Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

La strada per Idomeni

Questa storia (raccontare per resistere), 22 marzo 2016

Foto: Idomeni, 4 marzo 2016 / Yamine Madani

Chi te lo fa fare? Mi racconti “fisicamente” le ore pre-partenza? Al di là delle immagini, dei racconti, delle notizie che sono ormai familiari (anche se suona male detta così), cosa pensi ti colpirà come prima cosa arrivato a Idomeni?

Queste le domande scritte via mail a Francesco. Queste le sue risposte, in un dialogo a distanza Taranto – Genova.

Chi te lo fa fare? Io lo so chi te lo fa fare, caro Francesco di rispondere all’appello #Overthefortress di Melting Pot Europa e di imbarcarti (insieme a circa altri 200 attivisti non solo italiani) nella notte tra venerdì e sabato prossimo alla volta di Igoumenitsa e poi di Idomeni.

È difficile provare a fare ordine tra le sensazioni che accompagnano l’avvicinarsi dell’inizio della staffetta #Overthefortress in Grecia. Questa difficoltà è legata alla compresenza di emozioni diverse, che si sovrappongono senza mescolarsi, in un insieme abbastanza confuso e ambivalente. La partecipazione a questa esperienza ha a che fare innanzi tutto con un bisogno emergente, quello di andare oltre il flusso mediatico di immagini, descrizioni e commenti, mettendo il mio corpo all’interno di uno dei punti focali intorno ai quali ruota la vita di donne, uomini e bambini, e il destino dello spazio pubblico che finora abbiamo chiamato Europa.

Idomeni, confine greco – macedone è attualmente la prigione a cielo aperto di 12.000 persone, forse 15.000. Non molte, in termini generali. Un’infinità se si pensa a uno spazio fangoso e non idoneo nemmeno a un transito veloce. Figuriamo all’accoglienza e alla convivenza.

E questo bisogno è generato da un latente senso di colpa, che emerge in maniera più o meno intensa a seconda dei contesti e dei periodi. È il senso di colpa di chi, come me, senza meriti specifici, in ragione della nazionalità riportata sul passaporto, può spostarsi, viaggiare, muoversi, esplorare senza impedimenti. Nella percezione di questa profonda disparità in termini stili di vita, opportunità, diritti e possibilità di scelta tra me, cittadino europeo e chi è bollato come extracomunitario, e nel desiderio di fare la mia parte nella costruzione di percorsi che mettano in discussione questa disparità, che risiede un’altra delle motivazioni soggettive che alimentano questi giorni di avvicinamento alla partenza di #Overthefortress.

Andare oltre la fortezza, oltre la paura, oltre la disumanità, in un momento in cui questi sentimenti sembrano gli unici possibili, gli unici condivisi e condivisibili.

L’idea di partire, in tante e tanti, da vari punti d’Italia e d’Europa, per portare solidarietà concreta a chi è bloccato ai margini dell’Europa è avvincente ed è un antidoto (temporaneo) nei confronti del latente senso di colpa che descrivevo.

Io lo so perché parti, caro Fra, e vorrei essere impegnata come te nella preparazione dello zaino anche se, come te penso che forse i 4 giorni comprensivi del viaggio saranno pochi per tutte le attività, incontri, interviste. Per “immergersi nei racconti, nelle biografie e nei desideri di chi è in fuga e in migrazione” come si legge nel comunicato di presentazione dell’iniziativa.

Un certo immaginario epico che potrebbe accompagnare l’intervento di solidarietà in Grecia va però smontato e scomposto. Esiste una difformità così elevata tra la gravità della situazione umanitaria e politica per le e i migranti, in Grecia e Turchia, e la mole di aiuti che saremo in grado di trasportare che puntare tutto su questo aspetto, mi spiazza e disorienta. Preferisco immaginare la staffetta #Overthefortress come l’assunzione di impegno collettivo, per chi va in Grecia e per chi resta in Italia: un contratto informale con il quale ci si assume la responsabilità, fin da subito, della continuità. Proprio la parola continuità può essere una chiave di volta che consenta di rendere il proprio impegno meno dispersivo, meno parziale e meno frustrante. Ci sono molti canali con i quali è possibile immaginare percorsi di continuità: mi riferisco, ad esempio, alla necessità di prendere parola, dal punto di vista giuridico e politico, in tema di accordo Ue-Turchia, documentando gli inquietanti aspetti di illegittimità.

C’è poi un evidente paradosso, anch’esso da smontare: in termini di percorsi solidali con le e i migranti c’è un arcipelago di situazioni problematiche e di urgenze anche nei nostri territori. Anche da questo punto di vista, ho la sensazione che dare continuità al percorso di #Overthefortress voglia dire interrogarsi sulle forme di coordinamento e organizzazione tra le varie vertenze in piedi in Italia in tema di accoglienza, diritto alla protezione internazionale e condizioni di lavoro e di vita delle e dei migranti.

Andare ed esserci. Vincendo i dubbi, ma soprattutto il senso di frustrazione e il suo speculare di onnipotenza. Occhi che guardano e bocche che racconteranno.

Cosa vuol dire fare inchiesta in contesti intensi e difficili come quello di Idomeni, rispetto ai quali il carico di emozioni che sommergono chi osserva e scrive rischiano di trasfigurare la realtà? Quali sono gli strumenti narrativi che mi potranno consentire di raccontare in maniera degna, tenendomi alla larga dalle trappole della commiserazione? Come è possibile provare a far emergere, almeno parzialmente, le tante di storie soggettive, irriducibili ad unità, di chi è in migrazione, generalmente soffocate sotto il peso della Storia, delle categorie giuridiche e delle campagne politiche?

Francesco, come tanti dei partenti, lo avrete capito non è uno sprovveduto né un messia, né un buonista. L’ho conosciuto in un corso per operatore legale in assistenza ai richiedenti asilo, lui che è laureato in giurisprudenza, già inserito in uno SPRAR a Taranto e che come “hobby” frequenta i movimenti e i centri sociali (peraltro, è pure giovane, Francesco!).

C’è un pensiero, tra i tanti, che ritorna frequentemente in queste ore: è urgente rimettere ordine nel discorso pubblico in tema di migrazioni. Ci sono alcune parole che hanno occupato il centro del dibattito e dalle quali sembra che debba passare ogni ragionamento in tema di migranti e Europa. Mi riferisco alle parole sicurezza, identità, controllo, chiusura, tutte rientranti nel campo semantico della paura e del rancore.

Occorre urgentemente far sì che emergano parole nuove, molto diverse e incompatibili con quelle attualmente in campo. Libertà di movimento, uguaglianza, accoglienza, dignità. E solidarietà: immagino, dal punto di vista di questa battaglia lessicale, che #Overthefortress possa essere un importante strumento per ridare senso alla parola solidarietà, in Grecia come in Italia, e, riaffermando in tante e tanti la potenza di questa parola, superare le passioni tristi che soffocano il dibattito pubblico europeo.

Ti aspetto qui, la settimana prossima (insieme agli altri partenti che conosco!), per i primi racconti da Idomeni.