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Un giorno ed una notte nello zoo umano di Crotone

Report dall'iniziativa contro il CPT

di Francesco Cirillo

Sabato 9 dicembre. La Rete Antirazzista della Calabria e della Campania ha organizzato una manifestazione davanti il CPT di Crotone per protestare contro la detenzione di immigrati all’interno di questi centri istituiti prima ,dalla legge Turco Napoletano e poi dalla Bossi Fini. Si chiede prima di tutto al governo Prodi di chiudere immediatamente i CPT e trasformarli in centri di prima accoglienza con una logica ed una mentalità del tutto diversa, affidandone la gestione non a cooperative mangiasoldi ma ad associazioni che si occupano di antirazzismo concretamente nel territorio. L’appuntamento è alle 10 a Cosenza all’uscita dell’autostrada. Io sono lì puntuale. La prima ad arrivare è Heidi Giuliani. La mamma di Carlo diventata ora senatrice della Repubblica. Dopo poco giunge Caruso, deputato indipendente del PRC. Con loro Emilia Corea e Michele Santagata della Kasbah, un associazione che si occupa di accoglienza agli immigrati e che da anni è l’unica nel territorio calabrese che lo fa con enormi sacrifici e senza i necessari contributi. Insieme con altri giovani si parte per Crotone.
L’intenzione è quella di entrare dentro il centro e verificarne lo stato in cui versano gli immigrati. Davanti al centro cominciano a giungere delegazioni di centri sociali e di associazioni della calabria e della Campania. Con un pullman arrivano i giovani della Rete Antirazzista della Campania, con auto i giovani del Centro Sociale Cartella da Reggio calabria, altri da Catanzaro, da Lametia. In tutto un centinaio che cominciano a stazionare davanti al centro. I parlamentari Heidi e Caruso sono accolti dai dirigenti del centro sul cancello d’ingresso. Al loro seguito io e Emilia Corea in rappresentanza della Rete Antirazzista calabrese e campana. Il centro è molto grande, è considerato per estensione e capacità di accoglienza il più grande d’Europa. Il terreno era di proprietà dell’Aeronautica ed è l’ideale per questo tipo di operazioni, in quanto proprio di fronte vi è l’aeroporto di Crotone e quindi utile per riportare in patria gli immigrati che vengono espulsi. E’ come una fabbrica di tonno in scatola. Si prende dal mare l’immigrato, lo si confeziona, nel centro e poi si rimanda inscatolato al suo paese d’origine.

Il primo centro che decidiamo di visitare è quello chiamato Centro di prima accoglienza (CPA). In corteo ci dirigiamo verso il centro. Siamo scortati da un nucleo esagerato di digos, poliziotti, dirigenti del centro, volontari della Misericordia e della Croce Rossa, oltre che dal direttore gestore del centro e dal prefetto vicario. Tutti ci dimostrano con estrema gentilezza la loro disponibilità a farci capire il complesso funzionamento del centro.
L’impatto con gli immigrati del centro è veramente terribile. Appena entrati in questa enorme distesa di containers dove vivono 460 immigrati si avverte un aria diversa. Gli immigrati prima ci guardano con una certa diffidenza, pensando ad un ispezione interna, ma quando capiscono che siamo “altro” dalla dirigenza interna cominciano ad avvicinarsi , fino a quando una folla di cento, duecento persone ci inghiotte. Heidi, Emilia, Caruso, ed io veniamo presi da questa gente che comincia a parlarci in tutte le lingue del mondo. In francese, spagnolo, inglese, eritreo, arabo. Sono pugni nello stomaco. I loro volti, i loro occhi si stampano, anzi si incidono scarnificandoci nella nostra pelle. Tutti cacciano un foglio, un tesserino, un documento, un qualcosa, per dimostrare di essere vivi prima di tutti, di avere un cuore, un polmone, un fegato come tutti noi, poi di aver svolto lavori in Italia, o di possedere domande per un soggiorno o di voler raggiungere propri familiari in Germania o in altre parti della fortezza Europa. Tutti ci parlano della loro storia, delle loro case lasciate per i nostri bombardamenti o per le nostre imprese occidentali, o per gli odi etnici che noi stessi abbiamo messo in moto alla ricerca del petrolio o dell’oro. Restiamo intontiti. Emilia, una ragazza che si occupa di immigrati nell’ Associazione La Kasbah di Cosenza, comincia con la sua dolcezza a parlare in inglese raccogliendo i primi casi. Non possiamo occuparci di tutti, facciamo capire loro e decidiamo di indirizzarci verso casi estremi.

