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Trieste – Falsa sanatoria, vere espulsioni

La Questura del capoluogo giuliano da un po’ di tempo sembra aver fatto propria la linea dura promulgata dalla Lega Nord in materia di immigrazione clandestina ed in questi ultimi mesi sembra proprio voler fare da apri pista nella crociata contro i migranti senza permesso di soggiorno che hanno cercato di regolarizzare la loro posizione attraverso l’ultima sanatoria per colf e badanti.

Per capire quello che sta succedendo dobbiamo fare un salto indietro di un mese circa, quando a metà febbraio l’ufficio immigrazione della Questura di Trieste decise di cambiare la propria interpretazione rispetto all’articolo 14, comma 5ter del testo unico sull’immigrazione. L’articolo in questione è quello che stabilisce una pena da uno a quattro anni per il reato di inottemperanza al provvedimento di espulsione, in altre parole l’articolo della legge che si applica a chi viene fermato per la seconda volta da senza documenti e fa scattare la denuncia. Da febbraio, secondo la Questura, la condanna per il reato di cui all’articolo 14 comma 5ter è considerata ostativa al rilascio del permesso di soggiorno e cioè rientra tra quei reati previsti dagli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, per i quali è proibita la regolarizzazione (articolo 1ter, comma 13, legge 102/09). Quindi se sei clandestino ma ti hanno fermato una sola volta la tua regolarizzazione attraverso la sanatoria per colf e badanti va avanti, se invece hai avuto la sfortuna di esser stato “pizzicato” dopo aver ricevuto il primo provvedimento di allontanamento, conosciuto come “foglio di via”, la tua regolarizzazione si ferma e torni ad essere un migrante a rischio espulsione.

A fare le spese di questo cambio di rotta era stato un cittadino senegalese che a metà febbraio si era visto convocare in Questura dall’ufficio immigrazione con la scusa di espletare le ultime procedure per la sanatoria. Una volta presentatosi in Questura si è visto notificare il decreto di espulsione ed è stato portato a Milano ed imbarcato sul primo volo per Dakar. Poi è arrivato lo sciopero degli stranieri del primo marzo e l’interpretazione restrittiva della Questura era finita prima sul giornale cittadino, poi sulle pagine di Repubblica dove nell’articolo emergeva la discrepanza fra le diverse questure della penisola nell’interpretare l’articolo 14 come ostativo o meno per la regolarizzazione. Poi solo il silenzio, ogni questura continuava a fare a modo suo, dal Ministro dell’Interno nessuna precisazione. L’imbarazzo era evidente, prima Maroni emana una sanatoria per clandestini e poi salta fuori che alcuni sono “più clandestini” di altri e cambiando quindi le carte a gioco ancora in corso, trasforma il tentativo di regolarizzare la propria posizione in una auto-denuncia di clandestinità. A tirare fuori dall’imbarazzo il ministro ci ha pensato a metà marzo il Capo della Polizia Manganelli attraverso una circolare in cui ribadiva la correttezza dell’interpretazione adottata dalla Questura di Trieste. In pratica, Governo e Parlamento fanno le leggi, poi la Polizia decide come si interpretano.

A Trieste però negli uffici della Questura non si accontentano. Erano nel giusto ed il loro capo l’ha ribadito, nel silenzio costante del capo del capo però. C’è voglia di stringere le maglie, c’è voglia di espellere.

L’occasione si presenta il 26 marzo, sempre per una procedura di regolarizzazione attraverso la sanatoria di cui prima, sempre un cittadino senegalese. In questo caso l’articolo 14 non c’entra, la Questura ha dato parere negativo a causa della mancanza dei requisiti necessari a carico del datore di lavoro. E’ il caso di un ragazzo senegalese che doveva esser assunto da un suo connazionale, questo non aveva un reddito sufficiente per l’assunzione e quindi aveva deciso di unire il suo reddito con quello dei suoi fratelli con cui condivide la casa. La Questura non riconosce uno dei fratelli come tale, richiede carte che far arrivare dal Senegal è difficile se non impossibile. Risultato: datore di lavoro non in possesso dei requisiti necessari, procedura chiusa con diniego, decreto di espulsione. Ma negli uffici della Questura sanno che una convocazione non avrebbe effetto, la diffidenza da parte dei cittadini migranti nei loro confronti ormai è sulla bocca di tutti. E qui arriva il “salto di qualità”, l’efficienza ereditata dai rigorosi asburgici fa partire una pattuglia dei carabinieri diretta a casa del cittadino senegalese, d’altronde nelle carte della procedura di regolarizzazione il migrante è tenuto a specificare la dimora. Ed è li che lo vanno a cercare e lo trovano, direttamente a casa, preso e portato dal giudice di pace per convalidare l’espulsione. Non contenti identificano anche un altro cittadino senegalese presente in quella casa e scoprono che è senza permesso di soggiorno pure lui. Anche lui viene portato dal giudice di pace dove però giungono anche le carte dell’ospedale di Trieste che certificano al migrante in questione una grave malattia per cui dev’essere sottoposto ad un intervento previsto appunto per la prossima settimana. Espulsione non convalidata ma foglio di via prontamente consegnato.

Tutto questo succede a Trieste, città in cui ora ci sono decine di migranti che volevano e vogliono regolarizzare la loro situazione e che avevano intravisto un barlume di speranza attraverso la sanatoria per colf e badanti. Ma su quel lume c’è una Questura che sta soffiando sempre più forte.

Melting Pot – Friuli Venezia Giulia