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Mappa dei Campi del 2016 – Sesta Edizione

Migreurop (Osservatorio delle frontiere)

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Mappa dei Campi del 2016 – Sesta Edizione
Desolazione alle frontiere dell’UE

Oggi, così come in passato, le speranze dei numerosi esuli si infrangono contro la dura realtà dei campi chiusi degli Stati europei che, nonostante si definiscano modelli da seguire per i diritti umani, esigono che i migranti rimangano fuori dall’Unione. Con il pretesto degli arrivi di massa, l’UE e i suoi stati contigui non hanno mai cessato di rinforzare i loro sistemi di detenzione: dal 2011 al 2016 la capacità totale nota dei campi è passata da 32.000 a 47.000 posti.

La diminuzione dei campi in alcuni paesi non è certamente dovuta a delle politiche favorevoli verso i migranti, ma a chiusure temporanee causate da rivolte o per privilegiare i centri più grandi. Insieme a queste forme di privazione della libertà, proliferano anche altri tipi di para-internamento, a volte definiti persino come delle “alternative alla detenzione”. Questi campi si moltiplicano soprattutto nei paesi africani o nei Balcani, ai quali l’UE subappalta la gestione dei migranti.

Questi cambiamenti indicano un processo di razionalizzazione che viene distribuito anche nei dispositivi di selezione posti nel 2015 nell’ambito del metodo “hotspots” (vedi nota 1 della mappa).

La frammentazione del controllo comporta una diluizione delle responsabilità già esistenti, sopratutto nei numerosi casi di violazione dei diritti fondamentali che avvengono in nome del controllo della frontiera. Sempre più spesso, chi opera in questi luoghi sono persone al servizio di organizzazioni e amministrazioni dai profili poco chiari.

Sebbene i drammi nel Mediterraneo vengano regolarmente riportati dai media, l’”accoglienza” e le selezioni effettuate alle frontiere dell’UE spesso non sono esenti da brutalità. Dopo essere scampati a una traversata dolorosa, i cosiddetti boat-people possono ritrovarsi la strada sbarrata per settimane, addirittura mesi.

I detenuti sono centinaia di migliaia di persone, alcuni già residenti da diverso tempo nell’Unione Europea, spesso senza la minima informazione sui propri diritti. La loro detenzione può arrivare fino ai 18 mesi, come in Bulgaria, Grecia, Malta, Ceuta o Melilla.

L’ordine imperante è non lasciare entrare nessuno ed espellere gli individui etichettati come indesiderabili, nonostante una buona parte non possa essere rispedita indietro. In questi casi, la detenzione diventa in primo luogo una punizione, al fine di scoraggiare i detenuti a proseguire il loro viaggio.

In questi campi, dove i migranti vivono in condizioni disumane e dove non c’è un minimo rispetto per i diritti umani, si sviluppa una vera e propria rabbia sorda. Scioperi della fame, mutilazioni, tentati suicidi… le forme di protesta sono tante ed è facile che si trasformino in rivolte. Di fronte all’assenza di giustizia, alle decisioni arbitrarie, alla privazione dei contatti con l’esterno e al silenzio delle autorità, questi atti disperati spesso sono l’unico mezzo di espressione dei detenuti. Manifestano la propria sofferenza, la propria incomprensione e soprattutto rifiutano di venire privati della libertà per la sola colpa di non trovarsi dal lato “giusto” della frontiera.

Post-Scriptum

In allegato, la sesta edizione della “Mappa dei Campi”, uno strumento usato da Migreurop dal 2003 per rendere nota e denunciare la proliferazione delle aree e delle forme di detenzione degli extracomunitari in Europa e oltre.

Mappa dei Campi del 2016 – Sesta Edizione (ESP)

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