Cominciamo dalle donne incinte, poi i bambini e infine i casi di salute. Chiediamo quante ce ne sono di donne incinte e di bambini. Ne vengono fuori 9. Tutte giovanissime. Alcune di loro sono di otto mesi. I bambini sono 12 di cui 2 sono ricoverati in ospedale . Le donne incinte ci raccontano il loro arrivo. Hanno dovuto affrontare in quelle condizioni, dall’Eritrea paese dal quale provengono fatiche immense attraversando il deserto per raggiungere la Libia. Da qui partono quelle carrette che vediamo giungere a Lampedusa. Viaggi della speranza come quelli fatti dai nostri bisnonni in America. Almad, Abeba, Tsega, Helen, sono ragazze che potrebbero essere Madonne di qualche film , che vanno tanto di moda nei periodi natalizi. Anche la Madonna, con in grembo Gesù ha attraversato il deserto per sfuggire ad una guerra ed è giunta in un luogo dove ha trovato ostilità ma anche ospitalità. Queste ragazze sono le nostre Madonne che portano nel loro grembo nuovi gesucristi. Prendiamo i loro nomi, vedremo poi la loro situazione burocratica all’interno dl centro. La folla intanto si è fatta veramente enorme attorno a noi e decidiamo di visitare un container per sganciarci dalla massa che non riusciamo più a contenere.

Nei containers vivono fino a 9 persone in modo promiscuo. I dirigenti del centro ci dicono che sono loro a decidere come sistemarsi, ed è probabile che lo facciano per nuclei familiari,ma comunque ci sembra una situazione invivibile. I bagni sono esterni ai containers ed immaginiamo le difficoltà per una donna incinta di otto mesi uscire di notte dal container per recarvisi. Chiediamo immediatamente alla dirigenza di far spostare queste donne in un centro esterno, in una casa di accoglienza che ne esistono in Calabria. Emilia fa notare che nella casa di accoglienza , da loro gestita vi sono le possibilità di poterle ospitare,ma fa anche notare come stranamente queste richieste non siano mai giunte, nonostante i dirigenti del centro abbiano dichiarato di averne fatto richieste a diverse strutture. Intanto giunge una brutta notizia. Un immigrato si è impiccato nel CPT di Lametia. E’ terribile. Conosciamo quel centro,in quanto più volte vi abbiamo fatto visita internamente e più volte vi abbiamo manifestato esternamente.

