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Un'intervista sulla situazione alla frontiera tra Messico e Stati Uniti

I 1.500 kilometri di frontiera fra il nord del Messico e gli Stati Uniti è uno dei confini più militarizzati al mondo.

Muri alti 3/4 metri e l’uso di tecnologie avanzate per il suo controllo, rendono sempre più difficile l’ingresso di chi dal centro e sud America cerca di raggiungere gli States.

A questo si aggiungono corpi di «pattuglie volontarie», spesso armate, che si sono dati il nome di Minutemen (così si chiamavano i volontari durante la rivoluzione statunitense), attivi soprattutto in Arizona, e i “coyoteros”, loschi personaggi che organizzano l’attraversamento del confine facendosi pagare migliaia di dollari, per poi spesso abbandonare i migranti nel deserto.

Nell’ultimo anno e mezzo la pressione dei flussi si sta concentrando sull’Arizona.

In questa fetta di deserto l’anno scorso hanno trovato la morte 180 “sin papel”.

La governatrice repubblicana di questo stato ha raggiunto un accordo bilaterale con lo stato messicano di Sonora, situato nella parte nord-occidentale del paese, per la costruzione di un carcere per migranti in territorio messicano.
Una struttura privata dove vengono rinchiuse le persone trovate in Arizona senza documenti.

L’introduzione di un accordo, nel giugno 2004, tra Stati Uniti e Messico, il cosidetto “Piano di rientro volontario” facilita le espulsioni. La scelta, per i disperati che tentano di raggiungere gli Stati Uniti, è tra il carcere o il “rientro volontario”, cioè l’espulsione.