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tratto da www.peacereporter.net

Uganda, la notte fa paura

di Matteo Fagotto

Li chiamano night commuters, i pendolari della notte. Sono i bambini dei distretti settentrionali dell’Uganda, che a sera si dirigono a migliaia nelle città dai villaggi circostanti per sfuggire agli attacchi dei ribelli del Lra (Lord’s Resistance Army). Costretti a dormire per anni in ripari di fortuna, ora vengono ospitati in centri creati ad hoc dalle organizzazioni umanitarie. Portandosi dentro i racconti e le cicatrici di una guerra che dura ormai da vent’anni.

Principali vittime. Non è un’esagerazione dire che i bambini sono le principali vittime di questa guerra: il gruppo ribelle guidato da Joseph Kony è composto per l’80 percento da bambini-soldato, rapiti durante i raid nei villaggi e costretti a diventare guerriglieri, semplici portatori o, nel caso delle bambine, schiave sessuali dei capi ribelli. Si calcola che dall’inizio del conflitto siano circa 30 mila i bambini rapiti. Molti di questi sono morti, molti altri, fortunatamente, sono riusciti a fuggire. Ma per chi viene ripreso la sentenza di morte è la regola. E, cosa ancora peggiore, eseguita dai suoi stessi “commilitoni”, obbligati a uccidere questi piccoli disertori a bastonate o, nei casi peggiori, a morsi. I ribelli sopravvivono così da vent’anni, saccheggiando i villaggi nord-ugandesi ridotti ormai allo stremo, tanto che il 90 percento della popolazione della zona vive nei campi per sfollati organizzati dal governo. Anche se il conflitto sembra aver superato la fase più acuta (dove i ribelli potevano contare su una forza di tremila “soldati” a fronte dei circa 500 attuali), la guerra è ancora lontana dalla conclusione.

Pendolari notturni. Per far fronte all’emergenza i bambini hanno deciso di organizzarsi da soli: a sera, circa 6 mila di loro lasciano i villaggi e raggiungono le città di Kitgum e Gulu, maggiormente protette, per dormire là e sfuggire agli attacchi notturni dei ribelli che si concentrano in campagna. Un fenomeno che dura da alcuni anni, e che nei primi tempi vedeva i bambini alloggiati in strutture di fortuna: ospedali, stazioni degli autobus, case abbandonate, col tempo sostituite da strutture messe in piedi da organizzazioni umanitarie sia internazionali che locali. PeaceReporter ha sentito Zachariah Otto, coordinatore della Charity for Peace Foundation, nata nel 2003 e operante a Gulu assieme a altre ventidue associazioni. “L’emergenza vera e propria è passata, visto che ora ospitiamo circa 300 bambini a notte. Ma nei momenti peggiori siamo arrivati a 6 mila…”. Un lavoro oscuro ma utilissimo, senza ricevere un soldo dal governo ugandese: “Non abbiamo donatori fissi, ci aiutano varie associazioni e agenzie umanitarie, come l’Unicef. Le autorità ci forniscono solo i soldati per la sicurezza nostra e dei bambini”.

Attività collaterali. Il lavoro dell’associazione non è però limitato all’alloggio per i piccoli ospiti. “Portiamo avanti attività ricreative, come danze tradizionali e lezioni religiose la domenica, incoraggiando sempre i bambini a fare ritorno alle proprie case durante il giorno”, conferma Zachariah. Il rischio infatti è che la separazione finisca per disgregare le famiglie e quindi la società, che è poi l’obiettivo a cui mirano i ribelli con i rapimenti e gli attacchi dei bambini-soldato ai loro stessi villaggi e ai parenti. La continuazione del conflitto rischia di fare dei giovani attuali una generazione perduta, anche perché fino alla fine della guerra non sarà possibile avviare programmi di sviluppo nel nord del Paese. Per questo i colloqui di pace, cominciati un anno fa ma ormai arenatisi, hanno un’importanza fondamentale. “Qui la gente rimane fiduciosa” conclude Zachariah, “e parte dei ribelli sembra voglia sinceramente finirla con questa guerra”. Sperando che un giorno non troppo lontano le porte della Fondazione si chiudano per sempre. Per mancanza di ospiti.