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Tunisia-Europa, il burden sharing impossibile

Centodiciotto richiedenti asilo tunisini bloccati a Bologna e rispediti al Cara di Crotone

Noi li vediamo al Piazzale Est della stazione, uno schieramento di agenti di polizia di ogni tipo – funzionari, celere, agenti in borghese, digos, polfer – ci impedisce di avvicinarci, mantenendoli tutti in una sorta di isolamento. Cerchiamo di comunicare con loro, urliamo domande in francese, sempre in francese parliamo al megafono: sorridono, ma non replicano. Vengono da Bari, Brindisi, Crotone, ma in realtà sono partiti dalla Tunisia una settimana fa, sarebbero parte di quel “flusso di clandestini” sbarcato a Lampedusa che tanto allarma il Ministro Maroni, al punto di allertare un contingente di 200 soldati, assegnare la gestione dell’”invasione” alla Protezione Civile e minacciare l’invio di agenti italiani in Tunisia, affermazione che in tempi normali causerebbe un incidente diplomatico internazionale.

Ma la politica del clamore e dell’emergenza straordinaria che sempre ha contraddistinto i discorsi sull’immigrazione va ancora oltre: potrebbero arrivarne altri 80mila! Eppure finora si parla di circa 4500 persone, cifre di una movimentazione ordinaria di persone che sbiadisce di fronte ai numeri degli internally displaced, i profughi costretti a spostarsi all’interno di uno stesso continente, paese o di zone geografiche contigue.

Ma chi sono questi ragazzi tunisini che ci guardano dai vetri attraverso il cordone di poliziotti? Terroristi, come dice Maroni? Oppositori di Ben Ali?

Perché hanno lasciato la Tunisia in questo momento, proprio quando sembra aprirsi uno spiraglio di speranza per la democrazia e la libertà in quel paese? Non conosciamo le loro storie, non sappiamo se si oppongano al Governo di Ben Ali o magari lo sostengano, nel no comment dei funzionari dell?ufficio Stranieri della Questura riusciamo a farci qualche idea solo conversando con i familiari che ora dopo ora arrivano trafelati al piazzale est per mettersi in contatto con fratelli, cugini, nipoti, cognati tenuti in stato di fermo, bloccati nella sindrome dell’emergenza che permette di tenere rinchiuse dalle 6 del mattino fino alle 13 centodiciotto persone.

Ci stupisce questa presenza di tanti parenti venuti da Parigi e da Lione che candidamente ci chiedono di dire alla polizia che sono lì per recuperare tizio o caio, che li vogliono prendere e portare con sé, che sono venuti apposta, che sono stanchi perché hanno guidato a lungo, prima sono passati da Torino, poi da Milano e infine hanno saputo di Bologna. Allora ci sembra già più chiaro che i tunisini bloccati si sono messi in viaggio anche per ricongiungersi alle loro famiglie, per raggiungere parenti francesi, e che lo hanno potuto fare perché in questo momento sono saltati i controlli delle autorità sulla costa tunisina, da dove per anni era impossibile partire per andare dall’altra parte, cogliendo un’occasione che potrebbe non ripresentarsi più. Quello che le leggi sull’immigrazione impediscono, ossia raggiungere i parenti in Europa, anche solo per andarli a trovare, oggi si può fare, e questi ragazzi sembrano aver colto al volo l’occasione.

E mentre il Governo italiano esorta l’Unione Europea a condividere il peso degli arrivi sostenendo che la questione non riguarda solamente l’Italia, ci sembra che i legami parentali transnazionali stiano già praticando in maniera autonoma il cosiddetto “burden sharing”, facendo il possibile per non lasciare questi tunisini in Italia, dove peraltro non vogliono proprio rimanere. Ma ecco che i regolamenti europei sono il principale ostacolo ad una normale distribuzione dei migranti e rifugiati in Europa, perché se il regolamento di Dublino affida al primo Stato di ingresso la facoltà di riconoscere il diritto di asilo, allora l’Italia è una meta obbligata, il soggiorno qui un destino di tutti. E anche noi, che chiediamo l’accesso alla procedura d’asilo, il diritto alla protezione internazionale, ancora una volta vediamo questo diritto accartocciarsi su se stesso e ritorcersi contro questi giovani tunisini, che alla fine della giornata, dopo estenuanti procedure di schedatura e controllo, sono caricati sull’aereo e rispediti al Cara di Crotone, “a garanzia della procedura d’asilo” ci viene detto dagli ispettori della Questura. In nome del diritto di asilo davanti ai nostri occhi oggi sono state separate le famiglie, sbriciolati i sogni, impedito che sia l’Europa – quella delle persone in carne ed ossa – a farsi carico della questione. Per non parlare di che fine ha fatto la libertà.

Neva Cocchi, Sportello Migranti TPO

Foto di Sara Gorgoglione