, ma anche del danno non patrimoniale da lesione del diritto a non subire discriminazioni. Il giudice di Varese ha infatti ritenuto che, “nel caso di specie, effettivamente, accanto ad una lesione del benessere psico-fisico del danneggiato, l’atto di violenza ha pure violato, in modo gravemente offensivo e serio, un altro bene giuridico a protezione costituzionale, ovvero quello all’identità culturale e personale, quale risvolto applicativo del diritto a non subire discriminazioni e trattamenti offensivi fondati su ragioni di tipo razziale”. Il giudice ha altresì precisato che “il subire una gravissima violenza fisica, per il solo fatto di essere senegalese, ha causato [nella vittima] una lesione al diritto a non essere discriminato nel territorio italiano, in ragione della provenienza geografica”. Pertanto, secondo il giudice di Varese, “il diritto a non subire discriminazioni costituisce un diritto che, se leso, consente autonomo risarcimento non patrimoniale (2059 c.c.) poiché interesse tipizzato già in via legislativa (v. Trib. Milano, 23 settembre 2009 in Corriere del Merito, 2010, 1, 19) ed a protezione costituzionale”. Il giudice afferma come tale orientamento trovi sostegno nella giurisprudenza di Cassazione. Le stesse Sezioni Unite del giudice di legittimità (Cass. civ., Sez. Unite, 11 novembre 2008 , n. 26972) avrebbero chiarito come “la violazione delle norme che vietano la discriminazione razziale costituisce una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato”, per cui il giudice conclude che “in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento”.

Detto ultimo danno, tenuto conto della indubbia gravità del fatto, è stato liquidato dal giudice di Varese con una somma pari a quella riconosciuta a titolo di danno alla salute (ovvero con la somma di Euro 60.800,00 per un risarcimento totale di Euro 121.600,00).

La pronuncia del giudice di Varese è significativa in quanto sostiene un filone di giurisprudenza favorevole all’autonomo riconoscimento del danno da lesione del diritto a non essere discriminati, in quanto collegato ad un bene giuridico e ad una situazione soggettiva costituzionalmente protetta. Recentemente, il risarcimento del danno non patrimoniale da discriminazione era stato riconosciuto dal Tribunale di Brescia. Con ordinanza depositata il 31 gennaio scorso, il giudice di Brescia ha ritenuto che l’esposizione pubblica sulla vetrina della sezione cittadina della Lega Nord di Adro (prov. di Brescia) di un manifesto dai contenuti e toni offensivi nei confronti della segretaria locale della CGIL, impegnata a contrastare le iniziative discriminatorie del movimento leghista locale a danno degli immigrati stranieri, ha costituito una molestia razziale, proibita dalla direttiva europea n. 2000/43/CE, recepita in Italia con il d.lgs. n. 215/2003. Con l’ordinanza, il giudice di Brescia ha disposto anche la condanna al risarcimento del danno non solo a favore dell’ attivista della CGIL, ma anche a favore delle associazioni ricorrenti che sono state ritenute esse stesse danneggiate dall’utilizzo di espressioni lesive della dignità di tutti gli immigrati.

Ugualmente, con l’ordinanza nel procedimento n. 16945/2011, depositata il 22 marzo scorso, il giudice del Tribunale di Milano ha dichiarato il carattere discriminatorio della condotta tenuta da EXTRABANCA s.p.a., in relazione ai comportamenti assunti dal suo presidente ed altri dirigenti nei confronti di un loro dipendente subordinato e che sono stati riconosciuti dal giudice quale forme di molestia a sfondo etnico-razziali proibita dal d.lgs. n. 215/2003 attuativo della direttiva europea sul contrasto alle discriminazioni etnico-razziali (direttiva n. 2000/43). Anche in questo caso, il giudice ha disposto il diritto della vittima del comportamento discriminatorio al risarcimento del danno non patrimoniale da discriminazione, ovvero risultante dall’oggettiva violazione del diritto fondamentale alla tutela della propria dignità, fissato in via equitativa nella somma di 5,000 euro. Nel corso dell’istruttoria che ha portato all’ordinanza, il giudice aveva infatti ritenuto sufficientemente provate, anche in relazione al principio del bilanciamento dell’onere probatorio nei procedimenti giudiziari anti-discriminazione di cui all’art. 8 della direttiva n. 2000/43, le evidenze apportate dal ricorrente secondo le quali il presidente della filiale bancaria e altri suoi dirigenti avevano usato espressioni offensive nei confronti del ricorrente e di un altro dipendente subordinato facenti riferimento al colore della pelle e all’origine africana di quest’ultimi, con la conseguenza oggettiva di aver creato un clima offensivo ed umiliante nell’ambiente di lavoro, con questo configurando una molestia a sfondo etnico-razziale proibita dalla direttiva europea n. 2000/43 (“comportamento indesiderato adottato per motivi di razza o di origine etnica e avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo”). In particolare, il presidente della banca aveva cercato di dissuadere il ricorrente dalla sua candidatura alle elezioni comunali, facendo riferimento al suo colore della pelle e accomunandolo “agli zingari e ai musulmani che …vogliono rovinare Milano”. Inoltre si ra rivolto al ricorrente e ad un altro dipendente di colore utilizzando gli epiteti di “negri africani” che stanno “creando troppi problemi”, asserendo espressamente che “avere troppi negri non poteva giovare alla banca” e che pertanto era meglio assumere “una persona con un colore più chiaro”. Inoltre, in un’occasione si era rivolto al ricorrente dicendogli che non poteva pretendere un posto manageriale, poiché “era in caserma, che nessuno aveva bisogno della sua intelligenza”, che gli “stranieri pretendono troppo, soprattutto quelli che hanno la cittadinanza…devono sapere che sono ospiti”.

