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Voci libiche: squarci di cielo nei campi di detenzione

Proteste, respingimenti e uccisioni: la situazione dentro e fuori dai campi di Tripoli

A Tripoli il primo ottobre scorso sono riprese le attività di Medici Senza Frontiere nei centri di detenzione di Al-Mabani (Ghout Sha’al), Abu Salim e Shara Zawiya1, interrotte alcuni mesi fa a seguito di ripetuti episodi di violenza contro migranti e rifugiati, che toglievano sicurezza anche al personale medico. Lo stesso giorno, è cominciata un’operazione di arresti di massa di migranti e rifugiati, compresi donne e bambini. Dopo qualche giorno, il 6 ottobre, sulla situazione le equipe tornate operative hanno pubblicato sulle loro pagine un resoconto, secondo il quale il numero di migranti e rifugiati sarebbe più che triplicato nei cinque giorni precedenti. Secondo questo report, solo nei tre giorni precedenti almeno 5.000 persone erano state rastrellate intorno a Tripoli dalle forze di sicurezza governative. Secondo i racconti, molte delle persone sono state prese all’interno delle loro abitazioni e sottoposte a gravi violenze fisiche, compresa la violenza sessuale.
Stiamo vedendo le forze di sicurezza adottare misure estreme per detenere arbitrariamente più persone vulnerabili all’interno di strutture gravemente sovraffollate e dalle condizioni disumane. Intere famiglie che vivono a Tripoli sono state fermate, ammanettate e trasportate in diversi centri di detenzione. C’è chi è stato ferito e chi persino ha perso la vita, mentre diverse famiglie sono state divise e le loro case ridotte in cumuli di macerie”, ha dichiarato Ellen van der Velden, Responsabile delle operazioni MSF in Libia.

Il report documenta che nel centro di Shara Zawiya, pensato per 200-250 persone, i membri di MSF ne hanno contate più di 550, tra cui donne in gravidanza e bambini appena nati rinchiusi nelle celle; un bagno ogni 120 persone, secchi pieni di urina fuori dalle celle. “Al momento della distribuzione dei pasti, è scoppiata una grande agitazione, le donne hanno protestato contro le condizioni in cui sono trattenute all’interno del centro.” Non è molto diverso a Ghout Sha’al, in cui il sovraffollamento delle celle arriva a costringere in piedi le persone.

Questi dati non sconvolgono se consideriamo che fanno parte di un generale incremento dei mezzi detentivi nel paese, documentato già da inizio anno. Secondo un rapporto di Amnesty International, nei primi mesi del 2021 i guardacoste libici hanno intercettato in mare e rimpatriato in Libia circa 15.000 persone, un numero maggiore rispetto all’intero 2020. Le persone catturate e fatte sbarcate nei porti libici rimangono senza tutela: in queste operazioni tese e caotiche è consentito solo un accesso sommario alle organizzazioni umanitarie che non consentono un’adeguata valutazione dei loro bisogni e delle loro difficoltà, per non parlare dell’individuazione di persone che richiedono protezione internazionale. Migliaia di persone sbarcate sono finite in centri di detenzione, un numero calcolato in 6.100 persone alla fine di giugno 20212.
Si tratta di una storia di raccapriccianti violazioni che si perpetuano da più di un decennio in quel pezzetto di terra lanciato nel Mediterraneo, dall’altra parte del nostro mare che divora corpi. Il viaggio blu di questa rotta parte dall’Africa Subsahariana e del Vicino Oriente, dall’Eritrea, dalla Somalia, dall’Iraq, dalla Palestina, e prima di gettarsi nel mare resta imbrigliato nella rete della detenzione anche per anni. Si prova a fuggire.

Il 9 ottobre Dossier Libia ha reso pubblico un video3 che documenta un tentativo di fuga da Ghout Sha’al. Dall’interno di un’auto, la camera da presa inquadra un paio di migranti, e poi altri dieci e altri venti dietro di loro, finché il conto si perde nello stuolo che si riversa su quelle strade sterrate. Se qualcuno guardasse il video senza saperne nulla, probabilmente non avrebbe l’impressione di una fuga, ma di una folla che accorre. Si sollevano delle urla; non delle urla di paura, rabbia o disperazione, ma di vittoria, irrompono nel silenzio della città come richiami tribali per consacrare qualcosa, la fine di una guerra, o di un rito di passaggio che riscatta da vecchie prigioni.
Dall’interno del campo, i medici di MSF hanno una prospettiva diversa di chi non è riuscito a riversarsi in quella strada: “Durante la visita al centro di Al-Mabani, il nostro team ha visto migranti e rifugiati che cercavano di scappare. Il gruppo è stato fermato con una violenza inaudita: membri del nostro staff hanno sentito colpi di arma da fuoco per due volte di seguito e hanno visto un gruppo di uomini picchiati in modo indiscriminato e poi stipati con forza in alcuni veicoli verso una destinazione sconosciuta.
Durante la fuga, la polizia libica ha sparato causando la morte di sei persone. La notizia è stata confermata dal capo dell’ufficio dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni nella capitale libica; secondo Federico Soda, funzionario dell’OIM in Libia, il centro di detenzione di Ghout Sha’al ha una capacità di 1.000 detenuti, ma ce ne sono più di 3.000, di cui circa 2.000 fuori dall’edificio principale ma all’interno del perimetro del complesso. “Questa detenzione è arbitraria”, ha dichiarato. “Molti di loro hanno i documenti in regola ma sono bloccati nel paese.

