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Ventimiglia: cronaca dalla frontiera dove finisce lo stato di diritto

Ecco il "Piano Alfano": la testimonianza di un'operatrice legale

Giovedì 26 Maggio, ore 9.00. Al campo ci sono “solo” una cinquantina di ragazzi. Gli altri, circa 200, sono alla Caritas a ritirare il pacchetto della colazione: 1 scatoletta di tonno, ¼ di baguette, un pezzo di colomba.
Il “campo” altro non è se non un’ansa polverosa del fiume, ricoperta da tende e giacigli fatti di stracci e cartoni dove i profughi sostano in attesa di riuscire a passare la frontiera italo-francese, al sicuro dalle forze di polizia. Mancano servizi igienici, accesso all’acqua potabile e all’elettricità. Gli arbusti vicino alla riva sono diventati la toilette e il fiume è l’unico posto in cui lavarsi. Con l’aiuto dei solidali al centro del campo, sotto un telone sono stati montati due grandi braceri, su cui si cerca di cucinare direttamente sul posto un pasto caldo per tutti. I ragazzi si organizzano in gruppi di “chef” e si cucina insieme. In una tenda è stata allestita la cambusa dove vengono stivate le provviste: tutte donazioni di cittadini solidali. In un’altra tendina poco lontano sono riposti gli scatoloni contenenti medicine e materiale di primo soccorso. Sono stati portati da un gruppo di medici genovesi che a turno, appena possono, si recano al campo per prestare un minimo di assistenza sanitaria.
Giungono già voci circa l’imminente sgombero del campo. Alcuni abitanti del quartiere hanno raccolto delle firme per chiedere al sindaco di chiudere il campo e l’amministrazione comunale sta decidendo cosa fare. Cresce l’ansia ma non rimane che aspettare.
Nel frattempo continuo l’attività di monitoraggio. Sto cercando di raccogliere testimonianze su quanto sta accadendo ai profughi che vengono fermati a Ventimiglia. Da settimane, sul confine italo-francese l’autorità di polizia applica uno schema repressivo basato su rastrellamenti-identificazione forzata attraverso intimidazioni e percosse – espulsione amministrativa; uno schema punitivo ideato per sanzionare e condannare alla clandestinità quei profughi colpevoli di aver provato a fuggire dall’Italia per andare a chiedere asilo in un altro paese dell’Unione Europea. Mi siedo affianco a un gruppo di giovani ragazzi sudanesi e chiedo se posso raccogliere le loro testimonianze riguardo alle violenze subite durante l’identificazione, sia negli Hotspot che a Ventimiglia, e se abbiano ricevuto un decreto di espulsione.
A. tira subito fuori dalla giacca dei fogli piegati: è il decreto di espulsione con cui la polizia lo ha rilasciato la sera prima dopo averlo portato in commissariato per procedere con l’identificazione forzata. Mi dice che ormai al campo più della metà dei ragazzi ha un “paper” come il suo, ma che non capiscono che cosa sia. In commissariato i poliziotti parlano solo in italiano e il testo (tradotto in inglese, francese e spagnolo) è per loro incomprensibile.
Prendo in mano i fogli: il decreto di espulsione e l’ordine di allontanamento sono del tutto identici nel contenuto a quelli già visti nelle precedenti interviste. I moduli preimpostati si differenziano solamente per il nome del destinatario. Il primo atto è il decreto con cui il prefetto ordina l’allontanamento del soggetto mediante l’uso della forza pubblica ai sensi dell’art 13 co.2 lett a) TUI, perché “è entrato nel territorio italiano sottraendosi ai controlli di frontiera” e sussiste un rischio di fuga dato dal fatto che il soggetto in questione è privo di documenti. Il secondo foglio riporta invece l’ordine con cui il Questore, preso atto che è impossibile procedere all’allontanamento forzato del soggetto perché privo di documenti e che è impossibile trattenerlo in un CIE, gli intima di lasciare il territorio italiano entro 7 giorni. L’incoerenza del sistema espulsivo è evidente. Nessuno dei profughi potrà ottemperare all’ordine di allontanamento perché sono privi sia di documenti per l’espatrio sia delle risorse economiche per pagare un volo di ritorno. L’unico effetto di quell’atto è rendere ancora più difficile, se non negare, l’accesso alle procedure di asilo, escludendo i profughi da ogni tipo di assistenza e condannandoli all’irregolarità.
Cerco di non farmi sopraffare dalla rassegnazione e continuo ad ascoltare A.: “Abbiamo provato a passare il confine di notte passando per la ferrovia ma i francesi ci hanno fermati e ci hanno mandati indietro. Alla stazione di Ventimiglia ci aspettava la polizia italiana. Ci hanno portati al commissariato. Quando mi hanno chiesto di mettere le mani avanti per prendere le impronte mi sono opposto. Ho provato a dirgli che mi avevano già preso le impronte dell’indice e del pollice sinistro a Trapani e gli ho mostrato il foglio che mi hanno dato lì, ma nessuno capiva e non gli importava. Un agente mi ha tirato degli schiaffi forti in faccia e mi ha tenuto le mani per prendere le impronte di tutte le dita. Un altro ragazzo che era con me è stato colpito più forte. Non riusciva più a sentire.” Il ragazzo di cui parla si chiama Mustafa. Pochi giorni prima è stato soccorso al campo da Lia e Antonio, due medici volontari. Si ferma vicino a noi poco dopo, mi indica l’orecchio e mima il segno di “botte” con la mano, poi sorridente mi dice “hospital, now better”, alzando il pollice in gesto di “OK”.
Dopo aver preso le impronte mi hanno dato questi fogli”, continua A. “Un poliziotto in inglese mi ha detto “you must go away. Seven days”. Poi ci hanno rilasciati e siamo tornati al campo. Proverò ad attraversare ancora, finché non riuscirò ad arrivare in Francia e poi in Inghilterra, dove c’è mia sorella.
Al mio traduttore M. invece è andata meglio. Anche lui ha provato ad attraversare la frontiera. Quando è stato rimandato alla polizia italiana si è sentito in trappola. Sapeva che lo avrebbero portato in caserma e che gli avrebbero dato il decreto di espulsione perché aveva sentito i racconti di altri fermati i giorni precedenti. L’idea di poter essere rimandato in Sudan, dove è stato vittima di una persecuzione crudele in quanto oppositore politico, lo terrorizzava. Appena è stato riconsegnato alla polizia italiana ha iniziato a implorare un agente “I want to stay here in Italia. I ask asylum”. Fortunatamente mi dice, parla un po’ l’inglese ed è riuscito a farsi capire dal poliziotto che con lui “è stato buono” . Anche lui è stato condotto in commissariato ma in un diverso ufficio. Gli sono state prelevate di nuovo le impronte e poi, senza interprete, gli è stato consegnato il foglio contenente l’invito a recarsi presso l’ufficio stranieri della Questura di Imperia per la formalizzazione della richiesta di asilo. Il testo dell’invito è tradotto solo in inglese, lingua che lui non è in grado di leggere. L’appuntamento sarebbe questa mattina. Chiamiamo la Questura e li convinco a far spostare l’appuntamento.

