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Trieste – Processo per manifestazione contro CPT

Comunicato dell'associazione Ya Basta Trieste

Il 24 ottobre 1998 una manifestazione per la chiusura del Centro di Permanenza Temporanea presso il Porto Vecchio di Trieste venne pesantemente caricata dalla polizia per impedire a una delegazione della società civile e dei movimenti antirazzisti di svolgere un sopralluogo nella struttura. Lo scopo dei manifestanti era quello di rivelare a tutti le effettive condizioni di vita in cui erano costretti i migranti rinchiusi dentro il CPT, realizzato non a caso in una zona franca e quindi praticamente inaccessibile a legali, associazioni di volontariato e mass media. Sorprese tutti, all’epoca, il fatto che ai manifestanti era stato dapprima garantito l’accesso nell’area portuale, quindi lo stesso era stato inspiegabilmente negato con un’improvvisa carica che causò anche diversi feriti e contusi.

La delegazione infine riuscì caparbamiente ad entrare: la situazione che venne documentata dall’interno del CPT era talmente indegna di un paese cosiddetto civile e democratico – condizioni igieniche insostenibili, decine di persone stipate in pochi metri quadri, denunce di maltrattamenti – da costringere l’allora ministro dell’Interno Rosa Russo Jervolino, achiudere definitivamente la struttura solo pochi giorni dopo quella stessa manifestazione a cui avevano partecipato migliaia di persone – unico caso in Italia di chiusura definitiva di una struttura simile.

Venerdì 19 marzo 2004 presso il Tribunale di Trieste si svolgerà l’ultima udienza del processo contro gli attivisti antirazzisti denunciati in seguito alle cariche della polizia. 33 persone rischiano di essere condannate per aver espresso il rifiuto etico e politico di strutture detentive in cui vengono rinchiuse persone che non hanno commesso reati ma hanno come unica colpa il fatto di essere migranti stretti tra la necessità di fuggire a guerre e povertà, e il cappio di leggi repressive e disattente che nel nord del mondo le costringono alla clandestinità.

Noi crediamo che era necessario che la società civile entrasse in quel CPT e sappiamo essere stato un merito di quella manifestazione l’aver portato alla sua chiusura. Dalla cronaca di giornali e televisioni di quei giorni, e dalle testimonianze dei molti che a quella giornata presero parte, risulta chiaro che la richiesta di entrare nell’area portuale era del tutto legittima: già ci stupisce che si sia voluti arrivare ad un dibattimento contro questi manifestanti – uno dei quali venne ferito addirittura da un lacrimogeno sparato ad altezza d’uomo – ma ci preoccuperebbe e indignerebbe l’eventuale condanna di persone che hanno avuto il “torto” di rifiutare che simili strutture rappresentino la risposta delle istituzioni all’aspettativa e al sogno di una vita migliore per milioni di persone.

Nell’affermare la nostra solidarietà agli inquisiti, ci uniamo a quanti in queste settimane, nelle istituzioni e nei movimenti di tutto il nordest, si stanno mobilitando contro la paventata apertura di un CPT in provincia di Gorizia: la nostra terra è da sempre terra di migrazioni e una simile struttura sarebbe un affronto alla sua storia di accoglienza e multiculturalità.