Per quanto riguarda, il risarcimento del danno da lesione del diritto a non essere discriminati, in relazione a fattori diversi dall’elemento etnico-razziale, va ricordata la sentenza n. 4929 dd. 8 marzo 2012, con la quale il Tribunale di Roma, sec. Sez. civile, ha accolto il ricorso anti-discriminazione presentato da un disabile unitamente all’Associazione Luca Coscioni contro il Comune di Roma per la mancata rimozione delle barriere architettoniche dai marciapiedi in corrispondenza delle fermate dell’autobus utilizzate dal disabile.

Il Tribunale di Roma ha riconosciuto che l’esistenza di barriere architettoniche, tali da impedire al disabile di salire sul mezzo di trasporto pubblico, configura una discriminazione indiretta a danno dei disabili, mettendoli di fatto e nei risultati in una posizione di svantaggio rispetto alle altre persone. Il Tribunale di Roma ha ordinato dunque al Comune di Roma di realizzare entro 12 mesi un piano per la messa a norma dei marciapiedi corrispondenti alle fermate dei bus utilizzati dal ricorrente. Il Tribunale di Roma ha riconosciuto in favore del ricorrente il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, quale risultante dall’oggettiva violazione del diritto fondamentale alla libertà di circolazione, e fissato in via equitativa nella somma di 5,000 euro.

Nell’ambito del divieto di discriminazioni fondate sul fattore religioso, va ricordata invece l’ordinanza del Tribunale di Padova (dd. 30.07.2010 – proc. n. 1667/2010), in composizione collegiale, con la quale ha accolto il ricorso presentato dai genitori di un’alunna di Istituto scolastico di Padova che lamentavano la discriminazione subita dalla figlia a causa della mancata attivazione di attività didattiche formative alternative all’insegnamento della religione cattolica. Ne era conseguito il fatto che per alcuni mesi la figlia era stata trattenuta nell’aula della propria classe durante lo svolgimento dell’ora di religione cattolica, pur avendo i suoi genitori dichiarato la facoltà di non avvalersene, mentre successivamente era stata destinata in classi parallele ove si tenevano gli insegnamenti curriculari previsti per le stesse. La dirigenza scolastica aveva giustificato la mancata attivazione degli insegnamenti alternativi con la mancanza di mezzi economici. Secondo il Tribunale di Padova, nella categoria contemplata dall’art. 2059 c.c. relativamente al danno non patrimoniale, debbono essere ricompresi tutti i danni derivanti da lesioni di valori inerenti alla persona: e dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto inteso come lesione dell’interesse costituzionalmente garantito all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico; sia infine il danno derivante dalla lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti alla persona ( quello che in dottrina viene spesso definito danno esistenziale). Rifacendosi alla più recente giurisprudenza costituzionale e di cassazione (n. 4712/08), in sostanza, “il danno non patrimoniale [richiamato all’art. 2059 c.c.], si identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica” per cui “la lesione del valore costituzionale della persona rende applicabile la presunzione di un danno che si riverbera sulla persona offesa”. Nel caso in specie, due erano i valori costituzionali della persona offesi dal comportamento discriminatorio dell’istituto scolastico che non aveva garantito l’attivazione dell’insegnamento alternativo a quello della religione cattolica: la libertà religiosa e la libertà d’istruzione.

La sentenza del Tribunale di Varese, sez. dist. di Luino

a cura del servizio anti-discriminazioni dell’ASGI. Progetto con il supporto finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS