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Viaggio lungo il confine tra Serbia e Ungheria

Photo credit: Andrea Toto', #overthefortress

Naif, 25 anni, è uno studente universitario di chimica. E’ siriano, nato in un villaggio vicino Aleppo. E’ l’unico del suo paese a dormire nella vecchia fabbrica di mattoni alle porte di Subotica. Quando lo vediamo, ed è il primo incontro che facciamo, ci racconta che è rimasto solo, dopo che quella mattina la polizia serba è arrivata e ha fermato tutti i suoi connazionali. 25 per l’esattezza. Lui per fortuna è riuscito a scappare. Ci fa sedere intorno al fuoco davanti alla sua tenda e ci mostra le foto del bombardamento delle case vicino alla sua. Intorno ci sono immondizia e vetri rotti. Piano piano ci raggiungono altre persone. Qui alla fabbrica di mattoni adesso ci sono principalmente pachistani, bloccati lì ormai da diversi mesi.

Photo credit: Andrea Toto', #overthefortress
Photo credit: Andrea Toto’, #overthefortress

Siamo arrivati a Belgrado in mattinata e abbiamo raggiunto la Provincia autonoma di Voivodina in auto. Subotica, 140mila abitanti moltissimi dei quali di origine ungherese, si trova a una manciata di chilometri dalla frontiera magiara. Nella zona intorno alla stazione da tempo si ammassano migranti che percorrono la rotta balcanica in cerca di un ingresso in Europa. Ci risulta siano principalmente uomini, per la maggior parte, pachistani e afgani ma anche siriani e iracheni. Oltre alla fabbrica di mattoni i migranti vivono sparsi nelle campagne circostanti, in piccoli gruppi. Ci sono diversi adolescenti, minori che viaggiano con amici o cugini. L’impressione è che a questo punto della rotta balcanica arrivino solo “i migliori”, il frutto di una sorta di triste selezione naturale: quasi tutti giovani uomini, sani ed economicamente sereni. Già perché il viaggio costa caro: dal Pakistan alla Turchia in aereo, poi in nave fino in Grecia, infine con auto, treni e mezzi di fortuna fino qui. Costo 7.000 euro. Destinazione Europa.

Organizzazioni umanitarie locali non ne vediamo: gli aiuti, dal cibo al vestiario, fino all’assistenza sanitaria, sono affidati ai volontari internazionali. Durante la distribuzione dei pasti appaiono gli uomini dell’UNHCR del tutto passivi: osservano senza avvicinarsi troppo. L’impressione è che in questo luogo l’assenza che pesa di più sia quella dell’assistenza legale. I migranti ignorano del tutto le regole d’accesso ai paesi che attraversano. La cosa drammatica è che le conseguenze le vivono letteralmente sulla loro pelle. Lo chiamano il “game”, il gioco: si tratta del tentativo di passare il confine con l’Ungheria. Ma di scherzoso questo gioco non ha nulla. La polizia magiara li aspetta dall’altra parte con i manganelli e gli insulti. I cani sono spesso lasciati senza museruola, liberi di attaccare i migranti che vengono presi a calci, adolescenti compresi: “Hai presente una partita di pallone?” ci dice uno di loro. Pestaggi di ore in 17 contro uno. I loro cellulari vengono rotti, lo spray urticante negli occhi è una pratica frequente. I migranti vengono spesso spogliati, bagnati con l’acqua e lasciati al freddo. In questa zona a gennaio c’erano 20 gradi sotto zero e a chi entrava in Ungheria venivano tolti gli abiti e fatti stendere sul ghiaccio. C’è chi il confine ha provato a superarlo anche quindici volte. La polizia ungherese è sempre stata lì ad aspettare. E tutto questo nel drammatico silenzio della comunità internazionale.

Photo credit: Andrea Toto', #overthefortress
Photo credit: Andrea Toto’, #overthefortress

Insieme a due volontari abbiamo raggiunto anche la cittadina di Kelebia, proprio al confine con l’Ungheria, uno dei due varchi, insieme a quello di Horgos, dove i migranti che da mesi si trovano nei campi governativi serbi, possono ancora passare legalmente il confine. Il numero di coloro che vengono fatti entrare si è ridotto a cinque al giorno. E nella gestione della lista d’attesa – ci dice Clément, un volontario francese – sono state commesse tantissime irregolarità. I funzionari – dice – sono corrotti e spesso hanno venduto i posti in lista al miglior offerente.

Photo credit: Andrea Toto', #overthefortress
Photo credit: Andrea Toto’, #overthefortress

Raggiungiamo la “transit zone” tra i due confini, a fianco del passaggio per le auto, con la dogana serba e ungherese ci sono ancora le strutture dismesse con i simboli della ex Jugoslavia. Qui troviamo soltanto sei migranti, quattro marocchini e due iracheni. Sono demoralizzati e non sanno più come mantenersi. Ma ci sono evidenti i segni di bivacchi molto più estesi. Fino a poco tempo fa in stabili dismessi e in altri ripari di fortuna, dormivano da queste parti almeno un centinaio di persone ogni notte. E provavano a passare illegalmente il confine. Ora è quasi impossibile. Lì, a pochi metri, ecco la doppia barriera voluta dal presidente ungherese Orban. La rete metallica, in cima, ha un filo “rasoiato” pieno di lamette. A distanza di pochi metri l’una dall’altra ci sono telecamere e rilevatori di calore che permettono di individuare chi si avvicina anche di notte. E poi, in territorio ungherese, appena oltre il “muro”, i container. Quelli dove, secondo la legge da poco approvata dal parlamento magiaro, non solo i migranti che entrano nel paese ma ora anche i minori non accompagnati, possono essere detenuti fino al termine dell’esame della loro richiesta di asilo politico.

Di R.M. e M.V.
#overthefortress