Il centro di Lametia è gestito in modo autoritario e scorretto dal punto di vista umano da una cooperativa che si dice di “sinistra”, la “Malgrado Tutto.” Il suo dirigente, un certo Raffaello Conte è stato più volte coinvolto in inchieste giudiziarie fino ad essere arrestato per le operazioni umanitarie svoltesi i Albania. Un inchiesta dalla quale è uscito assolto. Heidi Giuliani decide di andare subito a Lametia. L’immigrato che si è suicidato si chiamava Alexandar Nikolov. Aveva 38 anni proveniva dalla Bulgaria. Uno di quei paesi dove ha trionfato la democrazia. Non ci avevano fatto credere per anni che dovevamo liberare quei paesi dalla dittatura comunista ? E come mai ora un cittadino bulgaro non è libero di spostarsi nell’Europa cristiana e vaticana e nei paesi democratici che l’hanno liberato ? Questo , Alexandar Nikolof, con moglie e figli lasciati in Bulgaria se lo sarà chiesto. Ed invece si è visto arrestare a Palermo e da qui si è visto spostare in questa nuova prigione. Gli sarà stato detto che lui non poteva stare in Italia, che non avrebbe potuto trovare lavoro nelle nostre opulente città e che sarebbe dovuto ritornare a mani vuote e sconfitto nella sua Bulgaria.
Quanti sogni avrà fatto Alexandar Nikolof con la sua moglie. Avrà immaginato suo figlio crescere in Italia. Avrà immaginato una vita diversa, un futuro diverso. Altri figli da far nascere in Italia. Tutto si sarà consumato in una triste e fredda cella di Lametia nella più completa solitudine e disperazione . All’uscita di Heidi , decidiamo di passare a visitare il CPT posto al centro di tutta l’area. Decidiamo anche di ritornare all’indomani nel CPA per seguire da vicino altri casi disperati che ci sono stati posti. Ho scritto i loro nomi e domani li cercheremo. Sembra una “Shindler List”, ma diversamente da quella lista qui abbiamo la completa certezza di non poter salvare nessuno. Youssef Elali ed Elbayoumi Amro provengono dall’Iraq, rimpiangono il feroce Saddam : “ potevamo uscire per strada almeno e avere lavoro. Ora c’è solo morte e distruzione e se qualcuno esce di casa spesso non fa più ritorno”.
A Youssef Elami è sparito il fratello. Uscito di casa per trovare roba da mangiare non è più ritornato. Suo padre ha quindi deciso di portare in salvo tutta la sua famiglia ed è riuscito ad espatriare verso la Giordania e la Siria. Lui , Youssef ha deciso di tentare la fortuna in Europa. Ed è finito qui a Lametia. Hessin Abdellah proviene dalla Palestina. Yamani Alex viene dal Togo e dice di essere minorenne. Ci esibisce un tesserino dove la sua data di nascita risulta essere del 1 gennaio del 1990. Ma in seguito nell’ufficio di verifica, dalla sua cartella esce una radiografia fatta al centro di Lampedusa dove risulterebbe essere maggiorenne. Resto con il dubbio che quel ragazzo dall’aspetto sicuramente da minorenne non lo fosse. La “Shindler list” continua. Si aggiungono ad essa altri nomi. Altri ragazzi che dal tesserino risultano essere sbarcati a Lampedusa il 3 ottobre scorso.
Chiediamo come sia possibile che da allora ancora siano ancora detenuti nel centro. Il vice prefetto vicario, Gallo ci risponde, sempre nel suo “aplomb”, che farà fare una verifica. Ma avverto, che il dubbio che qualcosa non funzioni cominci ad albergare nella sua testa. Chiede continuamente spiegazioni agli ufficiali di polizia lì presenti come mai delle pratiche faticano ad essere concluse. Poi si scoprirà che le pratiche di quel gruppo di ragazzi erano quasi tutte state chiuse e che quasi tutti avrebbero ottenuto il permesso di soggiorno. Ma intanto erano ancora lì.

