Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Turchia: i leader dell’UE chiedono a Erdoğan di appoggiare un piano radicale riguardo i rifugiati

di Ian Traynor, The Guardian del 5 ottobre 2015

Il presidente turco venderà a caro prezzo il suo consenso alle proposte della Germania e della CE volte a inasprire i confini dell’Europa.

Il presidente turco Erdogan chiede che l’Unione Europea attribuisca alla Turchia lo status di ‘paese terzo sicuro‘, insabbiando la fedina delle politiche repressive di Ankara e il progressivo deterioramento nell’applicazione dei diritti umani nel Paese.

I leader dell’UE hanno fatto appello all’autoritario presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, per unire le forze che stanno dietro un piano radicale volto ad arginare il flusso di centinaia di migliaia di rifugiati e migranti diretti in Europa.

L’offerta consisterebbe in ultima misura di farsi carico di mezzo milione di rifugiati Siriani e di co-finanziare centri e campi di raccolta in Turchia, il tutto in cambio di controlli serrati alle frontiere turco-europee atti a fermare gli scafisti ed evitare che i migranti in fuga possano raggiungere la Grecia a bordo di imbarcazioni pericolose. L’accordo sottintende l’obbligo di Ankara a rimpatriare chi è giunto in Europa clandestinamente passando per la Turchia.

In cambio, Erdoğan avrebbe richiesto un rilassamento della politica dei visti per turchi in viaggio verso l’Europa, e l’attribuzione alla Turchia dello status di “paese terzo sicuro”, occultando in parte la lunga storia di politiche repressive e violazione dei diritti umani e delle libertà dei mezzi di informazione da parte del governo.

“L’Europa deve gestire al meglio i propri confini, ci aspettiamo che la Turchia faccia altrettanto. Dobbiamo porre fine alla situazione per cui centinaia di migliaia di persone scappano dalla Turchia verso l’Unione Europea.” ha dichiarato Donald Tusk, Presidente del Consiglio Europeo, a seguito dei colloqui con Erdogan.

Da parte sua, Erdogan ha risposto che Ankara ospita quasi 10 volte il numero di profughi siriani dell’UE. Seppur aperto al dialogo con Bruxelles, il presidente turco ha sostenuto che la chiave per fermare il flusso di profughi potrebbe essere quella di istituire una “no-fly zone” (zona di interdizione al volo) al confine turco-siriano e una zona cuscinetto nel nord della Siria. L’Europa e Washington considerano le misure in questione un progetto senza fondamenta, tuttavia, nelle parole di Tusk: “L’Unione Europea è pronta a discutere di tutte le possibilità con la Turchia, anche quella di una eventuale zona cuscinetto in Siria.”

Erdogan è giunto a Bruxelles in un momento di insolita fragilità politica nella regione anatolica, ma è allo stesso tempo consapevole di rappresentare un elemento di notevole rilievo nella crisi migratoria attuale: il suo consenso alle misure richieste dalla Germania e dalla Commissione Europea potrebbe costare caro a Strasburgo.

“Erdogan è debole in casa, ma sulla questione attualmente discussa il suo consenso è di vitale importanza, ragion per cui la Commissione si trova nettamente in svantaggio rispetto a lui”, ha detto un alto diplomatico UE. “Il sistema [di immigrazione] è crollato. Corriamo da una riunione all’altra e politici hanno bisogno di essere visti in azione, di far vedere che fanno qualcosa di concreto, e questo accentua ulteriormente il senso di caos “.

La Turchia è il rifugio di 2 milioni di rifugiati siriani e, negli ultimi mesi, è stata solo la prima tappa dello flusso migratorio che si è rapidamente trasformato in una delle più grandi crisi umanitarie della recente storia Europea, scatenando il panico, l’aumento di controlli alle frontiere nazionali e la nascita di barriere di filo spinato e profonde faide tra gli Stati Membri dell’Unione.

Un patto con la Turchia rappresenta ora la chiave per trasformare il caos in stabilità, in Germania come negli altri Paesi: entro la fine di quest’anno è atteso l’arrivo di 1 milione di profughi e la cancelliera Angela Merkel è a capo di un embrionale regime europeo comune di immigrazione, che da progetto dovrebbe alleggerire parte del carico di Berlino.
La Merkel ha incontrato Erdoğan presso la sede ONU la scorsa settimana, mentre durante il fine settimana la Commissione Europea ha lasciato trapelare alcuni dei dettagli di un piano di azione per il coinvolgimento della Turchia nelle nuove operazioni. Nessun accordo è atteso per lunedì a Bruxelles, ma la speranza è di riuscire a mettere a punto i contorni di una nuova politica con la Turchia in un vertice UE della prossima settimana.

