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Un’oasi nella palude

Come una rete sociale dal basso ha stravolto il destino di Aliona

Photo credit: Dario Gasparini (Una pineta sull'isola d'Elba)

Non ho mai tanto creduto al caso, quanto piuttosto alle coincidenze. Credo che certe cose, certi avvenimenti nel corso della vita, disvelino nel loro manifestarsi una sorta di aura mistica: quella granitica, eppure impalpabile percezione che ci fa affermare, con occhi pieni di meraviglia: forse Dio esiste. E non sto alludendo ad un Dio particolare, né alla forte credenza in una religione monoteista, bensì mi riferisco al pensiero che può sorgere in ciascuna persona circa il dubbio, la possibilità che esista qualcosa aldilà di ciò che appare, una trascendenza aldilà dell’oggettività.

Stavo facendo le pulizie nel mio appartamento, quella mattina di inizio gennaio, quando il cellulare squillò, lasciando lampeggiare una serie di cifre non memorizzate in rubrica.

Pronto?
Buongiorno, è Linda?
Sì, sono io. Chi parla?
Sono Aliona”, dice la voce femminile dall’altra parte. “Sono disperata, ho bisogno d’aiuto: sono appena arrivata in Italia dalla Moldavia per fare cure urgenti, ho bisogno di un trapianto di rene, sono molto grave. Ma ora non ho più i documenti, mi hanno detto che è stato tutto cancellato. Sono stata in Italia dal 2000 fino al 2015 e avevo il permesso di soggiorno illimitato, poi sono tornata in Moldavia e ora, siccome là non posso ricevere nessuna cura, neanche la dialisi, sono venuta di nuovo in Italia, ma senza documenti e senza tessera sanitaria nessuno mi vuole curare!

Due furono i pensieri che mi attraversarono udendo quelle parole sofferte e, allo stesso tempo, piene di vita. Il primo pensiero fu: ma come caspita ha trovato il mio numero? Ed il secondo: ha trovato la persona giusta. Non perché io mi ritenga una dispensatrice di miracoli, né una “santona”, ma piuttosto perché, umanamente e professionalmente (come psicologa), mi sento molto vicina al dramma delle migrazioni di massa e a tutte le conseguenze sociali, psichiche, economiche, nonché alle miserie politiche che queste intense trasformazioni demografiche stanno comportando nei Paesi di transito e di approdo dei flussi. Per la mia breve, ma variopinta esperienza, e per il tono costernato e combattivo con cui la signora Aliona mi stava chiedendo aiuto, già intuii come il vero filo conduttore del nostro incontro, prima ancora che la linea telefonica, fosse un comune sentimento di speranza.

Capisco… Ma, mi scusi, lei perché ha contattato me? Cioè, dove ha trovato questo numero?

Ho cliccato «emergenza stranieri» su Google e ho trovato questo cellulare. C’era scritto che lei aiuta gli stranieri, che va spesso in Africa e c’era anche una sua foto…

Mmm, ho capito”, più che altro, che non era il momento per parlare di come quella strana coincidenza si fosse tradotta in realtà. “Senta, provi a raccontarmi meglio la sua storia, da quando è arrivata in Italia la prima volta fino ad oggi, così vediamo cosa si può fare.

Aliona è una donna moldava di 40 anni. Quando ci scambiamo il contatto Facebook e vedo finalmente una sua foto, la fantasia che mi ero fatta del suo aspetto ascoltando la sua voce viene confermata dall’immagine di una bella donna, dall’aria curata e giovanile, piena di energie e vitalità. Indossa dei sandali con un tacco fine, elegante, e lascia ciondolare vicino alle caviglie una borsa piuttosto grande, di pelle nera: una di quelle borse fatte per contenere tante cose, tante storie, tanti pensieri. Parla benissimo l’italiano e infatti mi racconta che giunse in Italia, la prima volta, nel lontano 2000, quando lei aveva appena vent’anni e frequentava la facoltà di Economia e Finanze a Chișinău; ma la vita le costava troppo e così, non potendo più sostenere le spese universitarie, decise di raggiungere la madre a Padova, in cerca di lavoro, e terminare gli studi a distanza.