Venerdì 27 Maggio. Alle ore 13, è stata notificata ai migranti tramite affissione l’ordinanza con cui il sindaco, ormai ex-PD, Ioculano, ha ordinato lo sgombero “per motivi di igiene, sanità ed incolumità pubblica e sicurezza urbana…della sponda del fiume Roja –zona Roverino, sotto il viadotto di Corso Limone Piemonte, nei parcheggi adiacenti la Via Tenda e nel piazzale della stazione ferroviaria”.
I gradini e il marciapiede fuori dalla stazione, infatti, sono tornati ad essere il luogo dell’attesa per una cinquantina di migranti.
La stazione è presidiata da esercito e polizia. Un piccolo plotone attende al binario i migranti che scendono dai treni provenienti da Genova: tre poliziotti della Polizia ferroviaria percorrono il binario in lungo e in largo e fermano i migranti; due alpini con mitra appeso al collo piantonano le scale del sottopassaggio, pronti a fermare i fuggitivi.
M., viene accompagnato a formalizzare la richiesta di asilo. Nel pomeriggio è di nuovo al campo. Nessuna formalizzazione per lui oggi: deve tornare tra una settimana e solo allora verrà indirizzato verso il suo centro di accoglienza. Nel frattempo non gli rimane altra scelta che tornare a dormire sotto al ponte.

Sabato 28 Maggio intorno alle ore 18, migranti e attivisti solidali si sono riuniti in assemblea per decidere cosa fare. Un senso di inquietudine e paura pervade entrambi. Dove ci si può spostare? Quale sarà la reazione delle forze dell’ordine in caso di inottemperanza? E se vengono a sgomberare prima dello scadere delle 48 ore?
I solidali ormai lo hanno visto e I migranti lo hanno provato sulla loro pelle: la polizia a Ventimiglia usa la forza in maniera illegittima e imprevedibile. Sgomberare il campo entro la scadenza e muoversi uniti in un’altra zona non coperta dall’ordinanza sembra l’unica soluzione per proteggersi da una retata della polizia.

