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Perché è legittimo il subentro di un nuovo datore di lavoro

Come è già stato osservato anche da alcuni dei prefetti che hanno adottato provvedimenti per l’autorizzazione all’immediato “subentro” di un nuovo datore di lavoro nella procedura di regolarizzazione, é senz’altro da ritenersi lecita l’instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro con un regolarizzando che abbia perduto l’occupazione per cui era stata avviata la procedura; ciò, naturalmente, a condizione che il datore di lavoro provveda a tutti gli adempimenti già previsti.

Infatti, al riguardo non è necessaria alcuna modifica legislativa bensì la semplice interpretazione e applicazione in sede amministrativa delle norme vigenti, vale a dire delle specifiche disposizioni in materia di regolarizzazione e delle norme fondamentali del diritto del lavoro italiano. Per l’appunto, in merito ai non rari casi di datori di lavoro che hanno rifiutato l’inoltro della domanda di regolarizzazione per i propri dipendenti irregolari, la giurisprudenza ha sinora unanimemente affermato che non solo il datore di lavoro ma anche il lavoratore è titolare di un vero e proprio diritto soggettivo alla regolarizzazione delle proprie condizioni di lavoro e di soggiorno, ovviamente nel rispetto delle condizioni previste dalla norma.

Tale diritto, come peraltro ha già esplicitamente riconosciuto il Ministero dell’Interno in più di una circolare, non può certo venir meno per il sol fatto che il rapporto di lavoro sia cessato nelle more della procedura, in presenza di una delle ipotesi di lecita risoluzione del contratto di lavoro previste dalla legge (che, a seconda dei casi, può riguardare entrambe le ipotesi di regolarizzazione, vale a dire sia un rapporto di lavoro a tempo indeterminato che a tempo determinato). D’altra parte, le disposizioni in materia di regolarizzazione non contengono alcuna deroga al riguardo e quindi non potrebbero comunque incidere sulla libera volontà delle parti di applicare una valida causa di risoluzione del contratto di lavoro (che è sorto in condizioni illecite ma è proseguito validamente a far data dall’inoltro della dichiarazione di emersione).

Una diversa interpretazione si tradurrebbe peraltro in una sorta di “diritto speciale” non previsto da alcuna norma e per di più in palese contrasto con il principio di piena parità di trattamento e di opportunità sancito dalla Convenzione n°143/75 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (principio formalmente recepito nella legislazione vigente e specificamente tutelato dall’art.10, 2°comma, della Costituzione).

Dunque, per chi perde il posto di lavoro nelle more della regolarizzazione non vi è che applicare il disposto di cui all’art.22, comma 11, del Testo Unico come modificato dalla legge n°189/02, ovvero rilasciare un permesso di soggiorno per ricerca di nuova occupazione della validità di sei mesi. Ma allora, non vi è motivo per rinviare tale adempimento al momento della convocazione delle parti per il perfezionamento della procedura, specie quando sia già noto che tale procedura dovrà essere archiviata per lasciare posto ad un contratto di soggiorno con un nuovo datore di lavoro (nella maggior parte dei casi già immediatamente disponibile).

Non si può infatti trascurare che sia il D.L. n°195/02 (come convertito nella L.222/02) e sia la L.189/02 hanno rispettivamente stabilito un termine di 30 e di 60 giorni per il perfezionamento della procedura di emersione e la correlativa stipula del contratto di soggiorno, sicché si poteva considerare sostanzialmente presupposta, se non altro nella generalità dei casi, una breve permanenza in atto dei rapporti di lavoro. Ma come si è già visto, tali termini non potranno essere rispettati e l’attesa per moltissimi sarà ancora lunga, sicché il far pagare ai lavoratori immigrati l’inadeguatezza dell’apparato pubblico, a fronte della notevole quantità di domande, risulterebbe in palese contrasto con lo scopo essenziale della norma, che è indiscutibilmente quello di far emergere il lavoro irregolare e tutelare per questa via l’ordine pubblico. Non vi è chi non veda, per l’appunto, che il non riconoscere per molto tempo ancora la piena liceità dei nuovi rapporti di lavoro, anche a prescindere dal momento di perfezionamento della procedura di emersione, andrebbe a produrre effetti esattamente opposti di quelli voluti dalla norma, traducendosi nella tolleranza di nuovi rapporti di lavoro nero rispetto ai quali non solo gli immigrati si vedrebbero letteralmente costretti ma gli stessi datori di lavoro si troverebbero privi di alternativa.

D’altra parte, consentire nelle more della procedura l’accesso provvisorio al lavoro regolare non comporterebbe alcun pregiudizio per la possibilità di successivo diniego di regolarizzazione e contestuale revoca del permesso di soggiorno già concesso, nei casi meno frequenti in cui siano verificate circostanze previste dalla legge come ostative alla regolarizzazione. Tale soluzione, in definitiva, non presenta alcuna contraddizione con quanto specificamente disposto dal legislatore e trova peraltro ampio conforto in analoghe opzioni interpretative adottate dalle competenti amministrazioni in occasione dei precedenti provvedimenti di regolarizzazione: per l’appunto, pure a fronte delle diverse condizioni previste volta per volta per il perfezionamento della procedura, in comune con le precedenti esperienze al riguardo vi è stato proprio l’identico silenzio delle relative norme di legge per quanto riguardava la possibilità di lavorare regolarmente e di cambiare datore di lavoro nelle more della procedura di regolarizzazione, ovverosia prima dell’effettivo rilascio del permesso di soggiorno vero e proprio, a fronte del possesso della sola ricevuta della domanda.

Sembra dunque non vi sia alcun motivo per trarre conclusioni diverse, non essendovi ragione di trattare diversamente chi è in attesa di perfezionare il “contratto di soggiorno” rispetto a chi è (o era) in attesa di perfezionare il “permesso di soggiorno”, a maggior ragione se si considera che gli interessati, i cosiddetti “perdenti posto di lavoro”, non hanno alternativa, dal momento che fino al termine della procedura non è loro consentito nemmeno di fare temporaneo ritorno in patria.