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Un uovo di Colombo per i flussi migratori

di Sergio Briguglio

L’ingresso di lavoratori stranieri in Italia è regolato da decreti di programmazione dei flussi, con i quali il Governo fissa il numero massimo di visti per lavoro rilasciabili, per l’anno di riferimento, a persone residenti all’estero (le cosiddette quote). Formalmente, l’ingresso di un lavoratore è autorizzato, entro le quote programmate, sulla base di una richiesta nominativa avanzata dal datore di lavoro soggiornante in Italia. Ciò rende molto difficile, se non impossibile, l’incontro diretto tra domanda e offerta di lavoro e, quindi, la costituzione stessa del rapporto, almeno per quelle mansioni per le quali non si può prescindere da una preventiva conoscenza tra le parti, come i servizi alla persona.
La conseguenza è che l’immigrazione per lavoro in Italia passa, forzatamente, attraverso un periodo di soggiorno illegale: l’incontro tra le parti avviene per vie informali, il rapporto si costituisce, e per farlo emergere si spera nei futuri decreti di programmazione.

Lavoratori fantasma

Tutto questo ha molti effetti collaterali indesiderati: condizione di soggiorno illegale prolungata per i lavoratori stranieri, rischio di sfruttamento, evasione contributiva, concorrenza aggressiva nei confronti dei lavoratori italiani, invisibilità del fenomeno (percepito, per questo, come socialmente minaccioso), eccetera.
Per di più, non è affatto ovvio che soggiorno e rapporto di lavoro possano approdare alla regolarità con la programmazione dei flussi relativa all’anno successivo: le quote vengono infatti fissate, in modo assai striminzito, sulla base di stime quasi del tutto prive di relazioni col dato reale, e a dispetto di richieste assai più cospicue avanzate da Regioni e associazioni di categoria. Per il 2006 il rapporto tra domande presentate e posti disponibili è stato di tre a uno; negli anni scorsi era ancora più elevato. Le richieste che vengono respinte corrispondono ad altrettanti lavoratori stranieri, di fatto inseriti nel mercato del lavoro, ma formalmente inesistenti. Quando la pressione di questa popolazione inesistente, ma crescente nel tempo, diventa troppo rilevante si procede all’adozione di un provvedimento di sanatoria. Dal 1987 al 2002 ne hanno beneficiato circa un milione e mezzo di stranieri: circa il novanta per cento di quanti sono riusciti ad ottenere un permesso di soggiorno per lavoro.
Le sanatorie, però, hanno due difetti principali: sono oggetto di scontro politico e sono per questo forzatamente rare, costringendo così lavoratori e rapporti di lavoro a restare per lungo tempo nel sommerso. In queste condizioni, il riuscire o meno a rientrare nella quota programmata diventa un fatto capace di cambiare la qualità della vita degli immigrati.
Data l’esiguità delle quote rispetto alla domanda effettiva, fino a oggi si è scelto di ignorare l’effetto “sanante” della programmazione dei flussi, e di curare solo una sorta di equità nell’assegnazione dei pochi posti disponibili. Si è deciso quindi di considerare esaminabili solo le domande avanzate dai datori di lavoro successivamente alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto, e di accoglierle fino a completamento della quota. Superata questa, le domande giacenti vengono semplicemente rigettate. Se, prima, le domande potevano essere presentate solo presso le Direzioni provinciali del lavoro (uno sportello per provincia), negli ultimi due anni si è consentito di spedirle dagli uffici postali (molti sportelli per provincia). Con conseguenti problemi di controllo della regolarità delle operazioni: necessità di sincronizzazione della timbratura oraria; rischio di vendita del posto in fila; spedizione di una molteplicità di domande da parte di uno stesso soggetto, per conto terzi, con esaurimento, in un sol colpo, di molti posti disponibili, e così via.

La via amministrativa

Il sistema, che pure il Governo di centrodestra ha in parte reso più fluido, è stato criticato duramente da Romano Prodi in campagna elettorale, durante il primo dei confronti televisivi diretti con Silvio Berlusconi. Dunque, dal Governo di centrosinistra ci si potrebbe aspettare una revisione radicale della normativa. È verosimile, però, che la maggioranza non abbia né la forza né la coesione interna per affrontare una riforma così rischiosa in termini di consenso elettorale. Un miglioramento drastico della situazione si può però ottenere per via puramente amministrativa. In piena conformità con le norme di legge (articolo 21, commi 4 bis e 7, decreto legislativo 286/1998), è sufficiente lasciare che le domande siano presentate durante tutto il corso dell’anno, e che siano considerate pendenti una volta raggiunta la quota fissata dall’ultimo decreto di programmazione.
Il Governo, al momento di emanare il successivo (volendo, ne può emanare diversi in uno stesso anno), valuta il fabbisogno di manodopera (anche) in base al numero di domande pendenti.
Ha così una misura diretta del dato, e non deve affidarsi alle capacità divinatorie dei tecnici. Può anche stabilire di fissare una quota più bassa di quel numero. Ma deve farlo per una ragione valida; soprattutto perché sa – e tutti lo sanno – che si tratta di lavoratori già in Italia e già inseriti nel mercato del lavoro: negare loro l’accesso alla legalità non significherebbe affatto limitare gli ingressi.
Si avrebbero molti vantaggi, in attesa di una riforma: riduzione a un anno o poco più del periodo di soggiorno forzatamente illegale; nessuna necessità di mettere su commissioni e gruppi tecnici; nessuna lotta per la sopravvivenza davanti agli uffici postali; svuotamento del problema della repressione dell’immigrazione illegale (le forze e gli strumenti esistenti potrebbero essere destinati al contrasto dei criminali, più che di colf e badanti). Basta disporre che le poste mettano a disposizione in modo ininterrotto i moduli per la presentazione delle domande o, meglio ancora, che si possano usare, per questo, i moduli scaricati dal sito del ministero dell’Interno.
La scelta del Governo di emanare un secondo decreto-flussi per il 2006 corrisponde esattamente a quanto qui proposto, vale a dire all’accoglimento delle domande giacenti. È superfluo, allora, il suggerimento contenuto in questo articolo? Niente affatto. Si applica, intanto, alle domande che saranno presentate, a quota esaurita, da oggi in poi.