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Vittima di tratta: non è necessario sia consapevole del rischio cui va incontro, se detto rischio risulta concreto sulla base delle emergenze istruttorie adeguatamente apprezzate nel merito

Tribunale di Bari, ordinanza del 13 luglio 2020

Una pronuncia del tribunale di Bari, la cui Corte ha riconosciuto il diritto alla protezione internazionale ad una cittadina proveniente dalla Nigeria riconosciuta vittima di tratta.

Il tribunale, definitivamente pronunciando sulla causa promossa avverso il diniego emesso della Commissione Territoriale di Foggia sull’istanza di Protezione Internazionale, riconosceva lo status di rifugiata in quanto vittima di “tratta”, considerando che, in base alle Linee guida UNHCR, la tratta di persone, il cui principale obiettivo è quello di trarre profitto dallo sfruttamento di esseri umani, è una pratica proibita dal diritto internazionale (art. 5 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE). Infatti, le succitate Linee guida delineano il fenomeno di tratta attraverso tre elementi inferenziali: il reclutamento e il trasporto delle vittime in connection house; la minaccia di impiego della forza o di altre forme di coercizione; lo sfruttamento della vittima mediante atti di violenza, tra cui il rapimento, l’inganno e la prostituzione forzata (cfr. https://www.unhcr.it/wpcontent/uploads/2016/01/linee_guida_protezione_int.pdf).

Elemento essenziale della pronuncia è costituito dalla considerazione che, per rientrare nell’ambito dell’art 1 della Convenzione del 1951, la vittima di tratta potrebbe non aver lasciato il proprio Paese a causa di un fondato timore di persecuzione, ma tale timore potrebbe essere sorto dopo che essa è espatriata (cfr. https://www.unhcr.it/wpcontent/uploads/2016/01/linee_guida_protezione_int.pdf).

Pertanto la Corte decideva secondo il principio: laddove vi sia un soggetto che ha subito violenza in luoghi differenti rispetto al proprio Stato d’origine, l’esistenza di un fondato timore di persecuzione deve essere valutato non in senso soggettivo, ma, sulla base dei dati oggettivi connessi alla situazione esistente nel Paese d’origine della richiedente al fine di comprendere se in tale Paese vengono o meno messi in atto meccanismi legislativi tali da contrastare il fenomeno della tratta (v. https://www.unhcr.it/wpcontent/uploads/2016/01/linee_guida_protezione_int.pdf).

La Corte ha dedotto quindi, che “a ben vedere, lo Stato nigeriano in alcun modo è in grado di arginare gli agenti persecutori e le autorità nigeriane si mostrano incapaci di offrire un’efficace protezione alle vittime di tratta“. Come si apprende dalle informazioni EASO, aggiornate a novembre 2018, “v’è un preoccupante incremento di n. 4.371 donne e ragazze nigeriane vittime della tratta, le quali ricevono un’assistenza molto limitata da parte delle autorità e delle organizzazioni locali. Alcune donne che sono state rimpatriate sono ancora indebitate nei confronti delle persone che le hanno coinvolte nella tratta” (cfr. https://coi.easo.europa.eu/administration/easo/PLib/2018_EASO_COI_Nigeria_TargetingIndividuals.pdf ).

Il Tribunale, a mezzo di una ordinanza ragionata e piena di riferimenti normativi, attenta alle attuali condizioni vigenti e alla luce delle considerazioni che precedono e dell’attività di agenti persecutori privati che, in alcun modo lo Stato nigeriano è in grado di arginare, riteneva che dovesse essere riconosciuto lo status di rifugiata.

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Tribunale di Bari, ordinanza del 13 luglio 2020