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dal Messaggero Veneto del 27 aprile 2007

Una telefonata dal Cpt: qui è un inferno

L’allarme, lanciato da un algerino dalla sua stanza, è subito rientrato per l’intervento degli addetti al servizio interno.

L’episodio alla vigilia della visita della senatrice Lidia Menapace (Rc)

Gradisca. «Per piacere fate qualcosa, qui sta succedendo un casino». Poche parole concitate in un italiano quasi impeccabile e, in sottofondo, urla e proteste. È stato lanciato così, con un telefonata ai quotidiani locali da parte di un “ospite” del Cpt di Gradisca (dove oggi è in programma la visita della senatrice di Rc Lidia Menapace), un allarme-sommossa fortunatamente rientrato nel primo pomeriggio di ieri.
«Mi chiamo Azuz Kaled, sono algerino, sono a Gradisca da 50 giorni e la situazione comincia ad essere davvero pesante. Siamo in tutto circa una cinquantina e in questo momento tutti rinchiusi nelle stanze, non possiamo nemmeno muoverci. Siamo trattati come detenuti di guerra, ci viene negato tutto, non abbiamo alcun diritto qui dentro e la colpa non è della polizia, che ha sempre cercato di mantenere la situazione tranquilla, ma della direzione del Cpt. Guardate che l’altra notte un ospite, perchè ci chiamano ospiti quando in realtà anche i detenuti sono trattati meglio, ha ingerito ammoniaca ed è stato lasciato un’ora a terra con dolori atroci, e nessuno è intervenuto, qui dentro di notte il medico non c’è. E poi ci costringono a dividere le celle, anzi le stanze come le chiamano loro, con tossicodipendenti, tossicodipendenti ai quali non somministrano nessuna terapia, senza considerare che non rispettano le diverse fedi religiose mettendo musulmani a contatto con altre etnie, provocando inevitabili tensioni. E due di noi, oggi, hanno protestato per avere degli indumenti nuovi e sono stati portati nella zona-rossa, in isolamento, privati anche dei cellulari. Qui dentro non ci è riconosciuto nemmeno il diritto di parlare, è una vergogna, la gente deve sapere».
In sottofondo grida, frasi concitate, tensione palpabile ma fuori dal Cpt, nel corso di un’altra telefonata con Azuz Kaled, tutto rimane tranquillo, nessuna reazione dalle forze dell’ordine all’ingresso, neanche quando di fronte alla cancellata si crea un capannello con curiosi, qualche esponente dei movimenti No- Cpt e qualche politico, tra cui Kristian Franzil, consigliere regionale di Rifondazione comunista.
La denuncia dall’altra parte della cornetta e del muro si arricchisce di nuovi elementi. «I pasti fanno schifo, ci hanno tolto tutte le lamette per la barba e siamo costretti a raderci in 50 con un unico rasoio elettrico, non ci permettono di avere più di 10 sigarette ogni due giorni. Attività ricreative? Ma non scherziamo: qui i giornali li portano se protesti, c’è la tv e un biliardino, per tutti. Il campo all’aperto c’è, è vero, ma se non c’è sufficiente personale non ce lo lasciano usare. Qui uno diventa matto, per ottenere qualsiasi cosa deve protestare. Non c’è libertà, uno rischia seriamente di impazzire e non credo che lo Stato possa imporre a una direzione di operare così in un Cpt. Gradisca, per chi ci arriva, è un inferno».
Marco Ceci


«Noi cerchiamo di evitare i problemi, non di crearli»

GRADISCA. «È vero che l’altra notte un ospite ha ingerito una sostanza detergente ma non si trattava di ammoniaca, per il semplice motivo che nel Cpt di Gradisca certe sostanze non entrano nemmeno, sono vietate dal regolamento sulla sicurezza per gli ospiti».
Fuori dal Cpt, sotto il muro di recinzione, all’ombra per sfuggire al sole e alla calura lo ha precisato il direttore del Cpt, Zotti, per la prima volta dall’apertura del centro gradiscano disponibile ad un immediato chiarimento. Un’ora abbondante a rispondere alle domande, o meglio alle denunce arrivate via cellulare da dentro il Cpt. «Noi Minerva gestiamo il Cpt, non ci occupiamo delle regole, quelle le decide qualcun altro e noi le dobbiamo rispettiamo. I problemi cerchiamo di evitarli ma forse ci si dimentica troppo spesso che il Cpt non è un centro di accoglienza ma una porta per l’espulsione dal nostro paese, noi cerchiamo solo di rendervi la permanenza il meno traumatica possibile per gli ospiti. E non è facile: 60 giorni sono tanti qui dentro, specie in un contesto multietnico e multi-religioso, dove emergono inevitabilmente i contrasti culturali, dove in certi momenti anche una mosca può diventare un grosso problema. Qui la stragrande maggioranza degli ospiti arriva dal circuito carcerario, questo lo sapete già, e certi problemi sono all’ordine del giorno, anche se oggi la situazione all’interno non è affatto così preoccupante: non c’è nessuna rivolta».
Precisazioni che diventano risposte. «Il medico l’altra notte non c’era, è vero, ma chiariamo le cose. Fino al mese scorso noi come Minerva, di nostra iniziativa, avevamo voluto l’assistenza medica 24 ore su 24 ma la convenzione ministeriale prevede una copertura obbligatoria di sole 6 ore. Ci siamo adeguati anche se abbiamo sempre messo a disposizione infermiere qualificate e creato un equipe medica che si occupa di tutto: dall’assistenza psicologica alla valutazione delle diete per casi specifici. Qui, poi, il menù lo decidono all’inizio del mese gli stessi ospiti, noi lo comunichiamo alla società convenzionata di cattering che porta il cibo sigillato e contrallato. Non sarà un ristorante ma è il trattamento che qualsiasi operaio riceve in una mensa. E poi le sigarette: anche in questo caso rispettiamo la convenzione, che ci obbliga a fornire un pacchetto da 10 sigarette ogni 2 giorni: a nostre spese, sia chiaro, come a nostre spese è la scheda telefonica da 5 euro ogni 10 giorni. Tutti si fanno la barba con un unico rasoio? Guardate, ce ne sono 5 di rasoi elettrici, nuovi, e dopo ogni rasatura li sterilizziamo con un apposito macchinario. Qui ci sono giornali, anche nazionali, riviste, c’è la Tv, ci sono iniziative ma molti ospiti le rifiutano. Tossicodipendenti? Non credo proprio: per legge un tossicodipendente riconosciuto deve essere curato fuori dal Cpt, non lo possiamo trattare noi. Isolamento? Il Cpt è sturtturato in tre sezioni: maschile, femminile e zona isolati: dove le stanze e il trattamento sono uguali in tutto, qui vengono portati solo i soggetti che tendenzialmente possono creare disordini ma nessuna punizione, figuriamoci».
Poi una confessione sugli ospiti che vengono trasportati in ospedale per casi medici “gravi”, confermata anche da uno dei due medici operativi nel centro. «Noi facciamo subito la segnalazione, interviene la guardia medica che valuta la necessità o meno di trasferirli in ospedale. Li portiamo noi, scortati, ma in ospedale non c’è l’obbligo della scorta, e vi lascio solo immaginare quanti ospiti del Cpt di Gradisca sono andati in ospedale, a Gorizia o Monfalcone, ma non sono più tornati: dileguati. Donne? Non ce ne sono più dalla scorsa estate, scelta ministeriale».
(ma.ce.)