Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
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da Liberazione del 31 agosto 2005

Verona, i rom accolti in chiesa. Sostenuti dai centri sociali

di Paola Bonatelli

Di nuovo la chiesa, di nuovo il territorio sacro dove rifugiarsi quando sembra che non vi sia più nessuna speranza. Come i sans-papier francesi, come i migranti di Treviso buttati fuori tre anni fa dalle loro case rase al suolo, da due giorni a Verona una cinquantina di rom rumeni, a rischio di espulsione dall’Italia, sono accampati in chiesa a S.Tomaso, a due passi dall’Arena.
Fuori, sui muri di cotto che risalgono al 1400, sono appesi i cartelli scritti con l’aiuto degli attivisti del csoa “La Chimica” che sostengono i rom in questa protesta: “No all’esclusione Sì ai diritti di cittadinanza” e “Dopo tre anni di finte promesse più di 15 famiglie rom rischiano l’espulsione”. Ce n’è anche uno fatto da loro “Verona nostra città non perdere speranza diritto di vivere”. Dentro, sul pavimento e sui gradini degli altari, sono disseminate trapunte e coperte su cui dormono bambini piccolissimi, tra cui molti neonati. C’è un viavai di giovanissime madri coi figli al collo e altri bambini che corrono scalzi per la chiesa. Il parroco, don Carlo Vinco, è un prete di frontiera. Tra i fondatori del “Cireneo”, associazione che si occupa dei malati di Aids. Don Carlo è da sempre dalla parte dei più deboli. Con la sua opera è riuscito ad intaccare quel velo di indifferenza che copre questa città ben pasciuta, dove la Lega la fa da padrona. È lui che officia messe ai funerali per chi muore da clandestino; l’ha fatto per Cesar Karwoski, morto nel 2000 in un incendio scoppiato in un ricovero di immigrati, l’ha fatto per Joan Suciu, stritolato l’anno scorso dentro un cassonetto (a lui e alla ricerca dei suoi parenti ha dedicato un libricino uscito nel giugno scorso). Don Carlo è stato colto di sorpresa dall’irruzione delle famiglie rom, ha avuto un momento di irritazione, poi ha provveduto alla prima assistenza.
Lidia è una donna di mezza età ma sembra più anziana; ha il diabete ed è gravemente malata al fegato. È lei che prende la parola per prima: “Vogliamo quelli del Comune – grida – che venga il sindaco a dirci in faccia perché ci vuole mandare via”. Lidia, che come gli altri stava al campo rom di Boscomantico, ha saputo venerdì scorso di non essere inserita nel numero di quelli che verranno trasferiti nel nuovo campo, in allestimento da mesi per conto del comune. Non ha il permesso di soggiorno e il comune ha deciso che il trasloco avverrà solo per chi è in regola: “Questa esclusione – spiegano Filippo del csoa e Roberto del Coordinamento migranti – ha provocato sorpresa e disperazione. Sono loro, i rom, che ci hanno chiesto di aiutarli in questa lotta per i diritti e contro la Bossi-Fini. una legge brutale, che provoca la deportazione di intere famiglie, di persone malate, che sono persone conosciute, seguite da sette anni, che avevano fino a pochi giorni fa un’aspettativa di vita diversa. È contro queste logiche che i migranti si ribellano e – aggiungono – saranno sempre di più”.
Nessun segnale, per ora, dal Comune, salvo, l’altra sera, la presenza di alcuni consiglieri comunali della maggioranza, del tutto spaesati, e dei consiglieri Giorgio Bertani (Verdi) e Fiorenzo Fasoli (Rifondazione). Proprio dalla Festa in Rosso, che si svolge in questi giorni in città, arrivano la sera cibo e bevande per grandi e bambini. La sera, sul sagrato, c’è movimento. S’è fatto una passeggiatina davanti alla chiesa, con alcuni suoi fidi scherani, anche Flavio Tosi, della Lega Nord, 27.000 preferenze alle ultime amministrative, assessore alla Sanità della Regione, già condannato in primo grado per violazione della legge Mancino proprio a causa di una violenta – nei toni – campagna contro gli zingari. Qualche momento di tensione, un improvviso aumento di poliziotti, poi il parroco l’ha convinto che era meglio per tutti se tornava a casa. Finora comunque nessuno degli occupanti ha ricevuto il decreto di espulsione. Anzi, a parere del dirigente della questura, Ferdinando Malfatti, è possibile che alcuni di loro siano sanabili, una volta esaminate le singole posizioni: Stiamo aspettando – dice – di avere una lista dei nomi degli adulti presenti in chiesa, per confrontarle con quelle forniteci dal comune. Per ora non pensiamo di intervenire, anche perché non è stato commesso alcun reato. La chiesa è aperta ai fedeli e il parroco ha dichiarato la sua disponibilità a dare rifugio a questa gente”. Passa Ania, che ha il pancione e una figlia piccola per mano, lei potrebbe avere il permesso per gravidanza, ma le assistenti sociali e gli operatori della comunità dei giovani le hanno proposto di andare in un istituto, lasciando il marito al suo destino. Ania non vuole, e come lei tutte le altre nella sua situazione: “Il comune ci ha tradito – dice – ci ha fatto promesse, i nostri bambini sono andati a scuola, hanno preso anche il diploma e adesso ci cacciano. Non vogliamo sparire nel nulla”.