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Tutela dell’ambiente: una battaglia urgente e imprescindibile per la riduzione delle migrazioni forzate

Secondo il Consiglio Norvegese per i Rifugiati, nel 2014, 19,3 milioni di persone sono migrate a causa di catastrofi non del tutto “naturali”.
Se da anni la comunità scientifica lancia allarmanti appelli riguardo il degrado ambientale per mano dell’uomo, come sta affrontando la questione la governance globale?

All’alba dell’anno 2000, con la sottoscrizione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite, in particolare l’obiettivo 7 “preservare l’ambiente”, i 193 stati membri dell’ONU firmatari della citata dichiarazione si sono impegnati a inserire il principio di sviluppo sostenibile nelle politiche nazionali, a ridurre la perdita della biodiversità e a contribuire al miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti delle bidonville.
Tuttavia, malgrado le buone intenzioni, sono ancora molte le questioni irrisolte in campo ambientale e climatico.

L’obiettivo del Millennio relativo al cambiamento climatico è sicuramente quello il cui traguardo è ancora molto lontano, come denunciato dalle Nazioni Unite stesse che sottolineano gli effetti deleteri che ciò comparta sul raggiungimento degli altri Obiettivi.
In effetti, cambiamento climatico e degrado dell’ambiente minano i progressi raggiunti in altri settori e a subirne le conseguenze sono inevitabilmente le fasce più povere.

Da questa presa di coscienza, la nuova agenda ONU attraverso i suoi 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile rilancia a partire da agosto 2015 una strategia che prevede focus specifici su questioni ambientali, compreso quello della lotta contro il cambiamento climatico (obiettivo 13).

Il 2015 si conclude inoltre con la Conferenza sul clima attualmente in corso a Parigi ed è accompagnata da una grande mobilizzazione della società civile di tutto il mondo.
La questione climatica è sotto i riflettori internazionali e pare un’occasione più unica che rara per fare emergere la questione migratoria legata ai cambiamenti climatici, talvolta sottovalutata e molto spesso ignorata dai poteri decisionali.

Secondo una stima dell’OIM, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, entro il 2050 i migranti per ragioni climatiche saranno circa 200 milioni: pari alla popolazione di Francia, Germania e Regno Unito.

Negli ultimi sei anni, secondo l’Internal Dispalacement Monitoring Center, 157 milioni di persone sono migrate a causa di eventi metereologici.
Deforestazione, desertificazione, riduzione dell’acqua, aumento del livello del mare, salinazione delle terre agricole, tempeste, uragani ed inondazioni causate dal cambiamento climatico, hanno conseguenze dirette e devastanti in particolare su quei paesi e categorie sociali la cui sussistenza dipende esclusivamente dalle risorse ambientali.

Sono queste dunque le prime vittime del cambiamento climatico, nonostante siano allo stesso tempo le parti meno responsabili di emissioni di gas ad effetto serra.
Due – fra molteplici – aggravanti consistono nella ciclicità tipica delle catastrofi naturali che molto spesso possono comportare un circolo vizioso di povertà cronica che induce inevitabilmente ad una migrazione.
In secondo luogo, come denunciato da Cespi, Focsiv e WWF, il cambiamento climatico sta “portando all’intensificazione della competizione tra popolazioni, Stati e imprese per il controllo e l’utilizzo delle risorse naturali che potrebbe causare conflitti e quindi provocare migrazioni forzate”.

Innegabile è la connessione tra l’attuale modello produttivo, i cambiamenti climatici e le migrazioni. Per queste ragioni è essenziale che venga rinforzata la resilienza delle popolazioni maggiormente esposte e che siano prese delle misure a livello internazionale volte ad invertire l’attuale tendenza.

Come afferma Legambiente “è fondamentale una cooperazione tra tutti gli stati per adottare misure di adattamento e mitigazione del rischio. Il problema delle migrazioni ambientali riguarda vari Stati, quelli colpiti direttamente, quelli che ospitano i migranti e gli stati che in qualche modo provocano i cambiamenti climatici; per questo è fondamentale facilitare la collaborazione tra le istituzioni e gli Stati a livello internazionale.”

Si auspicano dunque provvedimenti condivisi, immeditati e coercitivi. Quest’ultima, caratteristica non prevista dagli accordi presi in occasione delle Cop precedenti, sembra rappresentare attualmente un punto d’incontro tra i principali leader mondiali responsabili del problema. Il presidente americano Obama, ma anche Putin, Merkel, Hollande e Renzi hanno infatti messo in rilievo la necessità dell’introduzione di una coercizione giuridica riguardo le disposizioni prese.
Inoltre, come sottolineato dall’OIM, è auspicabile che la comunità internazionale si impegni a riconoscere e tutelare la categoria di persone costrette a migrare per cause ambientali.
In più occasioni è stata avanzata la proposta dell’estensione dello status di rifugiato ai migranti per cause ambientali affinché questi ultimi possano essere tutelati dal Diritto Internazionale.
Tuttavia, le difficoltà legate alla definizione giuridica del termine, una certa riluttanza da parte dei paesi firmatari della Convenzione di Ginevra e un UNHCR stremato da una delle più grandi emergenze umanitarie, rendono questa prospettiva ancora lontana dalla realtà.

Ciononostante, Legambiente già nel 2012 sosteneva che “adottare una prospettiva legalmente vincolante e priva di ambiguità è una priorità dalla quale non si può prescindere” per affrontare il problema e trovare soluzioni opportune ed efficaci.
Ora che l’occasione per prendere degli adeguati provvedimenti si sta presentando, sarà veramente la volta buona in cui le buone intenzioni si trasformeranno in concreti strumenti giuridici per la tutela e la gestione dei flussi migratori?

Marianna Giorgia Marchesini