Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Liberazione del 2 dicembre 2003

Con lo sguardo delle vittime di Natale Carta

La memoria è qualcosa di labile. Abituati come siamo al bombardamento quotidiano di notizie – frammenti di verità in un mare di menzogne di guerra – tutto passa senza lasciare traccia. O quasi. In quel piccolo interstizio chiamato quasi, ci sono le persone, quegli uomini e quelle donne che non si rassegnano, utopisti che ci sconquassano la vita, mettendo in discussione certezze, approcci, modalità di percepire il mondo. Persone del genere quando scrivono lasciano il segno, come lascia il segno averle conosciute, aver condiviso il privilegio e la fatica di lavorarci fianco a fianco.
Le pagine del giornale ingialliscono facilmente, gli articoli, le e-mail vengono cancellate per far posto alle tante altre che arrivano. Case e computer hanno spazi e memorie limitate. Forse la ragione più importante che ha portato alla pubblicazione di Con lo sguardo delle vittime: guerre, migrazioni, solidarietà raccontate da Dino Frisullo edito da Edizioni Alegre – e che da domani sarà in edicola insieme a “Liberazione”, “Carta”, “Manifesto” – è nella memoria. Il libro contiene soprattutto articoli già editi, scritti da Dino negli ultimi anni. Sono articoli che attraversano il movimento, tentano di contaminarlo a partire da un punto di vista che all’inizio era poco considerato nella sua importanza strategica, quello dei migranti, dei richiedenti asilo, di chi trasmette con la propria presenza in carne ed ossa nelle nostre città: cosa significa guerra permanente, come si traducono dal globale al locale le politiche del neoliberismo. E se il punto di svolta per il movimento in Italia è rappresentato dai fatti di Genova, gli scritti qui raccolti evocano un prima e un dopo di cui è necessario impadronirsi per acquisire consapevolezza: storie di naufragi e di sogni, di fughe reali e immaginarie, di roghi e di paesi lasciati con l’amarezza e il rimpianto di un futuro mancato. Dolore certamente, ma nessuna rassegnazione, voglia di lottare, di crederci, di continuare a portare il fardello doloroso delle troppe vite e dei troppi destini di cui si è persa ogni traccia. Dino Frisullo lo faceva con l’impegno del militante e con la professionalità del giornalista. Sono rari quelli che sanno vivere così intensamente il proprio mestiere, capaci di comunicare in maniera così tenace la radicalità delle proprie idee perché, proprio come radici, affondavano giorno dopo giorno nel terreno duro della quotidianità. Un rastrellamento di “irregolari” all’Esquilino, uno sbarco di kurdi in Calabria, la minaccia di un provvedimento di espulsione verso un ragazzo sorpreso a vendere cd contraffatti, diventavano insieme occasione di mobilitazione e notizia, ragione per cui alzarsi e far alzare gli altri e le altre alle 3 del mattino, ragione per cui tempestare fax, computer, redazioni, parlamentari, associazioni antirazziste, di comunicati stampa, articoli, dichiarazioni.

L’informazione che manca nel continente dei privilegiati e della democrazia formale è quella che ignora o finge di ignorare queste realtà, che le rimuove, le distorce, le rende funzionali a pietismi di facciata o, peggio ancora, alla condivisione di pratiche repressive. Dino queste cose le denunciava con scientificità e ostinazione; il suo scrivere, come il suo agire politico, erano marchiati da questa profonda consapevolezza che lo aveva portato ad essere in anticipo rispetto al movimento.

Un essere in anticipo che spesso diveniva difficoltà di comunicazione, impossibilità a definire pratiche comuni. A volte si superavano come durante la più grande manifestazione antirazzista mai realizzata in Italia. Era il 19 gennaio 2002, la legge Bossi-Fini era al centro del dibattito politico, il fiume di persone che hanno attraversato quel pomeriggio Roma – oltre 150 mila persone – e che rivendicavano un “diritto al futuro” avevano aderito ad un appello promosso dalla parte più vigile e sensibile del mondo intellettuale italiano. Neanche a dirlo ma dietro quelle tante firme che hanno permesso a tutte e a tutti di sentirsi partecipi di una giornata di mobilitazione, c’è stato un lavoro inimmaginabile di fax, e-mail, telefonate, appuntamenti, pressioni, che spesso avevano origine da un’unica fonte. Quel giorno il muro si era rotto. Come si era rotto il muro di silenzio che rendeva invisibile l’esistenza di un popolo come quello kurdo, diviso da confini imposti, negato fin nella sua stessa possibilità di esprimersi nella propria lingua. Quel muro Dino lo ha sfondato portando la vicenda politica di Ocalan in Italia, raccontando in ogni luogo la volontà di combattere per la pace di chi veniva chiamato terrorista. E lo ha fatto, sulla propria pelle, affrontando il carcere, come kurdo fra i kurdi.

Due accenni soltanto a vicende che non possono rimanere confinate nella testa e nelle persone che di queste sono state partecipi ma che, con questo libro, si vuole provare a condividere con tanti altre e altri. Il lavoro politico e giornalistico di Dino debbono restare patrimonio collettivo e indissolubile di questo movimento, debbono trasmettersi e continuare a contaminare.

Con lo sguardo delle vittime voluto fortemente da Anna Maria Cotone, da Salvatore Cannavò, da “Liberazione” e supportato da un impegno che è andato ben oltre le normali modalità dalla casa editrice, è arricchito da un contributo di Alessandro Dal Lago e da una dedica di Hevi Dilara dell’Uiki. Quello che però conta, più degli attori, è un pensare di cui, ognuno di coloro che leggono e leggeranno queste pagine, è protagonista. Il guardare il mondo con quello “sguardo delle vittime” atto fondante e necessario per sentire ancora il bisogno di modificare radicalmente il mondo in cui si vive.