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Usa – Iniziati i raid anti migranti voluti da Trump

Camilla Camilli, Globalproject - 17 luglio 2019

Photo credit: AP

Nel giro di pochi giorni il presidente Donald Trump ha dato una stretta ad una politica migratoria già piuttosto limitante ed esclusiva che ha caratterizzato la sua amministrazione fin dall’inizio. Questa volta lo ha fatto attaccando i migranti sia sul fronte interno sia su quello esterno.

Per quanto riguarda ciò che accade all’interno dei propri confini, Trump ha scelto di estendere la militarizzazione, già avviata da tempo lungo la frontiera meridionale, ad altre aree del proprio paese. L’idea di inviare gli agenti dell’ICE (United States Immigration and Customs Enforcement) alla ricerca di immigrati irregolari non è altro che un tentativo di accrescere il controllo e la diffusione della paura e degli stereotipi razzisti utili solo ad alimentare un clima di odio e ritorsione verso migliaia di messicani e centroamericani che da tempo vivono negli Stati Uniti.

A questa decisione si sono contrapposti numerosi politici a loro volta duramente attaccati dal presidente. Tra questi le deputate democratiche della Camera Alexandria Ocasio-Cortez, Rashida Tlaib, Ayanna Pessley e Ilhan Omar che si sono sentite rispondere “tornate a casa vostra” dal tycoon, anche se – tranne che per Ilhan Omar nata in Somalia – gli Stati Uniti sono proprio il luogo dove sono nate. Non sono bastate però le critiche degli oppositori, né tanto meno quelle proveniente dai repubblicani stessi, per fermare l’attuazione della nuova legge.

Una vera e propria caccia all’uomo fatta di casa in casa che potrebbe avere, tra le varie conseguenze, la disgregazione di intere famiglie, con i genitori deportati nei loro paesi d’origine e i figli mandati in qualche struttura di accoglienza.

Un provvedimento al quale l’amministrazione Trump non è nuova. Da una parte gli agenti dell’ICE si difendono affermando che i loro raid colpiranno solo coloro che hanno già un ordine di espulsione e che rappresentano una minaccia per il paese, dall’altra le cosiddette città-rifugio, obiettivo principale di queste operazioni, si sono schierate in difesa dei migranti. Tra queste New York, Chicago e San Francisco hanno chiesto alle proprie forze di polizia di non collaborare con gli agenti dell’ICE; mentre associazioni che si occupano della tutela dei migranti si sono mobilitate per informare i migranti circa i loro diritti.

Negli stessi giorni Trump ha di fatto negato la protezione ai migranti centroamericani che vogliono raggiungere gli Stati Uniti. Con il nuovo provvedimento, infatti, non sarà più possibile fare richiesta di asilo negli Usa se si ha già attraversato un altro stato, cosa che per chi proviene dai paesi dell’America Centrale è una scelta obbligatoria e spesso anche rischiosa.

Secondo Trump questa mossa servirà ad ostacolare coloro che sfruttano la politica migratoria statunitense per ottenere un permesso, anche se è già stata attaccata duramente dall’ACLU (American Civil Liberties Union), la quale l’ha definita illegale e contraria alla politica migratoria che caratterizza gli Stati Uniti.

Le eventuali richieste di asilo potranno essere valutate solo da coloro che le avanzeranno mentre si trovano ancora nel loro paese d’origine. Quindi, da quegli stessi paesi dove i migranti vengono minacciati ogni giorno e che non possono più permettersi il lusso di aspettare che la burocrazia faccia il suo corso. Oppure, verrà loro concesso di fare richiesta di asilo mentre risiedono in Messico, dove dovrebbero rimanere fino alla fine del processo di valutazione.

Tutto ciò non rappresenta affatto un miglioramento visto che più volte è stata dimostrata l’incapacità dello stato messicano di far fronte all’emergenza migratoria che lo attraversa. Inoltre, si è più volte rifiutato di dichiararsi “paese sicuro” anche per non dover far fronte a questo tipo di responsabilità.

Di fronte a tutto ciò la risposta di Trump all’attuale crisi migratoria non è altro che il promuovere un modello repressivo che si estende oltre i confini degli Usa, arrivando a fare pressioni sui paesi del Centro America maggiormente coinvolti dal fenomeno migratorio (Guatemala, Honduras e El Salvador).

Trump ha minacciato di togliere loro gli aiuti umanitari promessi se questi non porranno un freno alle partenze di migranti. Di conseguenza, invece che ripensare a politiche migratorie volte a garantire la sicurezza delle persone coinvolte e, in generale, a combattere la corruzione e la violenza che dilagano al loro interno, i paesi del Centro America hanno scelto di piegarsi alle ingerenze degli Stati Uniti.

Tutto ciò pone i migranti in una situazione sempre più vulnerabile e alla mercé di coloro che ne minacciano la sopravvivenza, cercando di limitarne la mobilità e la possibilità di costruirsi un futuro migliore da un’altra parte. Le forme di solidarietà dal basso avviate dalle città santuario degli Stati Uniti, così come la dimostrazione che tali norme non scoraggiano la decisione di partire da parte dei migranti, sono la miglior forma di disobbedienza messa in campo in questo momento.