A Padova visse fino al 2006, lavorando come colf e badante. Nel 2002, con la sanatoria prevista dalla legge Bossi-Fini, ottenne un permesso di soggiorno della durata di cinque anni che le permise, dieci anni dopo, nel 2013, di richiedere la cittadinanza italiana.

Nel frattempo, Aliona aveva concluso con successo la formazione per diventare O.S.S. e iniziato a lavorare presso il centro Anffas di Venezia, città dove conobbe anche il futuro marito, anch’egli di origini moldave, da cui ebbe una figlia nel 2008.

Fu proprio con l’inizio della gravidanza che si manifestarono i primi sintomi all’apparato escretore. I valori delle analisi del sangue erano completamente sballati e, dopo diverse visite specialistiche, ad Aliona fu diagnosticata un’importante patologia infiammatoria ai reni. Fortunatamente, la rete di servizi sanitari italiana fu in grado non solo di contenere gli effetti negativi della patologia, ma anche di prevenire una sua cronicizzazione attraverso visite nefrologiche ed analisi del sangue regolari, tanto che la donna poté continuare a condurre la sua vita normalmente, con il solo ausilio di una terapia farmacologica per stabilizzare la pressione sanguigna.

Senonché, nel 2015, quando la situazione economica della famiglia aveva raggiunto un buon livello di stabilità, il marito di Aliona manifesta il desiderio di ristabilirsi in Moldavia, per ricominciare una vita nel proprio Paese. Aliona reagì alla proposta con titubanza: stava ancora aspettando (da quasi due anni, in effetti) l’esito della sua richiesta di cittadinanza, poteva finalmente godere di un’occupazione professionale soddisfacente, vedeva crescere sua figlia, nata a Marcon, in provincia di Venezia, insieme ai coetanei italiani e naturalizzarsi a questa terra; ma, più di ogni altra cosa, aveva la sicurezza di poter essere curata in ogni momento in cui ne avrebbe avuto bisogno. Come in molte storie familiari, alla fine, la volontà del padre/marito prevalse, ed i tre si trasferirono in Moldavia, in una casa acquistata al duro prezzo di tutti i sacrifici spesi in anni ed anni di lavoro in Italia.

Poco dopo essere arrivati in Moldavia, Aliona ed il marito appresero la sconfortante notizia che i carabinieri li avevano cercati a Venezia per verificare la loro residenza ed ultimare così il rilascio della cittadinanza italiana. Invece, per un soffio, loro non c’erano più e i due anni di estenuante attesa furono portati via, insieme ai quindici anni di lavoro in Italia, da una manciata di parole messe per iscritto in un verbale di procedurale ordinarietà.

In Moldavia, il marito di Aliona trovò subito una buona posizione lavorativa, che gli ha consentito di mantenere la famiglia fino ad oggi; Aliona invece, dopo la laurea in Economia, decise di iscriversi alla facoltà di Logopedia, disciplina dalla quale era rimasta particolarmente affascinata collaborando con l’équipe medico-sanitaria del centro Anffas. Quanto alla propria di salute, tuttavia, non potendo più proseguire le cure farmacologiche né sottoporsi a delle visite specialistiche, essa cominciò a peggiorare drasticamente.

