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La prima notte della Campagna Welcome

Welcome arriva a Lampedusa

Solidarietà dei Lampedusani ed assenza dello Stato

Ed è proprio così.
I migranti circolano disorientati nell’isola completamente spaesati senza aver alcun punto di riferimento, se non i cittadini e alcuni operatori di ong , sotto lo sguardo delle forze dell’ordine in preda al panico dopo l’ultimo sbarco.
Gli sbarchi non possono essere definiti tali, nessuno arriva diretto nella costa e nessuno raggiunge direttamente il suolo senza essere stato prima ancorato dalla guardia costiera e trainato verso riva: a 50 miglia dalla costa infatti le imbarcazioni di fortuna vengono intercettate e condotte nel porto lampedusano. E’ la dimostrazione del fatto che proprio quest’isola e non altre coste, è stata scelta come unico luogo dell’emergenza, valvola regolabile a comando in base alle necessità della politica, che sulla spettacolarizzazione di questo luogo contratta con l’Unione Europea fondi e poteri.
Il centro di accoglienza i primi giorni dopo l’apertura è esploso per l’eccedenza dei migranti che hanno di gran lunga superato il numero della popolazione.
Inizialmente una zona dello stesso centro era stata adibita all’accoglienza delle donne e dei minori non accompagnati. Ma l’aumento degli migranti ha reso necessario l’individuazione di un nuovo luogo per l’accoglienza dei più vulnerabili, il Museo del mare che il Comune ha concesso per l’esigenza. Un’altra soluzione che dopo poco si è dimostrata insufficiente ed ingestibile, come capiamo dai tanti minorenni dall’aria un po’ smarrita che a noi chiedono dove andare, a chi rivolgersi, come fare.
Appena arriviamo nel porto da dove seguiamo in diretta il collegamento con Annozero, decine e decine di migranti ci circondano con mille domande, ci chiedono consigli, ci chiedono che ne sarà di loro, quale soluzione è prevista, ma soprattutto che tutti hanno le famiglie in Francia ad aspettarli. Il timore più serio è quella di essere rimpatriati in Tunisia. Rispondiamo che il Governo lo farebbe immediatamente se potesse e che il trasferimento da Lampedusa verso la terraferma non significa libertà ma detenzione in campi, che Lampedusa è una pedina in uno scacchiere politico in cui l’Italia sta cercando di collocarsi. Cerchiamo di spiegare che ancora nulla è stato deciso, e che insieme dobbiamo capovolgere definizioni ed etichette, come quella di clandestini appiccicata a loro.
Nella spiaggia di fronte al porto si ergono numerose tende montate su barconi capovolti.
Elemento sconvolgente della prima serata passata nell’isola è di sicuro l’assenza dello Stato, anche in termini di aiuti e servizi basilari: una città militarizzata, i migranti abbandonati a se stessi, l’acqua in esaurimento, le condizioni igieniche preoccupanti. L’unica ancora di salvezza è l’intervento della cittadinanza, che nonostante sia preoccupata dell’avvicinarsi della stagione turistica (il turismo è la principale fonte del guadagno), non smette di offrire tutto il suo sostegno ai migranti.
Ne è un esempio l’associazione Askavusa che insieme ai migranti organizza gruppi di pulizia delle strade dell’isola, che rischiano di essere invase dai rifiuti.
Dopo queste prime ore, capiamo che innanzitutto qui serve acqua, cibo, coperte, bagni, luoghi dignitosi dove dormire. E poi il veloce svuotamento di questa isola-prigione, attraverso il riconoscimento della forma di protezione umanitaria.
Diritto di soggiorno europeo, questo è il primo passo necessario per la costruzione di una accoglienza.

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