Decidiamo di controllare alcuni casi medici e ci spostiamo verso il centro medico . Con noi portiamo un ragazzo che ha un viso squassato da una ascesso enorme che gli modifica tutta la fisionomia, un altro ragazzo pieno di pustole, una donna con un dente da togliere, ed altri che accusano vari disturbi allo stomaco. Nel centro medico troviamo un medico scorbutico ed un infermiere altrettanto scorbutico oltre che violento. Nella stanza entrano Emilia, la dirigente della polizia ed i due giovani più gravi. Emilia chiede al medico come mai non sono stati ricoverati e perché non hanno avuto delle visite specialistiche. Il medico in tutta risposta chiede ad Emilia chi sia lei per fargli quelle domande. Forse non aveva capito che faceva parte di una delegazione parlamentare. E ci pensa la poliziotta a spiegargli cosa stesse avvenendo nel CPA in quel momento. Il medico quindi comincia a farfugliare una serie di cose contraddittorie. Contraddizioni che dimostrano comunque come la situazione medica sia veramente sottovalutata. Il centro dipende dall’ASL n. 5 di Crotone. I medici e gli infermieri provengono dall’ASL. Fanno turni 24 ore su 24,ci è stato detto, ma è sotto gli occhi di tutti che non risolvono un bel nulla. Le prenotazioni ci dice il permaloso medico, vengono mischiate a quelle dei cittadini italiani. E i tempi di attesa sono gli stessi degli italiani. Come se la cosa fosse di incoraggiamento piuttosto che di scoraggiamento. Il medico dice ad Emilia, facendola davvero arrabbiare, cosa davvero rara, che le donne che vanno dal ginecologo se trovano un medico maschio non si fanno visitare.
Qui Emilia sta per esplodere. E cerca di spiegare al baldanzoso medico che la cultura di quelle donne vuole questo e che sia giusto rispettarla quindi. Ma se una donna, e qui sta la tragedia burocratica, che ha aspettato settimane per quella visita, non accetta la visita , ritorna di nuovo in coda e deve aspettare di nuovo settimane per una nuova visita. Una cosa assurda che Caruso farà rilevare al Ministro della Sanità in una apposita interrogazione parlamentare. Intanto nel corridoio del centro medico si affollano altri immigrati. Hanno saputo dell’ispezione e cercano di far rilevare le proprie condizioni di salute. Stanno in silenzio nel corridoio insieme a me. Sentiamo i ragionamenti che provengono dall’interno della stanza del medico. Improvvisamente esce come una furia l’infermiere e rivolgendosi agli immigrati silenziosi li caccia a spintoni fuori dal corridoio nel cortile antistante.
Reagisco al comportamento ma lui dice che se non fa così non ci fanno capire niente. Emilia esce dalla stanza con la rassicurazione ottenuta che riguarderà questi casi e davanti a lei il medico firma la richiesta di una visita specialistica presso un odontoiatra ed un dermatologo. Da qui passiamo tutti nel CPT. Qui la situazione anche visiva cambia di panorama. Altissime gabbie racchiudono quattro palazzine dal colore indefinito e che ho già dimenticato. Davanti ad ogni gabbiotto stazionano a turno pulmini di carabinieri, di polizia e di guardia di finanza. Hanno loro le chiavi per entrare nel cortile delle palazzine. Cominciamo da una palazzina la A1. In ognuno di queste vi vivono 25 immigrati. Questi sono considerati detenuti veri e propri. In tutte e quattro le palazzine sono cento. Anche qui si fanno tutti attorno. Ma decidiamo di entrare in una delle stanze e di chiudere fuori la porta il codazzo ministeriale. In questa stanza vivono in cinque. Sono tutti di nazionalità algerina. Anche lì è in corso una guerra civile strisciante. Anche lì le condizioni di vita sono terribili e in alcuni paesi cominciano a farsi largo le leggi coraniche. Sono figli di una nuova generazione questi algerini. Non conoscono la guerra di liberazione dalla Francia e certamente non conoscono il film di Pontecorvo, la “Battaglia di Algeri”. Uno di questi algerini è molto arrabbiato. E’ arrivato con la scabbia. Lo hanno spogliato nudo e gli hanno buttato via tutti i vestiti , e non capisce che quei vestiti non li riavrà più. C’è un difetto di comunicazione con quasi tutti. Molti non conoscono i propri diritti, non conoscono cosa potrebbero fare e non fare, non sanno come affrontare le nostre leggi.

L’ispettrice di polizia che ci segue per tutto il nostro percorso, mi ripete sempre che noi quando andiamo nei loro paesi conosciamo le loro leggi, e mi chiede perché non debbano farlo anche loro. Io le spiego che non proveniamo dalle stesse situazioni economiche, politiche e soprattutto culturali. Le faccio un po’ di storia. Le chiedo di immaginarsi un pastore di Verbicaro o della Sila che nel 1900 decida di andarsene in America e di immaginare come questo nostro connazionale avrà affrontato l’impatto con gli americani. Non è lo stesso ? resta perplessa. E qui in questo plesso, dopo esserci spostati nella sala comune a tutti, la sala della televisione, Caruso, il deputato indipendente di Rifondazione Comunista , rivela agli esterrefatti rappresentati del corteo ministeriale, l’intenzione di non voler più uscire dal centro e di considerarsi detenuto insieme agli altri immigrati. Il prefetto vicario resta un pochino perplesso, così tutto il codazzo ma non hanno reazioni evidenti. Dicono di prendere atto della cosa e chiedono come organizzarsi. Decidiamo di prendere come base questa sala , pur continuando il nostro giro di ispezione.

Le agenzie di stampa cominciano a battere la notizia. Fuori il presidio della rete antirazzista si è intanto ingrossato. Sono più di un centinaio ed in appoggio alla nostra azione interna bloccano per un ora la statale 106 . Anche loro hanno deciso di passare la notte lì fuori e montano subito le tende approntando anche una piccola cucina da campo a base di Kebab. Michele in queste cose organizzative non lo frega nessuno. Noi intanto passiamo ad un altro Modulo come li chiamano loro, il B1. Qui troviamo un caso davvero emblematico. Si tratta di Mbaye Aliou proveniente dal Senegal, un pezzo di ragazzo di 39 anni. E’ in Italia dal 93. E’ venuto in Italia per aiutare la sua famiglia vittima della fame. Ha una moglie ed una figlia. E’ andato subito al Nord. A Rossano Veneto. Qui ha trovato lavoro come operaio metalmeccanico. Guadagna bene e manda molti soldi in Senegal. Paga l’Inps, riceve regolare busta paga, si iscrive al sindacato della CGIL. Nel 2004 cambia lavoro. Diventa zingatore e lavora in un’altra fabbrica. Da qui passa a lavorare in una cooperativa di servizio dalla quale verrà poi licenziato. E’ la storia di tanti italiani anche. Tanti ragazzi precari che si sbattono da un lavoro all’altro alla ricerca di quello più retribuito, più sicuro e soprattutto più duraturo. Aliou ha anche regolare permesso di soggiorno , ma gli scade. Decide di ritornare a trovare la sua famiglia in Senegal. Dopo un paio di mesi ritorna in Italia ma il suo permesso di soggiorno è intanto scaduto e qualche inghippo burocratico gli blocca la pratica. Non riuscendo a trovare un nuovo lavoro si sposta a Napoli. “lì c’è brava gente e mi ci trovo di più “ mi dice.
Trova una casa e comincia a vendere borse come migliaia di senegalesi sparsi in tutta Napoli ed accettati con civiltà da tutta la popolazione. Aliou è felice. Ha di nuovo ritrovato il sorriso e ha ricominciato a rimandare soldi a casa. Ma incappa al ritorno dal lavoro in corso Garibaldi, carico come un mulo, in una pattuglia della Guardia di Finanza. Napoli sappiamo tutti è una città pulita, senza problemi di camorra, senza omicidi, senza traffico di cocaina e di armi, dove i quartieri sono tutti lindi e senza spazzatura non raccolta da mesi. Un senegalese carico come un mulo si nota subito ed eccolo subito acciuffato. Aliou cerca di spiegare la sua situazione. “io non sono un animale” mi dice con la rabbia nei suoi occhi spalancati che diventano rossi. “ E così sono stato trattato”. Non gli hanno dato neanche il tempo di raggiungere la sua casa. E’ proprio come i pogrom nazisti. Fermavano un cittadino in mezzo la strada, scoprivano che era un ebreo, lo caricavano su un camion e lo spedivano subito in un campo di concentramento. E Aliou, senza la stella gialla sul suo corpo, viene subito spedito qui a Crotone. E’ veramente disperato. Stringe fra le mani un piccolo Corano che lo apre e lo avvolge come un quaderno, come se aspettasse un aiuto da un Dio occupato sicuramente da qualche altra parte dell’universo . Caruso chiede al prefetto di poter far incontrare Aliou con un avvocato che è proprio fuori il centro. Si tratta dell’avvocato Francesco Svelo.

Un altro pezzo delle piccole storie della nostra calabria fatta di gente anonima che si danna per gli altri. Svelo ha affrontato diversi casi di immigrati. Viene da Reggio Calabria ed è conosciuto dagli immigrati che lavorano a Rosarno per il suo impegno e soprattutto per la sua tenacia davanti i giudici di pace. Lo conosce finanche il prefetto ed anche un ispettore della Digos che ha fatto servizio a Reggio Calabria. “ Fece venire quel gruppo estremista a suonare a Reggio…come si chiamano….ah i 99 posse , hanno cantato anche una canzone contro la Digos “. Il prefetto accorda il permesso e fa entrare l’avvocato che nella saletta apposita si incontra finalmente con Aliou. Speriamo di farcela. Ma i casi si fanno pressanti. Nel centro vi sono 26 immigrati provenienti dalla Palestina, 17 dall’Iraq,4 dall’Afganistan. Potrebbero chiedere l’asilo politico o per motivi umanitari. Molti neanche lo sanno. Controlliamo uno per uno tutti i loro fascicoli. Scopriamo che quasi nessuno chiede l’asilo politico pur potendolo fare. Ne chiediamo il motivo e sono gli stessi immigrati che ce lo spiegano. ”Se scriviamo di aver chiesto asilo politico e poi non ci viene concesso e veniamo rispediti nei nostri paesi d’origine , come spesso succede, fra le nostre carte mettono anche questa richiesta”. In quei paesi è una condanna al carcere e spesso anche alla morte. Poi se sono donne è una doppia condanna.

Intanto si fa sera. Tutti gli immigrati hanno già cenato. Ed ora si raggruppano nella sala dove esiste una sola televisione. 25 persone a decidere ogni sera che programma vedere fra centinaia di film,documentari, spettacoli vari. Una discussione ogni sera che alcune volte è sfociata in qualche rissa. Ma facciamo osservare ai funzionari del centro che anche in una piccola famiglia italiana è complicato trovare l’accordo su cosa vedere, stando comodamente seduti su un divano di classe. Qui hanno dovuto blindare la TV, incassandola nel muro e chiudendola con una doppia serratura. La sera un addetto della Misericordia la apre e da il telecomando ad uno di loro. Faccio osservare che sarebbe giusto mettere una Tv in ogni stanza. Il prefetto vicario ed il direttore del CPT ci chiedono se vogliamo cenare anche noi con gli immigrati e così facciamo. Gli immigrati scendono in mensa a gruppi di 25 e noi ci troviamo con un gruppo del modulo B1. La mensa distribuisce pasti pre riscaldati provenienti da fuori. Sono tutti incelofanati come avviene in tutte le mense. Un piatto di pasta e melanzane come primo, un secondo di formaggio e prosciutto ed una grossa arancia . Cominciamo ad avvertire la stanchezza. Sono le 21 appena ma stiamo da 9 ore a girare come pazzi nel centro. Ritorniamo al nostro modulo e ci accampiamo nella sala. Qui gli immigrati ci portano due materassi che mettono a terra. Ci sistemiamo con le nostre poche cose sui materassi. Più tardi la Misericordia ci porterà delle coperte e dei cuscini. Con noi resterà solo il sostituto del prefetto vicario giunto appositamente a dare il cambio. Per proteggerci, ci dicono ,durante la notte, ( da chi ?) ci mandano tre giovanotti della digos vestititi come si vestono i poliziotti quando li mandano alle nostre manifestazioni. Jeans, borse di tela a tracolla, orecchini, felpe con cappucci, cappellini di lana . Il prefetto vicario si allunga su una panca , noi ci adeguiamo sui materassi. Un deputato che dorme a terra non lo hanno mai visto. La notte passa tranquilla ed alle otto in punto Emilia fra le rimostranze di Caruso dà la sveglia. Fatta una fugace colazione a base di caffè, ritorniamo subito nel CPA e negli uffici per avere già i primi riscontri sui fascicoli richiesti.

La notte, ci fanno sapere i compagni fuori, è passata tranquilla ed ora sono già al lavoro per rimettere gli striscioni, le bandiere, lanciare attraverso i microfoni gli appelli per la chiusura del centro. La loro voce si sente dall’interno e riusciamo nel nostro giro anche ad identificare chi sta parlando e cosa dice. Nella verifica fatta anche qui saltano fuori enormi contraddizioni che lo stesso prefetto non può che far evidenziare anche di fronte a noi stessi. Anche in questo caso l’impegno è quello di risolvere tutti i casi venuti alla luce. Finiamo il nostro lavoro alle 14. Dal governo qualche altra voce si è fatta sentire. Il tam tam nei giornali è stato enorme e tutte le Tv se ne sono occupate con interviste e filmati. Il nostro scopo è stato pienamente raggiunto ora attendiamo tutti dal governo di centrosinistra fatti concreti.