Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Cosa succede se un lavoratore immigrato si licenzia in fase di sanatoria?

La prima domanda è:
Che cosa comporta questa nuova situazione intermini di sanatoria?
Quali conseguenze?

Nel frattempo la signora ucraina ha trovato un’altra famiglia disposta ad assumerla regolarmente sempre come badante. Da qui nascono le altre domande:

1) Se al momento della convocazione la datrice di lavoro che aveva presentato il kit per sanare XX, non si presenta, può andare al suo posto il nuovo datore di lavoro disponibile ad assumerla? Se sì, con quale documentazione?

2) Sarebbe invece opportuno, già da ora, far giungere all’ufficio polifunzionale una documentazione che attesti l’avvenuto licenziamento e l’intenzione di Lisa del nuovo datore di lavoro di stipulare un altro contratto di lavoro?

3) La nuova famiglia disposta a regolarizzare XX, può avviare ugualmente le pratiche di assunzione e stipulare con essa un contratto di lavoro, o deve attendere?

Risposta: Tutto quello che sappiamo di questo caso lo vediamo scritto pertanto non sappiamo se i soprusi subiti dalla signora sono dimostrabili. Purtroppo, tutto quello che si dice vale sempre a condizione di dimostrarlo. Dobbiamo mettere in conto che la signora non sia in grado di dimostrare che è stata vittima di soprusi, di gravi violazioni del datore di lavoro e quindi sia una persona che volontariamente abbia dato le dimissioni. O addirittura abbandonando il posto di lavoro senza alcuna formalità, quindi senza alcuna giustificazione e senza rispettare l’obbligo di preavviso. È importante avere sempre presente il “gioco delle parti” perché un domani il giudice oltre a sentire le due versioni dovrà esaminare tutto quello che è possibile dimostrare.

Per comodità di analisi proviamo a immaginare che questa signora possa dimostrare quello che le è successo.

Nei casi di soprusi o per esempio nel caso di mancato pagamento dello stipendio per molti mesi, il lavoratore è messo nella condizione di dover dare le dimissioni per giusta causa, potendo far valere nei confronti del datore di lavoro una o più violazioni dei suoi doveri fondamentali.

La prima cosa da fare è formalizzare per iscritto le dimissioni (solo impropriamente la rinuncia al posto di lavoro da parte del lavoratore viene chiamata “licenziamento”) e indicare le specifiche motivazioni delle dimissioni del lavoratore.

Esempio pratico: non basta che il lavoratore se ne vada dal posto di lavoro ma è importante (anche per dimostrare quello che è successo in sede di regolarizzazione) che faccia una lettera raccomandata di dimissioni nella quale indicare le ragioni delle proprie dimissioni.

Nel caso di dimissioni per giusta causa non è necessario rispettare alcun termine di preavviso; ciò può avvenire ad es. per uno dei seguenti motivi: molestie sessuali, imposizione di pesanti orari di lavoro straordinario oltre i limiti consentiti, mancato o incompleto pagamento dello stipendio da mesi, ecc.

Non è ancora sicuro che, in base alla circolare che stiamo esaminando, le dimissioni per giusta causa possano legittimare la richiesta di un pds per ricerca occupazione (instaurando un nuovo rapporto di lavoro, perfezionando la procedura di regolarizzazione). La circolare del Ministero dell’Interno non prende nemmeno in considerazione questa ipotesi.

Dovendo però ragionare in base ai principi generali del diritto al lavoro, dobbiamo ritenere che le dimissioni per giusta causa (dal punto di vista degli effetti) possano essere paragonate al licenziamento voluto dal datore di lavoro. In altre parole, quando un lavoratore da le dimissioni per giusta causa, si considera che non sia una sua libera scelta ma che vi sia costretto dal comportamento del datore di lavoro. Quindi, dovremmo ritenere che questa particolare situazione di dimissioni per giusta causa, debba essere equiparata all’ipotesi del licenziamento che è stata presa espressamente in considerazione dalla circolare del Ministero dell’Interno.

Se da una parte è chiaro che, quando si azzardano interpretazioni, certezze assolute non ce ne sono, dall’altra non si può nemmeno prendere per oro colato tutto quello che viene indicato dalle amministrazioni competenti. Anche perché l’esperienza insegna che in numerose occasioni, la corretta interpretazione della legge, successivamente affermata dalla giurisprudenza, ha smentito le interpretazioni restrittive adottate dalla pubblica amministrazione attraverso le sue circolari.

Speriamo che il Ministero dell’Interno integri queste ultime disposizioni prendendo in considerazione l’ipotesi delle dimissioni per giusta causa rassegnate dal lavoratore. Confidiamo che ogni volta non ci sia la necessità di instaurare un contenzioso costoso, lungo, incerto con la pubblica amministrazione.