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Vittime e carnefici. I 300 mila bambini soldato nel mondo

Intervista all'Avv. Maria Stefania Cataleta, Lega italiana dei diritti dell'uomo

Settanta capi d’accusa per crimini di guerra e crimini contro l’umanità a carico. Eppure non è affatto facile, sia per la Corte penale internazionale dell’Aja che lo ha messo a processo che per le nostre coscienze, stabilire se Dominic Ongwen è più un carnefice o una vittima. Perché Dominic Ongwen, uno dei leader più importanti di quell’Esercito di resistenza del Signore (Lra), ritenuto responsabile di migliaia di stupri e di torture, di almeno 100 mila assassini e di aver rapito oltre 60 mila minori per trasformarli in bambino soldato, è stato lui stesso un bambino soldato. Un bambino che gli integralisti cristiani dell’Lra, che insanguinano l’Uganda per instaurare un regime basato sui Dieci Comandamenti, fa hanno fatto sprofondare nell’inferno una quarantina di anni fa: rapito, abusato, torturato fisicamente e psicologicamente, costretto a compiere atti indicibili sino a che lui stesso non è diventato uno dei comandanti di quello stesso esercito ed ha cominciato a fare a tanti altri bambini tutto quello che avevano fatto a lui. E Dominic Ongwen è solo uno dei tanti. I dati dell’Unicef infatti parlano di oltre 300 mila minori arruolati nei conflitti di tutto il mondo e costretti a fare il lavoro più sporco della guerra. Quello che nemmeno un soldato di mestiere dovrebbe mai fare. Come torturare i civili o ammazzare i prigionieri. O correre sui campi minati per aprire il passaggio alle proprie truppe, come facevano nella guerra tra l’Iran e l’Iraq, per guadagnarsi un posto tra i martiri di dio.

Lunedì 12 febbraio, si è svolta la giornata che le nazioni Unite hanno dedicato al fenomeno dei bambini soldato. Gli Ordini dei Giornalisti e degli Avvocati del Veneto hanno organizzato un incontro formativo sul tema nella sede dell’Ateneo veneto, Venezia. Qui abbiamo incontrato l’avvocata Maria Stefania Cataleta, una dei rari legali italiani abilitata al patrocinio innanzi alla Corte penale internazionale, oltre che al Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda, alle Camere Straordinarie presso le Corti della Cambogia e al Tribunale Speciale per il Libano. Maria Stefania Cataleta si interessa alle tematiche inerenti la violazione dei diritti umani sia come avvocata che come attivista di associazioni nazionali ed internazionali come la Lega italiana dei diritti dell’uomo, la prima associazione italiana in questo campo, e l’Association Europeenne pour la Défense des Droits de l’Homme.

Cominciamo con qualche dato. Si stima che nel mondo ci siano più di 300 mila bambini costretti a vivere con un fucile in mano. Quali sono i Paesi dove la pratica è più diffusa?

Anche se il Myanmar presenta l’esercito di bambini più numeroso al mondo, è l’Africa il Paese più colpito dal fenomeno, con circa 100 bambini-soldato. In Sudan, si stima vi siano 22 mila bambini-soldato distribuiti tra l’esercito governativo e i ribelli del Sudan People’s Liberation Army. In Uganda, circa 20 mila piccole reclute sono state assoldate dall’Esercito di Resistenza del Signore e nella Repubblica Democratica del Congo i minori coinvolti nel conflitto, specie nella regione di Ituri, sarebbero tra i 23 e i 30 mila, molti dei quali anche di 7 anni. Come anticipavo, in Myanmar esiste l’esercito di piccoli guerriglieri più numeroso, con circa 70 mila bambini al servizio delle truppe governative. Ma anche la Colombia è responsabile di questo flagello, con circa 14 mila minori, di cui alcuni hanno anche 12 anni, arruolati nelle diverse fazioni armate e milizie paramilitari.

Cosa si intende per bambino soldato? E quale è l’età in cui vengono portati via alle loro famiglie?

Conformemente alla definizione partorita nel 1997 a Città del Capo in occasione dei lavori della Conferenza organizzata dall’UNICEF sulla prevenzione, la smobilitazione e la reintegrazione sociale dei bambini-soldato, questi ultimi sono “tutte le persone, maschi o femmine, con meno di 18 anni, appartenenti ad un esercito regolare o ad un gruppo comunque armato, arruolate su base volontaria o con la forza”. Tuttavia, l’espressione riguarda anche chi ricopre ruoli di cuoco, portatore, messaggero, spia o venga arruolato ai fini di sfruttamento sessuale o costretto al matrimonio. La definizione, quindi, non riguarda solo i bambini che portano le armi. La loro età media risulta essere al di sotto dei 13 anni e questo vuol dire che vengono arruolati anche bambini molto piccoli, di 7 anni o meno.

Non parliamo solo di bambini, quindi. Anche le bambine vengono arruolate?

Sì. L’Unicef stima che circa il 40 per cento dei bambini-soldato al mondo sia rappresentato da bambine, che vengono impiegate in combattimento o sfruttate come schiave sessuali. Nelle Farc della Colombia, un quarto dei bambini-soldato era costituito proprio da bambine.

