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Tunisia – La situazione dei migranti nel centro della Mezzaluna rossa a Médenine

Il rapporto sulla missione di inchiesta del Forum Tunisino per i diritti economici e sociali

Introduzione

Il centro della Mezzaluna rossa di Médenine ha aperto le porte in seguito alla decisione dell’UNHCR di chiudere il campo di Choucha nel giugno 2013 con l’obiettivo di dare una risposta urgente al forte aumento di migranti che attraversano la frontiera libica per rifugiarsi in Tunisia. La volontà era di inserire questi rifugiati in un quadro di accoglienza più appropriata 1 e rispettosa della loro dignità.

Il centro di accoglienza per migranti, Al Hamdi, a Médenine (Foto: Alice Passamonti)
Il centro di accoglienza per migranti, Al Hamdi, a Médenine (Foto: Alice Passamonti)


La città di Médenine si trova a un centinaio di km dalla frontiera libica e ha accolto un gran numero di migranti che sono stati spostati in seguito alla chiusura del campo precedentemente citato.

Il Forum tunisino per i diritti economici e sociali (FTDES) 2, proprio in funzione della sua missione per il rispetto dei diritti dell’uomo in Tunisia, ha giudicato importante istruire questo rapporto.

Il rapporto, redatto nel gennaio 2019, analizza le condizioni di vita dei migranti nel centro e sul contesto migratorio che ha portato questi esseri umani a vivere i drammi di cui hanno potuto testimoniare.

Il FTDES spera così di fornire alla società civile tunisina e internazionale una fonte di informazione diretta e un supporto per le rivendicazioni che cercano di riconsiderare i diritti e le condizioni di vita dei migranti e rifugiati in Tunisia.

Preoccupati dalle informazioni degli arrivi dei rifugiati quasi settimanali durante un mese, il FTDES ha deciso di andare sul posto per analizzare la situazione in questa città a sud della Tunisia.

Questo documento fa il bilancio delle raccomandazioni formulate dal FTDES in seguito all’inchiesta e alle interviste realizzate con le persone ospitate nel centro a novembre 2018.
Leggi il rapporto in francese o di seguito in italiano

I. Il centro della Mezzaluna rossa di Médenine

Cortile interno del centro di accoglienza per migranti, Al Hamdi, a Médenine (Foto: Alice Passamonti)
Cortile interno del centro di accoglienza per migranti, Al Hamdi, a Médenine (Foto: Alice Passamonti)


Il centro, punto di riferimento per le persone che attraversano la frontiera, accoglie oggi la maggior parte dei migranti nel governatorato. Grazie all’intervento dell’UNHCR il 21/10/2018 dopo un tentativo di respingimento alla frontiera libico-tunisina di un gruppo di richiedenti asilo da parte delle autorità tunisine, i richiedenti asilo sono stati ammessi al centro e ospitati.

Gli esempi si succedono. Il 9/12/2018, uno dei richiedenti asilo del centro ha inviato al FTDES le fotografie di 5 nuove persone arrivate che non sono state ospitate e che non hanno ricevuto né acqua né cibo da parte dell’UNCHR o della Mezzaluna rossa tunisina. Due giorni più tardi, le 5 persone non erano state ancora accolte e prese in carico.

L’8/01/2019, un contatto del FTDES ha affermato che i coupon alimentari del centro non venivano forniti da più di due settimane. Secondo lui, le condizioni di accoglienza del centro non sono più accettabili ed alcune persone dovranno lasciarlo. La stessa cosa era accaduta nell’agosto 2018 quando una ventina di persone avevano lasciato il centro perché non potevano più resistere nelle condizioni di vita disumane 3.

Sul posto, l’equipe ha potuto realizzare delle interviste con sei uomini e donne, minorenni e maggiorenni, le cui identità non saranno rivelate e che hanno confermato numerose similitudini.

L’igiene e la salute

I bagni del centro di accoglienza per migranti, Al Hamdi, a Médenine (Foto: Alice Passamonti)
I bagni del centro di accoglienza per migranti, Al Hamdi, a Médenine (Foto: Alice Passamonti)



Le sei persone hanno testimoniato che le condizioni d’igiene del centro erano deplorevoli.

