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Unhcr – Somalia: un anno di esodi tra guerra e siccità

Davanti a violenza e fame, decine di migliaia di persone hanno cercato
rifugio nei campi per profughi della regione. Per la maggior parte hanno
marciato per giorni nel deserto, a volte per settimane, arrivando a
destinazione esausti, malati ed emaciati e spesso portando tra le
braccia i figli deboli e morenti, o i pochi beni che possedevano.

Oggi le sfide in campo sono ancora molte. Il protrarsi del conflitto e
le scarse precipitazioni stagionali continuano a indurre molte persone a
fuggire dal proprio paese, anche se in misura minore rispetto alla
scorsa estate. Nei primi 4 mesi del 2012 circa 20.000 somali hanno
cercato rifugio nei vicini Kenya, Etiopia, Gibuti e Yemen. Tra giugno e
settembre dello scorso anno, in media 40.000 somali ogni mese avevano lasciato il proprio paese.

Lo scorso Maggio, i campi dell’area di Dollo Ado in Etiopia – che già
accoglievano oltre 150.000 rifugiati – hanno registrato un notevole
incremento nel numero di nuovi arrivi, passato da meno di 980 persone
nella prima metà del mese a più di 2.000 nella seconda metà. I nuovi
arrivati raccontano di fuggire perché temono per la loro incolumità e
per la diminuzione delle risorse alimentari. In particolare citano come
ragioni della loro fuga dalla Somalia il timore di essere coinvolti in
operazioni militari, di essere oggetto di reclutamento forzato, di
patire le conseguenze delle scarse piogge e della distruzione dei
raccolti ad opera di mezzi cingolati. L’Alto Commissariato delle Nazioni
Unite per i Rifugiati (UNHCR) sta collaborando con le autorità etiopi
per identificare un sito nel quale allestire un sesto campo in
quest’area, già sovraffollata e fragile dal punto di vista ambientale.

Nel campo di Dadaab in Kenya, intanto, oltre 460.000 rifugiati
continuano a vivere in condizioni di sicurezza precarie. Resta alta la
minaccia di ordigni esplosivi improvvisati, sparatorie, rapimenti e
razzie. Tuttavia nel campo si continua a prestare assistenza e svolgere
attività. A Dadaab durante l’emergenza l’UNHCR ha assistito anche a
straordinari atti di solidarietà. Rifugiati che da anni vivono
nell’insediamento e la comunità locale hanno generosamente accolto i
nuovi arrivati, condividendo con loro tutto ciò che avevano.

Nel corso dell’ultimo anno la sfida principale e più difficile per
l’UNHCR e le agenzie partner è stata quella di ridurre i tassi di
mortalità e malnutrizione, che tra i nuovi arrivati somali hanno toccato
livelli senza precedenti.

Nonostante le cure mediche d’emergenza e i programmi di alimentazione terapeutica nei campi di Dadaab e Dollo Ado, non e’ stato possibile aiutare molti dei bambini da poco arrivati, che sono morti nel giro di poche ore o giorni. Al picco dell’afflusso la scorsa estate, il tasso di
mortalità era stimato in 17 decessi su 10.000 persone ogni giorno.

Già nelle prime fasi della crisi l’UNHCR e le agenzie partner hanno
istituito programmi nutrizionali fondamentali nei centri di accoglienza
e di transito e nei campi. Insieme alle vaccinazioni di massa e ad altre
misure di salute pubblica, questo imponente impegno ha consentito di
salvare molte vite negli ultimi 12 mesi. I tassi di mortalità e
malnutrizione hanno cominciato a decrescere dai livelli record di
settembre, ma hanno impiegato altri 6 mesi per scendere sotto i livelli
che normalmente si riscontrano in un’emergenza, ossia meno di 1 su
10.000 persone al giorno. Attualmente nei campi di Dollo Ado si registra
un tasso approssimativo medio di mortalità pari allo 0,8 per 1.000 al
mese e un tasso di mortalità infantile (relativo a bambini con meno di 5
anni) del 2,2 per 1.000 al mese. Nel complesso di campi per rifugiati di
Dadaab il tasso di mortalità approssimativo è dello 0,2 per 1.000 al
mese, mentre è pari allo 0,6 per 1.000 al mese quello relativo ai minori
con meno di 5 anni.

Un altro importante risultato riguarda la riduzione degli alti tassi di
malnutrizione, che avevano toccato quote mai verificatesi da decenni a
questa parte. Il fenomeno era particolarmente allarmante tra i bambini
rifugiati: nei mesi di giugno e luglio dello scorso anno oltre la metà
dei bambini somali che arrivava in Etiopia presentava grave
malnutrizione. Era inferiore – ma egualmente preoccupante – il tasso
registrato tra coloro che giungevano in Kenya, pari al 30-40%. Anche i
più esperti tra gli operatori UNHCR hanno dichiarato di non aver
assistito a niente di simile dai tempi della carestia del Sudan
meridionale del 1998 o della crisi alimentare di Brazzaville del 1999.

I risultati dei più recenti screening di massa mostrano un netto calo
della malnutrizione tra i bambini con meno di 5 anni di Dadaab (7%).
Anche a Dollo Ado i livelli di malnutrizione tra i minori si sono
stabilizzati e in tutti i campi di registrano trend positivi. Nei campi
di Melkadida e Bokolomayo, che furono tra i primi a essere costruiti, i
tassi di malnutrizione acuta sono scesi al 15%. L’UNHCR è attualmente
impegnato nella preparazione di uno studio di verifica nei nuovi campi
di Kobe e Hilaweyn, dal quale si attendono livelli di malnutrizione
acuta generale notevolmente ridotti.

Di pari passo con questo impegno sono andati gli imponenti programmi
per l’acqua, per i servizi igienico-sanitari e per l’igiene, che sono
risultati essenziali ai fini del diffuso miglioramento delle condizioni
di salute della popolazione di rifugiati somali.

Nel corso dell’ultima emergenza nel Corno d’Africa i paesi limitrofi
hanno sopportato l’impatto dell’esodo dei somali. Col protrarsi della
crisi in Somalia che dispiega i suoi effetti in tutta la regione, la
pressione sulle comunità locali d’accoglienza si fa enorme. È quantomai
necessario per esse ricevere un costante sostegno da parte della comunità internazionale.

Nel solo ultimo anno circa 300.000 persone sono fuggite dalla Somalia.
Ad oggi i somali che vivono da rifugiati nei vicini Kenya, Etiopia,
Yemen e Gibuti sono oltre 980.000.