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Versione per la stampa
di Francesca Grisot

8 Km. Perdere la vita a otto chilometri dalla richiesta di asilo

Il taccuino di un "clandestino"

E’ stato possibile pubblicare le parole che si leggono di seguito grazie al lavoro del Servizio Pronto Intervento Sociale del Comune di Venezia. Si tratta delle ultime frasi scritte da Zaher Rezai, quelle che aveva in tasca la notte che ha perso la vita schiacciato dal tir sotto il quale si era nascosto per sfuggire ai controlli di frontiera del porto di Venezia.
Francesca Grisot, mediatrice del Comune di Venezia, ha voluto raccoglierle e commentarle.

Se un giorno in esilio la morte deciderà di prendesi il mio corpo
Chi si occuperà della mia sepoltura, chi cucirà il mio sudario?

In un luogo alto sia deposta la mia bara
Così che il vento restituisca alla mia Patria il mio profumo

“Un giorno Cacciari mi ha chiesto com’è adesso la situazione in Afghanistan. Io così su due piedi non ho saputo cosa dire. Adesso gli direi ‘Signor Sindaco, la situazione oggi in Afghanistan è un ragazzo di 13 anni morto sotto un camion a Venezia.’. Ecco cosa gli direi”.

(Hamed Mohamad Karim, Regista afghano. Rifugiato politico)

Un pomeriggio speso a tradurre il contenuto di una agendina, diligentemente fotocopiata a colori dalla polizia stradale. Una agendina telefonica, un contestabile decreto di espulsione dalla Grecia e quattro animaletti di plastica. Capelli rossi e occhi verdi a mandorla.
Occhi a mandorla, “forse la nostra più grande colpa”, recita una poesia di una rifugiata afgana in Iran.

La fuga dalla povertà non è l’unico motivo che spinge tanti minorenni afghani a nascondersi sotto un camion cercando di raggiungere il sogno europeo.
Il viaggio della speranza è soprattutto una fuga dalla violazione dei diritti fondamentali; una corsa al diritto di esistere in quanto esseri umani prima ancora che “bambini”.

Zaher era un Hazara di Mazar-i Sharif, città che nel 1998 fu teatro di una delle tante stragi di civili hazara che l’Afghanistan ricorda. Zaher aveva solo pochi anni ed era uno dei fortunati sopravvissuti.
Alcuni anni dopo, ancora bambino, Zaher era in Iran. Lavorava come saldatore, appuntando diligentemente schizzi e misure sul suo taccuino. A lato una nota sui risparmi racimolati per proseguire il suo viaggio e alcune poesie, imparate forse lungo il tragitto:

“Sono talmente tante volte approdato alla barca del tuo amore
che o raggiungerò il tuo amore o morirò annegato
”.

Andare avanti! A tutti i costi. “In Iran non si può stare, in Afghanistan non possiamo tornare” -ripetono in modo ossessivo i minorenni intervistati-.

La poesia continua. Racconta la paura del respingimento; di essere trattati come migranti qualsiasi o peggio come ladri e clandestini.

"Giardiniere, apri la porta del giardino; io non sono un ladro di fiori,
io stesso sono diventato fiore, non vado in cerca di un fiore qualsiasi
”.

La paura del viaggio. Il tratto di mare che ancora lo separa dal diritto d’asilo.

“Io che sono così assetato e stanco forse non arriverò fino all’acqua del mare.
Non so ancora quale sogno mi riserverà il destino, ma promettimi, Dio,
che non lascerai passare la primavera
”

Deve ancora cominciare l’inverno. Nel limbo di Patrasso Zaher si imbarca su una nave diretta verso l’Italia. Ecco il mare, l’ultima traversata.

“Oh mio Dio, che dolore riserva l’attimo dell’attesa
ma promettimi, Dio, che non lascerai passare la primavera
”

Zaher lo sa, al porto di Venezia molti minorenni come lui vengono respinti senza avere diritto ad un interprete, senza poter dire da cosa stanno scappando. Si nasconde sotto un camion per eludere i controlli. Ancora qualche chilometro ed è fatta. Scenderà e si consegnerà spontaneamente alla Questura chiedendo protezione internazionale. Ce l’ha fatta! È in Italia!

Il camion si ferma ad un semaforo. È un centro abitato. Scendo.

Verde. L’autista riparte. Zaher no.

Solo otto chilometri prima, dentro al porto, c’erano un ufficio, un interprete, un avvocato che avrebbero potuto accoglierlo ed evitargli quel che è stato.

Otto chilometri dopo il traguardo.
Gli ultimo 8, non gli 8000.
Questo davvero si poteva evitare.

Non so ancora quale sogno mi riserverà il destino, ma promettimi, Dio,….
Khoda Bebakhshe (Dio perdoni...)

Nel documnento allegato si trova la traduzione integrale del taccuino di Zaher ancora con un’introduzione di Francesca Grisot

vedi anche:

- Un giorno Cacciari mi ha chiesto...
- Il dramma dei minori clandestini: appello del Comune alle istituzioni. Comunicato stampa del Comune di Venezia
- Come muore un bambino a Venezia
- Diritti respinti. Gli atti dell’assemblea cittadina sul porto di Venezia

[ 18 dicembre 2008 ]
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Diritto di asilo, Espulsioni, Grecia e immigrazione

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