C’è un numero insufficiente di docce e bagni, condivisi da tutte le persone del centro (adulti e bambini) e raramente puliti, una scarsa disponibilità d’acqua calda e a volte manca l’acqua nei bagni.

Le donne denunciano una mancanza d’intimità e alcune riferiscono di aver subito addirittura delle aggressioni sessuali nelle docce.
Viene denunciato anche lo stato della cucina. La cucina è troppo piccola, le persone sono obbligate a mangiare nella sala TV o in camera. E’ spesso sporca e dispone di un solo frigorifero per più di cento persone.

I nuovi arrivati a volte hanno aspettato più di due settimane per ottener il kit igiene normalmente distribuito all’arrivo (spazzolino, sapone, dentifricio…).
Le coperte e i vestiti caldi per l’inverno non sono stati distribuiti in tempo né in quantità sufficienti malgrado il freddo nel centro.

In conclusione, il rispetto delle norme igieniche e le condizioni di salute mostrano delle mancanze importanti.

Le condizioni alimentari

La cucina del centro di accoglienza per migranti, Al Hamdi, a Médenine (Foto: Alice Passamonti)
La cucina del centro di accoglienza per migranti, Al Hamdi, a Médenine (Foto: Alice Passamonti)



Le persone intervistate hanno sottolineato con forza l’insufficienza dei 20 dinari tunisini distribuiti ogni settimana ad ogni persona per il cibo sotto forma di un buono da presentare al fornitore imposto. Questa somma deve anche coprire l’acquisto di bisogni come acqua potabile assente al centro e l’assenza della copertura delle spese supplementari dei trasporti.

Questa situazione ha portato alla scoperta di furti di cibo che nuocciono alla sicurezza e la serenità dei luoghi. Le testimonianze sono unanimi nel considerare che la somma di 20 dinari tunisini non copre i bisogni in prodotti di prima necessità.

La mancanza di personale

Gli intervistati hanno riferito della mancanza di personale sufficiente e molta riserva rispetto ai comportamenti verso di loro. Nel centro ci sarebbero tra 7 e 9 impiegati tra agenti di sicurezza, donne delle pulizie e autisti per più di 100 persone e non riescono a gestire tutte le richieste.

L’autista è raramente disponibile anche per le emergenze, è in contatto con l’ospedale sapendo che non c’è personale medico qualificato. Per questo, malgrado le sofferenze, si ricorre a degli appuntamenti con dei tempi di attesa molto lunghi per le visite all’ospedale.

FTDES è preoccupato per l’assenza di restrizioni all’accesso al centro e alla sua apertura totale che crea il problema della sicurezza dei residenti. Inoltre lo staff, ha chiesto di non comunicare con i giornalisti o persone che intervengono dall’esterno e offre poche opportunità di comunicazione con la famiglia, rinforzando così la sensazione di isolamento e d’insicurezza.

Le persone ascoltate hanno anche denunciato il comportamento sgradevole e a volte irrispettoso del personale che non ha nessuna qualifica per il loro inquadramento e l’assistenza necessaria per un ritorno volontario, le richieste d’asilo o sulla vita in Tunisia.

L'ingresso principale del centro di accoglienza per migranti, Al Hamdi, a Médenine (Foto: Alice Passamonti)
L’ingresso principale del centro di accoglienza per migranti, Al Hamdi, a Médenine (Foto: Alice Passamonti)


L’accesso all’informazione

Durante le interviste per la richiesta d’asilo con l’UNHCR, i richiedenti non hanno avuto nessun interprete per la loro lingua madre. Sono obbligati a farle in inglese o in arabo sapendo che non padroneggiano queste lingue abbastanza per difendere la loro causa, conoscere i loro diritti d’asilo e un potenziale reinsediamento in un paese terzo. Anche se viene proposto un contatto con l’interprete, quest’ultimo gli è rifiutato con il pretesto che il centro non può ricorrere che a delle persone che appartengono alla Mezzaluna rossa e che la cooperazione con altre associazioni è esclusa in questo contesto.
I minori non beneficiano di nessun trattamento specifico come previsto dalla Convenzione internazionale dei diritti del fanciullo del 1989.

