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Tutti pazzi per i patti

Il Ministro Amato regala ai sindaci i patti per la sicurezza

Sono stati firmati in questi giorni i “patti per la sicurezza” nelle città di Roma e Milano, e presto anche Torino avrà il suo.
Tutti soddisfatti, in primis il ministro Amato che annovera tra le azioni del suo ministero, dopo la Carta dei Valori e il Disegno di Legge per la riforma in materia di immigrazione, anche quella di aver confezionato un pacchetto sicurezza su misura per ogni metropoli italiana.
L’opposizione trema davanti a questa ondata di perbenismo sfoggiata dal centro-sinistra, perché nemmeno la Cdl era arrivata a tanto! Chissà cosa ci potrà riservare un eventuale futuro governo di centro-destra per superare l’attuale maggioranza sul tema della sicurezza.
E chissà cosa ne dicono i Sindaci di Bologna e Padova dei “patti per la sicurezza” firmati nelle grandi metropoli italiane.
Loro, c’è da riconoscerlo, quanto a pugno di ferro, non hanno nulla da invidiare agli illustri colleghi metropolitani, anzi: della cavalcata securitaria sono forse i capostipiti, anche se sono costretti ormai a dividerne le glorie con testate giornalistiche e politici di ogni schieramento.
Certo in pochi possono vantarsi di aver costruito un muro contro il pericolo dei clandestini, fiore all’occhiello del centro-sinistra padovano, ma è vero anche che le ordinanze contro i negozianti cinesi e i kit anti-droga distribuiti alle famiglie, rilanciano alla grande il Sindaco di Milano che recupera così terreno.
Complimenti!
Non è un problema di posizioni politiche quindi.

Mentre le città, grandi e piccole, sono impegnate ad individuare il nemico che può in ogni momento colpire e affondarci, si giocano parallelamente le vere battaglie: quella strategica per il controllo della vita e quella culturale, sulla pelle, diversa, dei migranti.
Milano e Roma rimettono a nuovo l’arredo urbano a suon di deportazioni e impianti di video-sorveglianza: c’è chi riserva le sue periferie ai campi Rom, chi invece progetta di delocalizzare interi quartieri di commercianti cinesi.
E’ risaputo, le grandi città hanno sempre un certo fascino, anche se le piccole conservano sempre un chè di caratteristico: è sempre possibile vedere un vigile urbano rincorrere un venditore ambulante senegalese che rincorre a sua volta, disperatamente, un permesso di soggiorno.
A volte è difficile capire se ci troviamo davanti ad un nuovo preoccupante scenario o ad un film già visto. Niente di buono comunque!

La sinistra ha strappato alla destra l’esclusiva sul ritornello della sicurezza, e secondo molti dovremmo esserne felici.
A suon di patti ci sentiamo tutti più sicuri, salvo poi scoprire che è possibile morire in un porto, in una fabbrica, o magari in un cantiere appaltato dalla camorra, senza lo straccio di una copertura assicurativa e di un permesso di soggiorno.
Ma qui non c’è patto che tenga, la situazione non è mai abbastanza allarmante.

La sociologia e l’economia politica della pena, mettendo in relazione i modelli produttivi alle strategie di controllo, ci hanno spesso aiutato a leggere con occhi critici ciò che sta avvenendo, raccontandoci quanto lo stato di emergenza abbia sempre una certa funzionale relazione con le possibilità di controllo e di governo della vita.
Ma la vicenda di Vanessa Russo, uccisa nella metro di Roma da una ragazza rumena, ha occupato fino all’ultima riga delle pagine dei quotidiani: non c’è più spazio per interventi poco sensazionalistici, guai ad uscire dal tema.
E’ in corso una vera e propria campana di criminalizzazione verso i migranti.
Anche l’informazione gioca la sua partita certo, e spesso in maniera decisiva, tanto che a volte, il “sentire della gente”, quello tanto autorevole della “maggioranza silenziosa”, è prima discusso in una riunione redazionale che nelle strade e nei quartieri.
Produrre e riprodurre terrore e paura è un mestiere che non richiede particolari referenze, solo molta perseveranza.

La vera sfida, infatti, non è quella di imporre, manu militari, questo o quel provvedimento securitario, ma quella ben più complessa di farlo condividere, di far partecipare tutti al coro che incita e chiede controllo.

I migranti hanno vinto un posto di eccellenza in questo circo più o meno mediatico, occupando un ruolo da veri protagonisti.
Intorno a loro le città cambiano fisionomia, negli stili e nei modi di vita ma anche nelle forme del controllo che le attraversano.
Che si tratti dello spazio europeo o della strada che si addentra nel cuore di un quartiere, è l’immigrazione il fenomeno che ha conquistato l’attenzione di politica e media.

In ballo c’è molto di più di un sistema di regole, forse qualcosa di ancor più prezioso di tutti quei pezzi di libertà che ci hanno chiesto di barattare.
C’è il governo dei flussi migratori, che, mentre si evolvono, richiedono nuove e più articolate strategie di controllo che garantiscano la loro funzionalità al mercato del lavoro.
Perché ogni volta che prende piede lo stato di emergenza, si modificano anche le condizioni dei ricatti che, nel lavoro, più o meno regolare, i migranti sono costretti ad accettare. Ma in che misura sono accettabili i ricatti, le discriminazioni, le violazioni di cui sono oggetto i migranti? Fino a dove può spingersi il limite? Fino a che punto sono condivisibili?
La risposta è servita e ha a che vedere con lo stato d’eccezione che ci viene imposto dalla cultura dell’allarme, per cui tutto, proprio tutto, trova la sua giustificazione.
Così, se non si finisce per forza in un cpt sarà da oggi sempre possibile essere deportati da Roma alla sua periferia, sempre che il campo nomadi non sia già bruciato.
A proposito, sarebbe interessante capire come il Ministro Amato pensa di coniugare i progetti per la scolarizzazione dei bimbi Rom con questo ultimo “trasloco” verso la periferia.
Neppure l’entrata della Romania nell’ Unione europea (molti Rom hanno passaporto rumeno) ha potuto strappare a Veltroni il suo patto.

La strada per governare le contraddizioni che il nostro tempo porta con sé è davvero quella dei muri?
Qui non si tratta semplicemente di approcci diversi, ma della profondità con cui la politica e con essa le regole che produce guarda alla complessità dei rapporti sociali.
Non sono due modelli, uno più rigido, l’altro più lassista, ad essere in questione. Stiamo parlando di come lo stato di allarme che impone di intervenire nelle pieghe della realtà che ci circonda, sia la stessa causa delle sue contraddizioni, di come le regole e le imposizioni che si propongono di affrontare questo stato di permanente eccezione producano e riproducano le condizioni dell’allarme sociale, l’esclusione, le barriere, che hanno trasformato il mondo che abbiamo intorno in un enorme mosaico di ghetti.

Al centro del dibattito sono finiti i fenomeni migratori, ma non è con lo stesso coraggio con cui abbiamo visto schierare pattuglie alle frontiere e cani anti-droga nelle scuole che si è intervenuti sulla