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Uno sguardo alla genesi storica della frontiera sud

Rafael Lara*, El Salto - 21 dicembre 2019

Photo credit: Irene Segovia Ponce (Protesta del collettivo Vejer sin Fronteras)

Per capire il presente spesso è necessario guardare al passato. È il caso della drammatica emergenza che si vive nella frontiera sud: è necessario provare a risolvere i processi storici che portarono il Mediterraneo occidentale a convertirsi nel profondo blocco che separa oggi le popolazioni di entrambe le coste dello stretto di Gibilterra, provocando incalcolabili morti, dolore e sofferenza.

Il Mediterraneo occidentale inizia a diventare una zona di frontiera politica e militare a tutti gli effetti durante gli ultimi anni del XV secolo, contemporaneamente al processo che porta alla conquista di Granada nel 1492, insieme ad altre pietre miliari come Ceuta per i Portoghesi nel 1415 e di Melilla per la corona di Castiglia nel 1497.

Sebbene in passato ci furono conflitti di una tale portata da coinvolgere entrambe le coste, durante secoli prevalsero relazioni di collaborazione e scambio di ogni sorta. Anche durante estesi periodi storici le estremità dello stretto formarono parte degli stessi regni, imperi o dinamiche politiche. Senza andare troppo lontano, l’Impero romano non faceva distinzioni tra le due coste dello stretto; entrambe appartenevano ad esso e la loro unione facilitava la comune esplorazione. In questa epoca lo stretto fu più che altro uno spazio di coesione politica a territoriale.

Entrambe le coste inoltre erano parte di unità politiche più ampie; per esempio, in epoca visigota, sotto l’impero di Bisanzio, durante il califfato di Cordoba, con gli Almohadi, o infine durante una parte dell’epoca dei Nasridi.

E’ a partire dalla conquista di Granada che il Mediterraneo inizia a configurarsi come un’autentica frontiera a effetti politici e militari. Frontiera interna davanti alla popolazione musulmana soggiogata e frontiera esterna di fronte ai “Barbari” e ai “Mori”.
Frontiera malgrado i desideri della regina Isabella la Cattolica, convinta che la Spagna avesse il diritto di continuare la cosiddetta “riconquista” nell’Africa come parte dell’eredità di Roma. Perfino sul letto di morte dettò un testamento che diceva: “non fermate la conquista dell’Africa”.

Senza dubbio, la dinamica espansiva della corona di Aragona, orientata verso il Mediterraneo centrale e orientale, insieme ai mezzi destinati alla colonizzazione ed esplorazione del “nuovo mondo” (Abya Yala), rimandarono i desideri di portare la “(ri)conquista” verso il nord Africa. La visione politica della frontiera sud già si era generata sotto questa visione colonizzatrice e a partire da qui si approfondì fino a perdurare ancora oggi.

La corona di Castiglia ha sempre considerato l’altra costa dello stretto di Gibilterra come il luogo dove poteva emergere la minaccia più diretta per le sue ambizioni da grande potenza nel contesto mondiale. Questo succede, in larga misura, per la grande fetta di popolazione musulmana che attraversò in maniera forzata il Mediterraneo durante la conquista di Granada. Però soprattutto per l’infame “espulsione dei mori” che costituisce un capitolo estremamente vergognoso e irrisolto della nostra memoria storica. Tutta quella popolazione musulmana fu espulsa in maniera violenta e massiccia durante il regno di Filippo III tra il 1609 e 1613, e si stanziò, per fronteggiare la propria sopravvivenza e con un dolore incalcolabile sulle loro schiene, nell’attuale Marocco, molti di quelli nella regione settentrionale Rif.

La monarchia spagnola considerava la frontiera dello stretto facilmente aggirabile grazie alle “armate musulmane”. L’obiettivo di preservare le terre peninsulari dai futuri attacchi provenienti dal Maghreb portò dunque la monarchia castigliana da un lato alla fortificazione della costa andalusa e, d’altra parte, alla conquista di determinate enclaves, ai loro occhi pienamente giustificata, per ragioni puramente difensive. Vista da una prospettiva più moderna, considereremmo queste azioni come analoghe allo sviluppo di una guerra preventiva, come abbiamo visto in Iraq o Libia.