Domenica 29 Maggio, ore 13. E’ scaduto il termine previsto dall’ordinanza per sgomberare il campo. L’ordinanza è stata rispettata: alle ore 12, dopo aver pulito il campo, ci spostiamo insieme verso la spiaggia (zona non coperta dall’ordinanza) percorrendo la riva del fiume sotto la pioggia. Sono state aperte delle tende per ripararsi. C’è una grande confusione. Alle 15.00 un gruppo di solidali porta un pasto caldo che viene distribuito in spiaggia.
Nel frattempo è arrivata la notizia: è stato disposto il dispiegamento di 150 uomini, 5 pullman e 2 aerei pronti per partire da Genova, per procedere celermente all’“allontanamento” coattivo dei migranti da Ventimiglia. Nonostante l’ordinanza sia stata rispettata “la caccia all’uomo nero” continua.
Purtroppo devo tornare a casa. Lascio la spiaggia mentre è ancora in corso l’assemblea. Ho il cuore in gola.
Le notizie che arrivano nelle ore successive fanno pensare allo Stato di Polizia: si fugge dalla repressione bussando alle porte di una chiesa, mentre altri profughi dispersi per la città vengono rastrellati. Altri vengono tirati giù dai treni a Ventimiglia e a Genova per poi essere caricati su pullman diretti chissà dove.
Due pullman partono in direzione Genova. All’aeroporto Cristoforo Colombo è pronto un volo delle Poste Italiane s.p.a diretto a Catania. Pare che la destinazione finale per i migranti deportati sia il Centro Accoglienza Richiedenti Asilo di Mineo.

Tutte queste operazioni avvengono nell’illegalità totale: nessuna norma di legge le permette. Ai profughi non è stato notificato alcun tipo di provvedimento che indichi le ragioni del trattenimento né è gli è stata data la possibilità di entrare in contatto con un avvocato. Sono atti materiali di polizia sottratti da qualsiasi forma di controllo da parte dell’autorità giudiziaria. La Costituzione Italiana riceve l’ennesima pugnalata.

Ore 17. Passo per la stazione di Genova Piazza Principe, un furgone della polizia è già pronto all’esterno. Sui binari i poliziotti hanno appena tirato giù dal treno diretto a Marsiglia altre tre persone. Questa mattina ne erano state fermate altre 13. Della loro sorte non sapremo nulla.

Ore. 22. La polizia entra in chiesa. Undici persone solidali vengono fermati, trattenuti in caserma per essere identificati e banditi dalla città con fogli di via. La stessa sorte toccherà il giorno seguente ad altre due persone colte in flagrante a distribuire cibo a un gruppo di profughi terrorizzati. Ripenso alla definizione dei destinatari di misure di prevenzione personali disposte dal questore prevista dall’articolo 1 del Codice Antimafia. Mi chiedo da quali elementi di fatto il questore abbia dedotto che si tratta di soggetti “dediti alla commissione di reati che mettono in pericolo la sicurezza pubblica”… offrire cibo e informare i migranti sui loro diritti è forse reato?

Martedì 31 Maggio alle ore 22. Notizie da Catania. Di 52 migranti deportati da Ventimiglia solo 43 si trovano ancora all’interno del Cara. Dei 9 che sono fuggiti, 6 erano minori non accompagnati eritrei. Sono stati intercettati dagli attivisti di Borderline Sicilia e Rete Antirazzista Catanese alla stazione, in attesa di partire in pullman per Roma. Avevano già il biglietto che gli è stato procurato da uno dei  trafficanti di terra che orbitano intorno a Mineo. Risaliranno nuovamente lo stivale nella speranza di riuscire un giorno a passare il confine e di potersi ricongiungere con i loro parenti nel Nord Europa.
Gli altri 43 sono stati incontrati dai medici e gli psicologi di MEDU, cui il martedì è permesso di entrare nel Cara per prestare assistenza. Pare che siano Afghani, Ivoriani, Sudanesi ed Eritrei e che tra questi ci siano dei minori.
Minori.
Vado a dormire, consapevole che domani giungeranno nuove notizie di abusi, ma che continuerò a impegnarmi affinché “diritti umani” e “stato di diritto” non rimangano belle parole stampate sui libri che affollano la mia scrivania, affinché possa essere restituita ai migranti quella dignità che oggi gli è negata.

Leggi l’articolo di Antonio e Lia di Medu su lesioni da tortura

Video “I profughi caricati a forza sul volo per la Sicilia, Ballerini: “Non vanno trattati così”, da Repubblica.it