In Moldavia si muore di insufficienza renale”, mi racconta, “non fanno dialisi in ospedale, tanto meno trapianti. Pensa che addirittura non si donano gli organi, perché non è ancora nella mentalità del Paese”. Per salvarsi, Aliona dovrebbe percorrere ogni giorno 150 km per raggiungere il primo centro ospedaliero dove poter essere sottoposta ad una dialisi, la cui affidabilità è, per di più, tutt’altro che garantita: “Ho sentito dire – aggiunge – che i sacchi di liquido che utilizzano sono pieni d’acqua. Questo significa che la dialisi ti porta a morire…

Aliona possiede anche la cittadinanza rumena perché, mi ha spiegato, dopo la caduta del muro nel 1989, alcuni suoi parenti che da anni vivevano quasi segregati in Romania e dei quali la famiglia di Aliona non aveva più avuto notizie, poterono finalmente farsi vivi e rincontrare i propri affetti disseminati negli Stati vicini. Molte persone moldave corsero agli uffici anagrafici per richiedere una doppia cittadinanza rumena, come segno di riavvicinamento tra i due Paesi – divisi in realtà solo da interessi politici – e di ammirazione verso la mentalità filo europea abbracciata dalla Romania.

Quindi lei è a tutti gli effetti una cittadina comunitaria, entrata in Italia con un visto turistico ed un passaporto rumeno, soggiornante regolarmente sul territorio italiano, e le viene negato il diritto di essere curata in ospedale?”, le chiesi allora spiazzata, cercando di capire quale gap tra leggi ed istituzioni stesse creando il pretesto per un problema gravissimo, eppure di fatto inesistente.

Sì, esatto, mi hanno detto che mi serve la tessera sanitaria e per farla ho bisogno della residenza, ma non posso avere la residenza se non dimostro di lavorare in Italia”, mi rispose lei con fiato corto, sempre più in preda all’angoscia.

Capii che non si trattava di un’angoscia qualsiasi, ma di un sentimento profondo e reale di tremenda minaccia per la propria sopravvivenza. Aliona mi ricordò di avere una figlia di 12 anni in Moldavia che la stava aspettando.

Era arrivato il momento di mettere ordine alle idee ed agire. In questi casi, in cui si intuisce che una soluzione c’è, ma va cercata scrupolosamente (come in una virtuosa caccia al tesoro, nella quale però a nascondersi sono gli organi deputati a svolgere determinati compiti a tutela dei cittadini, ed il tesoro è niente meno che un diritto fondamentale riconosciuto dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo sin dal 1948, ossia il diritto alla propria salute), ho scoperto essere utile aprire più strade possibili, tra le quali poi, quasi sempre, salta fuori un sentierino o un torrente, un passaggio “segreto” insomma, che le collega, portando a galla la circolarità del problema e, allo stesso modo, la possibilità di far coincidere la sua causa con la sua risoluzione.

Telefonai ad Aliona più e più volte quella settimana. Mi preoccupai anzitutto di farmi sentire presente, affinché percepisse che c’era qualcuno che la pensava, avendo a cuore il suo impellente bisogno. Le consigliai di prendere un appuntamento dagli Avvocati di Strada, a Padova, mentre io contattai lo sportello Sir (Servizi Integrati in Rete, ex Cisi) ed alcuni colleghi ed amici che mi potessero dare una mano. Tra questi, il medico Salim El Maoued, di origini palestinesi, celebre in tutta Padova per il suo instancabile impegno a favore degli immigrati e per il suo attivismo politico, mi consigliò di indirizzare la signora all’Avvocato Marco Paggi – altra figura di “umile prestigio” (dote sempre più rara) nel panorama umanitario padovano – per una consulenza più specifica.

Ne scaturì il passaggio decisivo, perché Aliona, rivolgendosi all’avvocato e riconoscendo in lui una persona tanto professionale quanto generosa, fece la scoperta che la legge, anzi le leggi, parlano chiaro, pronunciandosi totalmente a suo favore: il problema risiedeva piuttosto nella loro scorretta, o meglio, disattenta, applicazione da parte delle istituzioni. In forza di un’altra curiosa coincidenza, il dott. El Maoued e l’avv. Paggi si erano dati appuntamento, proprio in quei giorni, per discutere approfonditamente sulla questione dei diritti sanitari per i cittadini stranieri, e dal loro incontro ebbe origine ad un prezioso webinar, dal titolo “Prestazioni sanitarie e di sicurezza sociale”, consultabile sul canale Youtube al seguente link.