Queste campagne di conquista erano destinate anche a minare i vincoli e le reti esistenti fra i due territori, utilizzando un potente discorso ideologico per presentarle alla popolazione come una crociata gloriosa di “lotta contro l’infedele”, “continuazione della riconquista”, “la croce contro l’Islam”… strategia che, esattamente come nei momenti di grande debolezza, permetteva, inoltre – e nonostante i suoi magri risultati reali – di incrementare il prestigio della monarchia nel contesto europeo.

Così, durante la seconda metà del secolo XV e la prima del XVI, la Castiglia occuperà successivamente i territori delle attuali Melilla (1496), Mers-el-Kébir (1505), la rocca di Velez de la Gomera (1508), Oran (1509), la rocca di Algeri, Béjaia e Tripoli, Biserta, Tunisi e La Goletta; mentre il Portogallo concentrava la sua espansione coloniale sul litorale atlantico, prendendo le attuali Ceuta (1415), Ksar es-Seguir (1458), Tangeri (1471), El Jadida (1502), Agadir (1505) e la provincia di Essaouria (1516).

Tutte queste conquiste furono concepite come un sistema di occupazione ristretta e strategica, senza necessità di addentrarsi né vincolarsi con il continente. Più che colonie, queste piazze furono sempre presidi di carattere militare, caratteristica che ebbero per esempio Ceuta e Melilla fino all’inizio del XX secolo. Il concetto di frontiera si attua evidentemente nella funzione che compiono queste roccaforti di controllo di una zona marittima o terrestre.

Successivamente la comparsa e il consolidamento progressivi del sultanato della dinastia alauì [soprattutto durante i regni di Ismail (1672-1727) e Muhammad III (1757-1790)] fu un fattore scatenante per la perdita successiva di quelle roccaforti. E anche nel secolo XVII Filippo III conquisterà Larache e Mehdya, nell’attuale Marocco, all’inizio del secolo XIX solo mancavano Ceuta, Melilla e le roccaforti per completare il dominio spagnolo.

D’altra parte, l’altra grande preoccupazione della monarchia spagnola fu la fortificazione delle coste. Sebbene Filippo II aveva già disegnato un piano per sé, il forte impulso di fortificare le coste venne dalla mano del re Carlo III, soprattutto dopo la presa di Gibilterra da parte dell’Inghilterra nel 1704 (formalizzata dal trattato di Utrecht del 1713), che accentuò il carattere di frontiera di tutto lo stretto con le relative militarizzazione, contrabbando e incremento delle attività piratesche. Così, Carlo III dispose per questo la costruzione e la ristrutturazione di più di sessanta fortezze al largo della costa andalusa, sia torri tronconiche che altri tipi di fortificazioni.

La sfortunata espressione (razzista) “ci sono mori sulla costa” trova qui la sua origine. Chi ha sentito parlare del SIVE (Sistema Integrato di Vigilanza Esterna) dovrebbe sapere che fu inventata molti secoli fa con lo stesso intento.

Passando in rassegna con occhio critico la storia di questa frontiera sud, dobbiamo segnalare che una buona parte dell’immaginario negativo che la popolazione spagnola ha nei confronti del Marocco e della sua gente, lo deve proprio a quelle fonti interessate al potere monarchico del Medioevo. Questa visone anacronistica e distorta che si mantiene ancora oggi si è andata completandosi sulla base di pregiudizi e stereotipi nei secoli a seguire, che continuò ad ampliarsi e a scavare il fosso fra i due popoli che, senza dubbio, hanno tanto in comune.

Arrivando al triste momento attuale di un Mediterraneo caricato di recinti, fili spinati e concertine, pattuglie, droni e uno schiacciante dispiegamento militarizzato che, come dicevamo, provoca solamente sofferenza, dolore e morte, in conformità con un enorme numero di violazioni di diritti umani.