Contrariamente a quanto si crede, il fenomeno dei bambini soldato non è solo legato solo a formazioni integraliste o comunque irregolari. Gli arruolamenti di minori sono una pratica diffusa anche tra le truppe governative e approvata, implicitamente o esplicitamente, da Governi i cui rappresentanti siedono all’Onu. Ma stiamo parlando solo di Paesi poveri oppure questa pratica è diffusa anche nei Paesi ricchi e cosiddetti “democratici”?

Anche in Europa o nel nord America ci sono bambini arruolati precocemente pur se in questi Paesi occidentali il fenomeno ha una diversa connotazione. Per esempio, negli Stati Uniti la legge fissa a 17 anni l’età per l’arruolamento nell’esercito e per la partecipazione ad operazioni di guerra. Minori hanno partecipato alle campagne militari in Afghanistan, Iraq, Bosnia, Somalia e nella Guerra del Golfo. Inoltre, il Programma giovanile dei Marine, lo “Young Marines“, recluta bambini dell’età di 8 anni. Mentre in Gran Bretagna, paradossalmente, vi è una situazione altrettanto allarmate, poiché il governo londinese è l’unico in Europa che manda regolarmente in combattimento ragazzi di 17 anni. Il reclutamento di questi giovani soldati avviene tramite le scuole militari quali le Cadet Forces, che arruolano ragazzi e ragazze tra i 12 e i 13 anni.

I conflitti sono cambiati negli ultimi tempi. Maneggiare un kalashnikov non richiede la stessa preparazione e lo stessa forza fisica di una spada o di un arco. E neppure dei fucili in uso nello scorso secolo. Una interessate ricerca di una studiosa veneziana, Cristina Gervasoni, spiega come la guerra oggi non sia più un mezzo ma un fine ed i conflitti che hanno essenzialmente una ragione finanziaria, anche quando questa è mascherata da fedi religiose o nazionalismi, finiscono per autoalimentarsi: la guerra si fa per le risorse e le risorse servono per la guerra. I bambini hanno un ruolo preciso in tutto ciò?

Secondo lo studio di questa ricercatrice, nei conflitti contemporanei, i bambini sono reclute preziose. Il mutamento di morfologia di questi “conflitti per le risorse”, da internazionali a non internazionali, ha anche dilatato la durata degli stessi, che possono protrarsi per decenni. Questo richiede un costante ricambio di reclute per supplire alle perdite. Tali nuove reclute sono state individuate nei bambini. Questi ultimi, in quanto alternativa al reclutamento degli adulti, moltiplicano la capacità militare dei gruppi armati, che grazie a loro possono rigenerarsi facilmente e rimpiazzare rapidamente le perdite. Il ricorso ai fanciulli, inoltre, abbatte i costi, poiché nella maggior parte dei casi essi non vengono pagati.

Come dire che la guerra è diventata un bene di consumo – forse l’unico – al quale anche, e soprattutto, i più poveri possono accedere facilmente! Ma quale è il ruolo dei bambini nella guerra? Come combattono, come vengono impiegati? E le bambine?

Posso fornire un esempio. Nell’Esercito di Resistenza del Signore, capeggiato dal sanguinario Joseph Kony, attualmente ricercato dalla Corte penale internazionale, dopo una iniziazione cruenta, caratterizzata dall’uccisione brutale di familiari o amici, i piccoli guerrieri vengono divisi in gruppi di dieci affinché familiarizzino. Poi uno di loro viene allontanato ed accusato di essere un disertore. Viene, così, ordinato ai suoi compagni di braccarlo ed ucciderlo. Solo dopo questo “battesimo del fuoco” saranno considerati “soldati di Dio”. Dopo un periodo di addestramento, alcuni bambini vengono destinati alla prima linea. Vengono formati plotoni di circa 40 fanciulli che agiscono come squadre d’assalto, con il compito di sparare a raffica con le loro armi automatiche. Ad altri bambini vengono assegnati altri compiti tra i quali la posa di mine, azioni di spionaggio o di sorveglianza. Mentre alle bambine vengono affidati anche altri compiti legati alla sussistenza dei militari, al trasporto di materiale, ma vengono sfruttate sopratutto sessualmente o date in mogli ai comandanti. Quelle che rimangono incinte sono costrette a combattere prima e dopo il parto. Lo sfruttamento sessuale procura alle bambine molti problemi fisici e psichici, tra cui malattie come la sifilide e l’Hiv, alcune muoiono a seguito delle violenze. Inoltre, la nascita di un figlio, a seguito dello stupro, ostacola sia la fuga che il reinserimento nella comunità di origine.

Uno dei Paesi più colpiti da questa vergogna è la Repubblica Democratica del Congo. Le fazioni in lotta sono una mezza dozzina, legate ad oligarchie locali e sostenute da finanziarie occidentali con forti interessi nel campo estrattivo. In particolare, ad arruolare i bambini sono anche gruppi estremisti cristiani, mi può dire qualcosa di specifico sul fenomeno in atto su in questo Paese?  

