Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Dall’Emilia Romagna per chiudere i Cpt

“Chiudere i Cpt, se non ora quando?” è il ragionamento che ha
accompagnato la manifestazione del 3 marzo a Bologna in cui migliaia di
persone da tutta Italia hanno detto che la cancellazione di tutti i
centri di permanenza temporanea non poteva più essere rimandata e che,
alla luce di un decennio di battaglie da parte dei movimenti italiani ed
europei, la strada da percorrere non era quella dell’umanizzazione ma
quella della chiusura definitiva di queste strutture.

Le recenti tragedie avvenute nel CPT di Modena pesano sull’attuale
Governo e denunciano l’inutilità delle commissioni di monitoraggio, dei
rapporti e dei dossier, delle proposte di riforma, ma anche del ciclo di
finte consulte e finti forum tenuti in ogni capoluogo dal Ministro
Ferrero con il mondo del no profit e dell’associazionism

o migrante. I suicidi dei due raggazzi nel Cpt di Sant’Anna altro non
sono che il prodotto della paralisi istituzionale che da un lato continua
a parlare di politiche di superamento dei Cpt e dall’altro mantiene
immutato il quadro normativo della Bossi Fini.

In questo momento, inoltre, ci tornano ancora più fastidiosi i proclami
in favore dell’accoglienza e dell’inclusione dei migranti, continuamente
smentiti dalle morti per assideramento o asfissia nei container dei tir,
dalle vittime dei naufragi nel mar Mediterraneo, dalle morti bianche sul
posto di lavoro e, in ultimo, dal suicidio di due giovani del nord Africa
all’interno di un CPT.

La nostra regione non è una terra di confine, eppure è dotata di ben due
centri di permanenza temporanea, entrambi gestiti dalla confraternita
religiosa della Misericordia. In Emilia Romagna, dove da sempre governano
le coalizioni del centro sinistra, le amministrazioni perseverano in una
politica a doppio binario che concede forme di para-rappresentanza ai
migranti inseriti, “regolari”, e dichiara guerra ai migranti illegali,
sanzionando ogni forma che questi trovano per resistere alla miseria e
alla violenza di un sistema che anche nel Primo Mondo li vuole mantenere
senza diritti.
La negazione del diritto alla casa attraverso sgomberi
forzati di intere comunità (non solo rom ma anche richiedenti asilo e
persino rifugiati), le campagne criminalizzanti contro i i lavavetri e
contro i venditori ambulanti nelle spiagge della riviera, la lotta
all’immigrazione clandestina attraverso l’aumento di posti di blocco,
retate e telecamere che simulano la frontiera ad ogni crocevia, sono gli
ingredienti di un sistema di gestione del territorio che necessita della
paura e dell’intolleranza per legittimarsi.

In questo contesto, certo non differente dalla quotidianità di tutte le
altre città italiane, vogliamo riprendere la battaglia per la chiusura
dei centri di permanenza temporanea e per una sanatoria permanente, una
battaglia forte anche della capacità dei migranti di appropriarsi di
strumenti di ribellione e rivolta contro la reclusione amministrativa
così come contro la riduzione in schiavitù dei lavoratori irregolari,
come a Reggio Emilia lo scorso Primo Maggio.

Facciamo nostra la sollecitazione che arriva dai movimenti e dalle
associazioni delle terre di confine di Gradisca di Isonzo
e proponiamo
che la battaglia per l’abolizione dei centri di detenzione per migranti
che dal 1998 ad oggi è attiva nel boicottare e denunciare i molteplici
dispositivi della guerra e dell’apartheid riparta da Bologna. Vorremmo
incontrarci nella città-vetrina delle politiche securitarie, nella
regione dove vige sovrano il principio della legalità, dove i CPT
inghiottono giorno dopo giorno centinaia di immigrati, dove il prossimo 6
dicembre 47 compagni verranno processati per lo smontaggio del costruendo
CPT nel gennaio del 2002 e dove il prossimo 12 dicembre verrà processato
chi già nel 2005 denunciava la responsabilità della Misercordia di
Giovanardi.

Invitiamo quindi le reti e i movimenti, tutti i compagni di strada con
cui abbiamo percorso questo cammino ad incontrarci a Bologna il prossimo
17 novembre per un’assemblea nazionale in cui progettare la ripresa della
lotta per la chiusura dei CPT
.
Insieme – dal basso – in autonomia – come
ci insegnano i movimenti moltitudinari del No Dal Molin e No Tav.

TPO (Bologna), Lab AQ16 (Reggio Emilia), Lab P.A.Z. (Rimini), La Realidad
(Parma)