Al chiuso delle celle maleodoranti, lo spirito resiste. I migranti denunciano questa arbitrarietà. Insieme al video, Dossier Libia ha ricevuto e pubblicato una lettera in cui un gruppo di migranti e rifugiati, impigliati nelle prigioni libiche da anni, denuncia questa arbitrarietà. Nella lettera, disponibile integralmente4, un groviglio spietatamente ordinato di sogni infranti e delusione, vengono elencati i fallimenti di un governo centrale incapace di gestire la complessità africana. A dispetto di tutto il letame da cui si sollevano, queste voci sono vibranti, come quelle di chi nel video urlava contro il cielo terso: “We are the citizens of this continent and these soils that we travel through, we demand to travel to all African countries freely without obstructions. No African child should be called a migrant in the African Union and member states, we need peace, security, education and infrastructure. The African Union and member states have legal obligations to ensure that we meet these expectations.

E forse nelle ultime ore è stato fatto un punto anche sulla trafila di incostituzionalità di cui l’Unione Europea e l’Italia si macchiano sistematicamente e coscientemente, trattando la Libia come paese sicuro e riportando indietro i migranti che salpano. Il Tribunale di Napoli ha stabilito con una sentenza che affidare i migranti alla cosiddetta guardia costiera libica è reato; in questo modo, da ora in avanti qualsiasi nave civile coinvolta nei respingimenti rischia un processo e una condanna.
La sentenza è giunta a seguito della condanna a un anno di reclusione del comandante di Asso 28, un rimorchiatore di proprietà della compagnia Augusta coinvolto nelle attività petrolifere sulle piattaforme al largo della Libia, nonché mercantile usato da ENI. Quel giorno, l’ormai lontano 30 luglio 2018, il comandante di Asso28 prestò soccorso a 101 migranti giunti in prossimità della piattaforma; una volta portati in salvo, accettò di consegnarli a Tripoli. Nello Scavo 5 si è occupato del caso. “Durante il trasferimento dei migranti verso Tripoli, a bordo della nave italiana «era presente anche un rappresentante della guardia costiera libica che – insistevano fonti vicine alla compagnia di navigazione – presidia ogni piattaforma che opera nelle sue acque territoriali e ha gestito l’operazione di soccorso in totale autonomia»”, ha affermato. Al comandante sarebbe stato dunque ordinato dalla guardia costiera libica di riportare i migranti in Libia. A proposito di questo respingimento, Mediterranea Saving Humans nel 2020 aveva pubblicato la testimonianza di N.6.
Non la forza del diritto né gli accordi presi per mare da chi si rende complice dei respingimenti; solo le storie concrete, solo le testimonianze della parte debole hanno la forza per colmare di senso le fughe soffocate nel sangue e le piccole resistenze nelle prigioni degli aguzzini libici.

  1. https://www.medicisenzafrontiere.it/news-e-storie/news/libia-attivita-tripoli/
  2. https://www.amnesty.it/appelli/fermiamo-la-detenzione-la-tortura-rifugiati-migranti-libia/
  3. https://dossierlibia.lasciatecientrare.it/uccisi-sei-migranti-che-tentavano-di-fuggire-dal-campo-di-concentramento-di-ghot-shaal/
  4. https://twitter.com/RefugeesinLibya/status/1446229300496281610/photo/4
  5. Sentenza. Migranti consegnati ai libici, prima condanna in Italia per un comandante https://www.avvenire.it/attualita/pagine/migranti-consegnati-ai-libici-prima-condanna-in-italia
  6. https://mediterranearescue.org/news/storia-di-n-mediterranea/

Rossella Marvulli

Ho conseguito un master in comunicazione della scienza. Sono stata a lungo attivista e operatrice nelle realtà migratorie triestine. Su Melting Pot scrivo soprattutto di tecnologie biometriche di controllo delle migrazioni sui confini europei.