Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Manifesto del 18 gennaio 2004

Un velo divisorio in piazza a Parigi di Anna Maria Merlo

Parigi – Per difendere la «libertà» di portare il velo islamico nelle scuole pubbliche, ieri a Parigi e in varie città d’oltralpe (e anche all’estero, davanti ai consolati francesi) si sono tenuti cortei di protesta, a dieci giorni dalla presentazione in consiglio dei ministri della legge sulla laicità, che proibisce nelle scuole i segni «apparenti» di appartenenza religiosa. A Parigi 20mila persone (10mila secondo la polizia), un migliaio a Marsiglia; poche centinaia nelle altre città come Lione, Mulhouse o Tolosa. A Londra, la manifestazione è stata organizzata dal gruppo radicale Hizb ut-Tahir e vi ha partecipato l’imam che era stato molto attivo nella fatwa contro Salman Rushdie. Ad Amman c’è stato un sit-in di fronte all’ambasciata francese. Manifestazioni anche ad Ankara, Istambul e persino a Gaza e in Cisgiordania, organizzate da donne vicine ad Hamas. A Parigi si è vista una manifestazione molto diversa da quelle che di solito partono da Place de la République: un’enorme differenza che era possibile constatare in diretta, ieri, visto che dalla stessa piazza è partito l’altro corteo della giornata, quello degli antinucleari, che hanno marciato a ritroso per qualche centinaio di metri, per dimostrare che il nucleare fa fare passi indietro. Nel corteo pro-velo, molte donne con il foulard doppio o triplo, come quello del Maghreb, e anche qualche faccia completamente coperta, o tutta in nero o in bianco. L’unica nota di colore erano le bandiere francesi, molto presenti, per lanciare il messaggio di fondo, riassunto dallo striscione: «Francia, sei la mia patria. Hijab, sei la mia vita».

Un cordone di uomini inquadrava le donne, al centro, che scandivano gli slogan, alcuni molto politici. Contro Chirac, ma soprattutto contro Nicolas Sarkozy, il super-ministro degli interni che, paradossalmente, ha insediato il Consiglio del culto musulmano, cioè l’istanza rappresentativa dei musulmani di Francia, interlocutore dei poteri pubblici. Il presidente del Consiglio musulmano, il rettore della moschea di Parigi Dalil Boubakeur, aveva «sconsigliato» i suoi fedeli dal partecipare a una manifestazione «inutile e controproducente». Una posizione ambigua, invece, da parte dell’Uoif (Unione delle organizzazioni islamiche di Francia) che ha la vice-presidenza del Consiglio musulmano: ha consigliato prudenza, ma poi si è associato al corteo di ieri.

La manifestazione era organizzata dal Partito musulmano, una piccola formazione fondata nel `97 da Mohamed Latrèche, un franco-algerino che vive a Strasburgo e che si è fatto conoscere per aver difeso tesi negazioniste e per posizioni antisioniste che sfumano nell’antisemitismo. «Sì, siamo degli estremisti», ha affermato ieri Latrèche. Per questo motivo l’intellettuale svizzero Tariq Ramadan, molto ascoltato nelle banlieues, ha preso chiaramente le distanze da «gruppi radicali e settari che cercano di trarre profitto dallo scontento dei musulmani e che non hanno esitato ad associarsi all’estrema destra». Più volte è stato scandito: «France, France, Allah akhbar!».

Il corteo era diverso dal solito, non solo perché aveva la tristezza di una processione di suore, una marcia senza la giocosità che esiste di solito nei cortei, ma perché ai margini c’è stata una dicussione continua, a volte anche quasi violenta, tra alcuni manifestanti – in genere uomini – e il pubblico. I giornalisti, molto numerosi, sono stati presi di mira, accusati continuamente di mostrare un brutto volto dell’islam.

La cronaca delle voci dentro e intorno al corteo è significativa. Dal camion in testa al corteo, l’uomo che lancia gli slogan ripete: «Noi non abbiamo una tv, mentre gli ebrei hanno tv, radio e giornali». Un fotografo sogghigna: «Io lavoro per Le Pen. E anche loro», aggiunge, indicando i manifestanti. Una coppia di persone di mezza età guarda perplessa. Lui ha quasi le lacrime agli occhi: «Li abbiamo accolti, noi cittadini, e adesso ci sputano in faccia. E’ molto duro, siamo di fronte a due Francie che non comunicano più». La maggioranza delle ragazze sono giovanissime, anche ad alcune bambine di 5-6 anni è stato messo il velo. Le più grandi, mentre suona la Marsigliese, brandiscono la tessera elettorale: «Un velo = un voto», dice un cartello. E’ commovente il continuo riferimento alla Francia: il punto, difatti, sta proprio nel sentimento di esclusione, che si è accresciuto negli anni e che oggi ha portato i giovanissimi ad aderire a un movimento radicale che chiede «libertà» manifestando per la sottomissione della donna.


Una ragazza non velata parla e spiega le ragioni della sua presenza. Un uomo la zittisce: «Che fa quella? Parla in nome dell’islam?». Dagli slogan più diffusi sale un messaggio nascosto, il desiderio di essere considerati parte integrante del paese. Ma la forma che ha preso questa richiesta, la voluta confusione dei radicali tra una legge che vuole solo chiarire la neutralità della scuola e una supposta repressione dell’islam tutto intero, ha tutti gli ingredienti per far aumentare ancora di più la separazione tra cittadini di diversa origine. Il 7 febbraio ci sarà un’altra manifestazione.