Dal 2013, a causa della sua linea dura nei confronti delle opposizioni politiche e civili all’interno della Turchia, Erdoğan si trova nella condizione di paria in Occidente, ma l’attuale emergenza profughi ha portato i leader dell’UE a sorvolare su questi problemi.
Secondo il gruppo di esperti dell’European Stability Initiative “Sarà impossibile trovare una soluzione a questa crisi senza il sostegno turco. Gli attori indispensabili a qualsiasi soluzione a questa crisi sono sempre gli stessi, Germania e Turchia: c’è poco che le istituzioni europee possano fare concretamente. È la Germania a dover prendere l’iniziativa”.

Se la Turchia è il primo porto per i nuovi arrivati, la Grecia rimane il primo canale verso l’UE: 370.000 profughi hanno attraversato il Paese solo quest’anno. I controlli serrati delle frontiere e i rimpatri sono pressoché impossibili per il semplice fatto che i confini sono marittimi. Secondo fonti importanti di Bruxelles, solo il 4% dei nuovi arrivi viene registrato in Grecia e la burocrazia ellenica non dispone delle attrezzature necessarie per la registrazione delle impronte digitali.

L’obiettivo è quello di avere controlli combinati turco-greci alle frontiere marittime comuni già organizzate da Frontex, l’agenzia delle frontiere dell’UE, in modo da poter pattugliare le coste e rimandare in Turchia le navi cariche di profughi che verranno intercettate. L’operazione richiederebbe agli Stati membri quasi 800 nuovi dipendenti, ma secondo i diplomatici sarebbe più verosimile ottenerne 400, inviati principalmente in Grecia.

Lunedì la Commissione ha dichiarato che squadre di esperti erano già dirette ad Ankara per discutere i dettagli di quello che è stato descritto come “un elenco comune di azioni, un patto di fiducia reciproca”.

Il problema è che i progetti di accoglienza sono fermi, nonostante la Commissione a Bruxelles si discuta di quote di rifugiati da distribuire nei Paesi e di altri aspetti della politica comune Europea: per il momento, gli Stati gestiscono ancora individualmente la crisi e i rischi politici che ne derivano.

La questione immigrazione rischia di far cadere il governo polacco nelle elezioni di questo mese; domenica il partito austriaco anti-immigrazione di estrema destra punta a una posizione di primo piano nella prossima scena politica a Vienna, tradizionalmente considerata come una roccaforte socialdemocratica.

Ancora la scorsa settimana il commissario responsabile della politica di immigrazione, Dimitris Avramopoulos, vantava la sua mancanza di responsabilità su quella che è una delle aree più controverse della politica europea: “La Commissione è qui per cinque anni per fare il suo lavoro e ciò che ci sta guidando non è l’obiettivo di essere rieletti. È per questo che per noi il risvolto politico non significa nulla e questo è il messaggio che vorrei trasmettere a tutta l’Europa: basta pensare al cosiddetto risvolto politico”.

Lo scorso mese, un piano di emergenza pensato per la ridistribuzione forzata di 120.000 profughi in tutta Europa è stato motivo di accese discussioni tra i vari governi. Se Berlino e Bruxelles avessero accettato dalla Turchia 500.000 migranti in più la Germania avrebbe insistito per un’ulteriore aumento delle quote re distributive tra i vari Paesi, rischiando di creare un’onda di ripercussioni negative.

I funzionari e diplomatici che al momento lavorano sui progetti di politiche comuni sostengono che il meglio in cui sia lecito sperare sarebbero una serie di misure che potrebbero rallentare il flusso di profughi, sottolineando che sebbene vi sia un accordo sulla condivisione dei 120.000 profughi resta difficile individuare i potenziali beneficiari delle misure: chi sbarca sulle coste di Grecia e Italia meridionale tende a lasciare il Paese di arrivo in fretta, spesso rifiutando di essere registrato e cercando di evitare campi di “ricezione”.

Il riconoscimento della Turchia come “Paese Terzo Sicuro” da parte dell’UE e una possibile liberalizzazione dei visti potrebbero aiutare Erdogan nelle elezioni che si terranno tra tre settimane, dopo che il suo Partito per la Giustizia e lo Sviluppo ha perso la sua maggioranza per la prima volta nel mese di giugno.

L’Unione Europea definisce un paese sicuro, in cui i migranti possono perciò essere rispediti, come uno Stato con “un sistema democratico, nessuna persecuzione in atto, né tortura o altre pene o trattamenti inumani o degradanti, nessuna minaccia di violenza né di conflitto armato“.