Il conflitto nella Repubblica Democratica del Congo è stato definito la prima guerra mondiale africana, per il coinvolgimento di eserciti appartenenti a diversi Stati. Si ritiene che tutte le parti in lotta abbiano utilizzato bambini e continuino a farlo. Le forze armate congolesi hanno ammesso la presenza di minorenni tra i propri ranghi, mentre tra i numerosi gruppi di ribelli il fenomeno è più massiccio, al punto che vi sono veri e propri contingenti composti solo da piccoli soldati, come l’Unione dei Patrioti Congolesi, con circa 15 mila bambini-soldato. In molte fazioni armate, come i Mai Mai, che reclutano bambini con la forza, il 40% dei combattenti è formato da ragazzini.

Come vengono arruolati i bambini? Sono rapiti, convinti spontaneamente o venduti dalle famiglie?

Il reclutamento di bambini da utilizzare come soldati può avvenire in modo coercitivo, attraverso il rapimento, oppure ottenendo il loro “consenso” mediante tecniche di persuasione. Nella maggior parte dei casi si tratta di soggetti fragili e poveri, quali orfani, bambini di strada, esuli, che vengono rapiti negli orfanotrofi, a scuola o nei villaggi. Alcuni, invece, si arruolano “volontariamente”, tuttavia occorre tener conto del contesto in cui tale decisione viene maturata, quasi sempre si tratta di una scelta spinta dalla necessità di salvezza o di sopravvivenza.

Quali sono i mezzi con i quali questi bambini vengono trasformati in soldati e spinti a compiere azioni sanguinose?

E’ molto semplice trasformare un bambino in un combattente, si usa la violenza così come la persuasione. Spesso si fa ricorso all’uso di droghe, tranquillanti e alcolici, unitamente al ricatto e alla manipolazione mentale. Una delle droghe più utilizzate in Liberia e Sierra Leone è la “brown-brown“, cocaina o eroina tagliata con polvere da sparo. Se non vi sono aghi, si fanno delle incisioni sulle tempie o sulle braccia del bambino dove si applica la sostanza, che così circola rapidamente nell’organismo e provoca in poco tempo l’assuefazione.

Tutto questo rende assai difficile recuperare alla società civile un bambino che è stato sottoposto a tali torture fisiche e mentali. Sono stati fatti dei tentativi ed è stato ottenuto qualche risultato positivo? Come?

L’articolo 39 della Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo prevede che gli Stati si impegnino ad adottare provvedimenti per agevolare il recupero psicofisico ed il reinserimento sociale di ogni bambino vittima di un conflitto armato. Tuttavia, la fissazione dell’età minima per il reclutamento a 15 anni risulta incoerente sia rispetto al principio per cui sono minori tutti i soggetti con un’età inferiore ai 18 anni, sia rispetto al principio di non discriminazione sancito nella Convenzione stessa per cui i diritti enunciati devono essere garantiti ad ogni minore senza distinzione di sorta. Importante in tale campo è stata anche la risoluzione delle Nazioni Unite n.1261 del 1999, che ha inserito il tema dei bambini-soldato nell’agenda del Consiglio di Sicurezza, in quanto questione attinente al mantenimento della pace e della sicurezza internazionali. Lo stesso Statuto della Corte penale internazionale include tra i crimini di guerra la coscrizione e l’arruolamento dei fanciulli di età inferiore ai 15 anni nelle forze armate nonché la loro partecipazione attiva alle ostilità, prevedendo anche forme riabilitative per le vittime di questo crimine di guerra. Rilevante è anche il Rapporto “Machel” del 1996, documento ufficiale delle Nazioni Unite volto a sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni su questa problematica.
In seguito alla sua pubblicazione, sono stati negli anni destinati fondi e programmi per la smobilitazione, la riabilitazione e la reintegrazione dei bambini vittime dei conflitti armati. Infine, è stato istituito l’Ufficio del Rappresentante Speciale del Segretario Generale per i bambini in situazioni di conflitto armato. Tuttavia, una innovazione, a mio modo di vedere, essenziale sarebbe quella di innalzare a 18 anni il limite di età per l’arruolamento, ciò che ha cercato di fare il Protocollo Opzionale alla succitata Convenzione, poiché mantenere il limite a 15 anni vuol dire considerare un minore di 18 anni immaturo per la pace e maturo per la guerra. Molto lavoro, dunque, resta ancora da fare.

Riccardo Bottazzo

Sono un giornalista professionista.
La mia formazione scientifica mi ha portato a occuparmi di ambiente e, da qui, a questioni sociali che alle devastazioni dei territori sono intrinsecamente legate. Ho pubblicato una decina di libri tra i quali “Le isole dei sogni impossibili”, edito da Il Frangente, sulle micronazioni dei mari, e “Disarmati”, edito da Altreconomia, che racconta le vice de dei Paesi che hanno rinunciato alle forze armate. Attualmente collaboro a varie testate cartacee e online come Il Manifesto, Global Project, FrontiereNews e altro.
Per Melting Pot curo la  rubrica Voci dal Sud.