Nonostante la direttiva 38/2004 dell’UE sancisca il diritto alla parità di trattamento di un cittadino comunitario soggiornante in un altro Paese membro con i cittadini dello Stato membro ospitante, ivi compreso l’accesso alle prestazioni sanitarie, poiché Aliona non dispone di una tessera sanitaria rumena (dunque europea), il suo caso non rientra, quanto all’applicazione della normativa di salute pubblica, nella semplice estensione del diritto italiano al diritto comunitario.

Paradossalmente, è proprio in qualità di cittadina moldava (quindi extra-comunitaria), entrata regolarmente in Italia (pagando un visto turistico della durata di tre mesi), che la signora può far valere il proprio diritto a ricevere cure mediche. Il passo successivo per poter prolungare il riconoscimento di tale diritto fondamentale senza incorrere in ulteriori intoppi burocratici, consisterà nell’iscrizione anagrafica presso un dato comune – ciò che Aliona ha già provveduto a fare stabilendo la propria residenza presso l’appartamento della cugina, a Santa Maria di Sala, in provincia di Venezia – ed ottenere un’occupazione lavorativa regolare: due requisiti che le permetteranno di ricevere un permesso di soggiorno per cittadini comunitari a lungo termine e, di conseguenza, una tessera sanitaria europea.

A onor del vero, Aliona aveva già provato a cercare lavoro (e ancora lo sta facendo), ma la sua cagionevolezza fisica le impedirebbe, per il momento, di sostenere un’occupazione a tempo pieno e, per di più, data anche la pandemia in corso, molti datori di lavoro hanno rifiutato la sua candidatura come operatrice socio-sanitaria convinti che il medico del lavoro non approverebbe la sua assunzione, per ovvie ragioni di rischio per la sua salute.

L’Avvocato Paggi le fornisce allora tutte le istruzioni pratiche per ottenere la Tessera Sanitaria STP (per Stranieri Temporaneamente Presenti), della validità di un anno (ma prorogabile fin tanto che si protrae la condizione di urgenza delle cure mediche), presso l’Ulss 6, a partire dalla quale può richiedere un medico di base ed iniziare così l’iter specialistico per ricevere l’assistenza sanitaria di cui ha urgente bisogno.

Aliona, donna intelligente qual è, per di più con quindici anni di vita passati in Italia sulle spalle, naturalmente, agli sportelli del distretto sanitario padovano era già stata, molto prima che le venisse suggerito dall’avvocato. I dipendenti dell’azienda ospedaliera le avevano però comunicato che non era loro compito rilasciare una tessera sanitaria ad una cittadina europea che non lavorasse regolarmente in Italia. Nonostante lei avesse provato a chiedere maggiori informazioni per capirne di più, i vari segretari incontrati l’avevano sempre liquidata con vago menefreghismo, come a dire: “Non è noi che devi disturbare!”.

Dopo aver ricevuto indicazioni precise dall’avvocato Paggi, Aliona torna all’accoglienza dell’Ulss 6 di via Scrovegni, e pone la richiesta di una tessera sanitaria per cittadini stranieri regolari, temporaneamente soggiornanti in Italia. Di nuovo, viene rispedita a casa con vaghe e scocciate risposte di incurante negligenza. Aliona, esausta, richiama Paggi, il quale, a questo punto, rendendosi conto del qui pro quo sorto tra la richiesta, da parte di Aliona, di vedere riconosciuti i propri diritti sanitari fondamentali e la rigida applicazione, da parte dell’azienda ospedaliera, della normativa europea senza tener conto di tutte le informazioni personali riportate dall’utente, decide, con grande avvedutezza e spirito di solidarietà, di intervenire personalmente: telefona lui stesso alla responsabile del servizio distrettuale preposto al rilascio della tessera sanitaria STP e, dopo aver chiarito con lei le cause del malinteso, Aliona riceve finalmente il pezzo di carta in grado di cambiare per sempre la sua vita.