Il clima nel centro e in città

Ricordiamo che i rifugiati del centro sono di nazionalità e culture diverse (Eritrea, Camerun, Nigeria, Etiopia) e che la convivenza tra loro a volte è difficile. Tuttavia, alcuni intervistati dicono che il clima nel centro è accettabile, invece altri riconoscono che ci sono delle tensioni e l’assenza di scambi tra persone. Ciò è dovuto al fatto che le persone non sono raggruppate per nazionalità nelle camere che faciliterebbe loro la comunicazione (in particolare a causa della differenza di lingua), questo li lascia ancora di più isolati in camera. Le camere hanno capacità di 2-3 persone massimo, ma questa regola può causare delle tensioni o provocare una situazione di promiscuità che può disturbare.

Tuttavia, tutte le persone intervistate hanno dichiarato di non avere avuto nessun problema con gli abitanti della città di Médenine o con gli agenti della polizia del posto.

Il problema principale del centro della Mezzaluna rossa a Médenine è che non si tiene abbastanza in considerazione le particolarità delle persone migranti che arrivano con dei vissuti molto violenti in Libia, dove la maggior parte è stata imprigionata, venduta come schiava e violentata, torturata…
Questa omissione è incompatibile con il loro effettivo recupero. Tutte le persone intervistate condividono il loro passato e gli orrori che hanno subito in Libia e alla frontiera libico-tunisina.

L’inferno libico

Numerosi rapporti del FTDES denunciano da molto tempo le condizioni inumane affrontate dalle persone che attraversano questo paese in cui regnano l’anarchia e il caos 4 e in cui gli emigrati vengono per trovare una possibile fonte di reddito ma nel quale trovano una realtà ben diversa.

La maggior parte delle persone che hanno il coraggio di testimoniare le loro storie raccontano che sono state trattate in maniera totalmente inumana, impensabile all’inizio del loro percorso di migrazione. Testimoniano di vendite di schiavi per somme irrisorie che si avvicinano intorno ai 70 euro (a volte meno per le donne). Tutte le persone intervistate hanno raccontato di essere passate da schiavista a schiavista, da padrone a padrone, come della merce.

Descrivono anche l’inferno delle prigioni libiche in cui sono state imprigionate tra gli 8-9 mesi, in condizioni terribili: più persone in celle nelle quali non ci si può né sedere né sdraiare e poco nutrite (un po’ di pane e di acqua al giorno). Denunciano che l’UNHCR li ha a volte spostati da prigione a prigione a piedi, percorrendo distanze molto lunghe nonostante le persone fossero indebolite dalle condizioni di vita e dall’assenza d’alimentazione.

Anche le reti della tratta di esseri umani sono molto attive in Libia, lavoro forzato e sfruttamento sessuale o traffico di organi. Delle testimonianze di donne ma anche di uomini, raccontano le violenze sessuali e gli stupri che hanno subito. Delle donne hanno testimoniato delle loro gravidanze, risultato di stupri, e di aborti forzati. In questo contesto, una testimone racconta che quando è arrivata al centro con dei problemi di salute legati alle aggressioni sessuali di cui è stata vittima, non è stata assistita e non ha avuto nessun trattamento psicologico né accompagnamento per il suo trauma.
Tutti raccontano dell’estrema difficoltà, del pericolo e dei costi esorbitanti della traversata del Mediterraneo, ma la maggior parte dice di preferire la morte in mare alla loro situazione presente.

Durante questi tentativi di traversata, le persone hanno subito gli spari della guardia costiera libica sulla spiaggia e sui gommoni per essere poi riportate al punto di partenza sulle spiagge libiche, sequestrati con i membri delle loro famiglie e costretti a pagare l’ennesima volta un nuovo tentativo, a volte il settimo.

