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Unione Europea – Bando di finanziamento per il sostegno alle “Azioni preparatorie per la gestione dei rimpatri nel settore dell’immigrazione”

Invito a presentare proposte nel 2005

Tale bando, pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea (C 224/11) del 13.09.2005 (con scadenza il 31 ottobre 2005), è rivolto a mettere a disposizione degli Stati membri dell’Unione europea, parecchi soldi con lo scopo di sostenere progetti transnazionali che, quindi, devono cointeressare almeno due organizzazioni site in due diversi Stati membri. A titolo eccezionale si prevede comunque la possibilità di finanziare progetti proposti da un unico Stato membro, qualora presentino un effettivo valore aggiunto, per esempio in termini d’impostazioni innovatrici rispetto alla prassi degli Stati membri e degli Stati di rimpatrio. Ciò al fine di migliorare in tutti i suoi aspetti la gestione del rimpatrio dei migranti clandestini, nell’intento di sostenere e potenziare la cooperazione e la solidarietà tra gli Stati membri e di favorire la cooperazione con gli Stati nei quali avverrà il rimpatrio.

In altre parole si preferisce utilizzare un termine più eufemistico – rimpatri – senza ricorrere al termine più appropriato di espulsione.
E’ inoltre evidente che in questo modo la Commissione Europea ha inteso avviare un processo, tramite finanziamenti, di cooperazione nelle politiche e soprattutto nelle attività concretamente organizzate di espulsione, da parte degli Stati membri dell’U.E.

Per l’anno 2005 vengono messi a disposizione complessivamente 15 milioni di euro. In realtà, questa cifra – che può sembrare elevata – è bassa rispetto al costo reale delle espulsioni per ogni singolo paese dell’Unione europea.
E’ difficile provare ad immaginare quanti milioni di euro servirebbero per espellere le 700 mila persone che sono state regolarizzate in Italia con l’ultima sanatoria. Probabilmente non basterebbero 15 milioni di euro. Tutto questo per esemplificare come, dal punto di vista pratico, l’incremento di spesa non costituisca una soluzione, ma produca piuttosto una serie di riflessioni sull’opportunità o meno di mantenere le previsioni che comportano le espulsioni di intere masse di persone.

Più espulsioni, maggiore credibilità
Il motivo per cui viene messa a disposizione la cifra di cui sopra (che è solo l’inizio di un programma ben più ambizioso che analizzeremo in seguito) risiede appunto nella necessità di integrazione di una “…credibile politica riguardante l’immigrazione legale e l’asilo, ma anche un importante fattore della lotta contro l’immigrazione illegale”.
In altre parole, ciò che secondo l’impostazione di questo programma della Commissione, e non solo, costituirebbe una credibile politica in materia di immigrazione, sarebbe l’eseguire tantissime espulsioni.
La necessità di eseguire tante espulsioni – e l’inutilità di queste ai fini del contrasto reale degli ingressi irregolari – dimostra semmai la scarsa credibilità della politica dei governi in materia di immigrazione legale e asilo, come pure della stessa Unione europea che fino ad ora ha favorito un livellamento verso il basso, piuttosto che un miglioramento qualitativo delle politiche degli Stati membri.

Questo bando di finanziamento della Commissione U.E. rappresenta un ulteriore passo in avanti di una politica che non è nata oggi.
Partiamo dalla Direttiva 2003/110/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa all’assistenza durante il transito nell’ambito di provvedimenti di espulsione per via aerea ( Gazzetta ufficiale n. L 321 del 06/12/2003 pag. 0026 – 0031) , passando poi alla Decisione del Consiglio del 29 aprile 2004 (2004/573/CE) relativa alla organizzazione dei voli congiunti per l’allontanamento dei cittadini dei paesi terzi illegalmente presenti nel territorio di due o più Stati membri (G.U. n. L 261/28 del 6.08.2004) per poi arrivare alle attuali misure di finanziamento che tendono a favorire la cooperazione degli Stati nella gestione di queste misure, cioè nell’organizzazione di voli charter.
E’ recente la Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente che “stabilisce norme e procedure comuni da applicarsi negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente, nel rispetto dei diritti fondamentali in quanto principi generali del diritto comunitario, e del diritto internazionale, compresi gli obblighi in materia di protezione dei rifugiati e di diritti umani” (art. 1).
E’ giusto dire che la proposta di direttiva in oggetto adotta, almeno teoricamente, un approccio umanitario.
Per esempio, all’art. 6, comma 2 (decisione di rimpatrio) si prevede espressamente che “la decisione di rimpatrio fissa un termine congruo per la partenza volontaria di quattro settimane al massimo, salvo quando sussistono elementi oggettivi per ritenere che l’interessato possa tentare la fuga in quel periodo”

Ma già in questo caso, un operatore del settore capisce che, se il tempo messo a disposizione per l’esodo volontario è di quattro settimane al massimo, gli Stati membri nel recepire la direttiva avranno comunque la possibilità di fissare un termine di gran lunga inferiore come, ad esempio, i quindici giorni previsti nell’ordinamento italiano per lasciare il territorio.

Sempre all’articolo 6 – paragrafo 4 – si prevede che la decisione di rimpatrio non possa essere presa quando gli Stati membri sono soggetti a obblighi derivati dai diritti fondamentali, in particolare dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, come: il principio di non refoulement (non respingimento) per i richiedenti asilo fino al compiuto esame della loro domanda; il diritto all’istruzione , che lascia pensare alla condizione dei minori; il diritto all’unità familiare ovvero, forse, la possibilità di regolarizzazione continua dei familiari di un immigrato/a che in Italia sono regolarmente titolari di un reddito e di un alloggio. Addirittura si prevede che in questi casi, qualora sia stata già presa, la decisione di rimpatrio è revocata. Tali previsioni ci fanno capire come nell’ambito del dibattito sull’armonizzazione delle norme interne vi sia, almeno teoricamente, anche lo spazio per elaborare opportunità di un miglior trattamento o quantomeno per ottenere delle norme che garantiscano una minima tutela agli interessati.
E’ però giusto dire che normalmente le proposte che vengono fatte dalla Commissione sono poi soggette ad infiniti e possibili emendamenti e modifiche da parte della sfera più politica, ovvero dei governi dei paesi membri dell’Unione europea.
Da questo punto di vista l’esperienza insegna che è più facile modificare quindi perfezionare l’iter di approvazione di una direttiva nel senso restrittivo, nel senso di armonizzarla verso il basso, piuttosto che il contrario. Il timore più che legittimo – vista l’esperienza pratica di questi ultimi anni – è che alla fine vengano messi a disposizione i soldi per potenziare le espulsioni ed il coordinamento fra gli Stati membri mentre, invece, gli standard minimi di tutela delle persone soggette a questi rimpatri siano l’ultima delle preoccupazioni.