Quando le telefono, oggi, Aliona ha una voce tranquilla e radiosa. Non ha alcun dubbio sull’efficacia delle cure cui si potrà finalmente sottoporre, le quali, benché lunghe e faticose, spesso incespicate da farraginose prassi burocratiche, le permetteranno di continuare a percorrere la sua strada, grande e solida, in equilibrio tra due mondi, costellata da sogni di realizzazione personale ed altruismo.

Aliona vorrebbe essere trapiantata, ma essendo il suo gruppo sanguigno molto raro (zero positivo), teme che la lista d’attesa alla quale potrà iscriversi solo a luglio, sarà molto lunga. Nel frattempo ha iniziato una cura nefrologica a base di farmaci e dalla prossima settimana comincerà un training di dialisi peritoneale in ospedale della durata di circa venti giorni, al termine del quale sarà in grado di sottoporsi allo stesso procedimento in completa autonomia, a casa propria. Si tratta comunque di una terapia faticosa, che richiede quattro sedute di dialisi al giorno, ciascuna della durata di mezzora. Eppure, oltre a questa fatica, Aliona è già disposta a ricominciare a lavorare, per potersi assicurare un soggiorno più lungo del previsto in Italia, Paese dal quale è stata sia osteggiata, sia accolta ed aiutata.

Aliona incarna l’esempio di una donna capace di fare della propria fragilità una forza, e la cui femminilità – trasportata da un paio di fluttuanti tacchi a spillo – può sempre attingere ad un bagaglio di risorse emotive e psicologiche – contenute in un’elegante borsa di pelle nera – che le permettono di affrontare i propri drammi, intrecciando la propria storia con quella di persone incontrate nel posto giusto, al momento giusto.

Non so Linda, come ho fatto ad incontrarti… A volte mi dico, veramente, allora Dio esiste”, mi dice Aliona un mese dopo la nostra prima telefonata.
In effetti sono proprio questi incontri apparentemente casuali che a volte ci cambiano la vita…

Sì. Ho desiderato a lungo tornare in Italia, perché sapevo che qui avrei potuto essere curata. Adesso dovrò rimanerci almeno fino a quando avrò un rene nuovo!

Da come mi hai parlato sino ad oggi, mi è sembrato che tu, in Italia, ci avessi lasciato un pezzo di cuore…

È così. Ricordo ancora quando è nata mia figlia Alina, nel 2008, e abbiamo piantato il suo albero nell’oasi di Marcon, insieme ai genitori dei bambini nati lo stesso anno. Oggi studia al liceo italofono Dante Alighieri in Moldavia ed è la più brava della classe perché lei è nata in Italia e ci è vissuta fino ai 6 anni!

In fondo allora le sue radici sono qui, a Marcon…”, provo ad azzardare io, sapendo di toccare una corda di Aliona particolarmente sensibile.

Sì, sì, ma ora l’oasi è una zona protetta. Siamo state insieme per rivedere il suo alberello ma non si poteva entrare”, racconta lei con tono sinceramente dispiaciuto.
Chissà che questa oasi paludosa, ferita dal passaggio delle macchine scavatrici dirette alle cave, che ne hanno determinato anche il sorgere di piccoli stagni di acqua dolce, non rappresenti proprio una terra di mezzo per Aliona, sospesa tra la Moldavia e l’Italia, tra le proprie origini ed il proprio desiderio di cercare oltre, scavando a fondo nel terreno – talvolta fertile, altre volte roccioso – della vita.

Quel che è certo è che ora questa terra di mezzo è al sicuro: è zona protetta. Le fredde, distaccate istituzioni vi hanno fatto irruzione una volta, scivolando nell’inadempienza e nell’indifferenza; ma ora, a fare da guardia e delimitazione, c’è una rete solidale autentica, forse la vera anima di questo confuso Paese.

Un’altra cosa però resta ancora totalmente avvolta dal mistero: come abbia fatto Aliona a trovare il mio numero di telefono.