Alcuni sono stati testimoni della morte di persone incontrate nel corso del viaggio in assenza di leggi o autorità effettiva in Libia (si veda il rapporto FTDES: “Fuggire l’inferno in Libia o affrontare gli abissi per la propria dignità“).

Il controllo delle frontiere

Lontano dal trovare conforto e sicurezza, tutte le persone intervistate hanno raccontato che il passaggio della frontiera era stato molto violento. Hanno descritto la violenza della polizia tunisina che ha cercato di respingerli nel deserto libico dopo un tragitto di centinaia di km a piedi. E’ solo quando riescono a chiamare l’UNHCR in Tunisia e con il suo intervento che l’entrata sul territorio tunisino è possibile. Tuttavia, subiscono un’ennesima violenza della polizia che li sanziona per aver richiesto l’aiuto delle organizzazioni internazionali.

Una soluzione di transito

La Tunisia resta per la maggior parte delle persone migranti che fuggono dalla Libia – “… piuttosto morire che ritornare lì” – una soluzione di transito nella prospettiva di raggiungere l’Europa o l’America per raggiungere la famiglia o delle persone care. L’idea di stabilirsi in Tunisia è raramente presa in considerazione per dei problemi di differenza culturale e/o religiosa e per l’assenza di un quadro giuridico sicuro.

Conclusione

Secondo le situazioni e le testimonianze raccolte durante le 6 interviste di questa missione al centro di Médenine a novembre 2018, o anche prima attraverso i precedenti rapporti del FTDES, possiamo solo confermare l’urgente necessità di un’assistenza più adatta ai bisogni di sostegno psicologico, medico e giuridico come risposta ai bisogni reali.

Il FTDES rinnova le sue richieste affinché le condizioni di accoglienza inumane e degradate cambino rispetto alla loro attuale negligenza. Il FTDES considera la Mezzaluna rossa tunisina come principale destinatario di questo rapporto ma considera l’idea di pubblicarlo come mezzo di sensibilizzazione e promozione per il miglioramento delle condizioni di accoglienza conformi ai diritti e gli standard internazionali di protezione dei migranti.

II. Raccomandazioni

Il FTDES raccomanda espressamente:
– di garantire la buona applicazione della Convenzione di Ginevra del 1951 e la clausola di non respingimento, avendo un carattere obbligatorio in virtù del paragrafo 1 dell’articolo primo del protocollo del 1967. La Convenzione dispone al paragrafo 1 dell’art.33 che: ”Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”;
– il rispetto del diritto all’informazione giuridica e sociale in una lingua accessibile al richiedente asilo fin dall’arrivo e dai primi contatti con le organizzazioni interessate;
– il diritto al mantenimento sul territorio e alle condizioni di accoglienza degne durante tutta la durata dell’esame devono essere garantite;
– la modifica delle condizioni d’accoglienza del centro di Médenine per permettere un’intimità e protezione sufficienti alle donne e ai minori;
– una maggiore responsabilizzazione delle agenzie internazionali per l’attivazione di strumenti giuridici, finanziari e diplomatici per il sostegno alle vittime oltre all’assistenza e la riuscita delle misure di protezione, e di sostegno alle domande di reinsediamento;
– delle misure di emergenza per l’accesso effettivo alle cure mediche di persone ospitate nel centro;
– l’aumento della somma attribuita come coupon alimentare individuale e l’inclusione dei bisogni di comunicazione e di trasporto;
– le buone condizioni d’igiene delle infrastrutture dovrebbero essere meglio garantite;
– le forniture dei prodotti alimentari dovrebbero essere sistematiche e non dovrebbero conoscere delle irregolarità.

  1. «Tunisia: chiusura del campo di Choucha prima dell’estate (HCR)», Babnet, 22 Mars 2013;
  2. Infra, il Forum tunisino per i diritti economici e sociali si chiamerà FTDES.
  3. «Eravamo lasciati a noi stessi: dei migranti lasciano un centro della Mezzaluna rossa in Tunisia»», Infomigrants, 30 agosto 2018
  4. Rapporto «Fuggire l’inferno libico o affrontare gli abissi per la propria dignità» – dicembre 2017- scritto da Reem Bpouarrouj