Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
//

Per tutta la felicità del mondo

Cinque anni e un permesso che vale una vita intera

Photo credit: Claudio Colotti (Micropolis)

Abbas si alzò e barcollò un po’ prima di riuscire a rimanere dritto sulle gambe e trovare un qualche equilibrio. Stropicciò gli occhi una volta, poi una seconda e continuò ripetutamente finché non fu certo di riconoscere nell’ambiente intorno a sé la sua solita stanza, e di non stare sognando.

A rassicurare lo sguardo, in verità, lì dentro c’era ben poco. Lo spazio non conteneva che i soliti quattro letti e un lungo tubo di neon sul soffitto, la cui luce anonima si rifletteva sulle pareti verde pallido come nelle tristi corsie di un vecchio ospedale.

La prima reazione stupì persino lui. Aveva sempre pensato che, alla notizia, una qualche forza lo avrebbe preso d’un colpo, come un formicolio insistente o una vampata di calore, e lui avrebbe lanciato un urlo liberatorio, cominciando a saltare sulla sedia per la felicità incontenibile.

Si aspettava che accadesse qualcosa di grande, una sorta di convulsione o una scossa che lo avrebbe tramortito e lasciato ansimante, senza fiato. Se lo era prefigurato così quel momento, le poche volte che con timidezza e non senza una certa dose di scaramanzia aveva allungato lo sguardo oltre il fine giornata. L’immaginazione allora gli era sfuggita di mano per andare a dipingergli nella testa una speranza che, invece, doveva rimanere soltanto attaccata a quel cuore ingrossato da tempo, senza diventare mai un pensiero compiuto.

Invece Abbas rimase immobile e in silenzio, per un tempo che a lui sembrò lunghissimo. Venti secondi durante i quali non pensò a nulla di particolare. A prenderlo non fu niente di tutto ciò che si era prefigurato, bensì sentì una calma quasi surreale che lo avvolse come in un abbraccio. Non si riusciva a muovere per quel nuovo che gli stava accadendo, del tutto inaspettato. Nella mente gli si fecero i colori. Leopardi avrebbe detto che stava sentendo le morte stagioni, e la presente, finalmente viva. Venti secondi in cui c’era ed era come se non era cosciente, venti lunghi secondi in cui lui non lo sapeva, ma il suo cuore era riuscito finalmente a rallentare dopo il continuo sussulto che dell’ultimo anno gli galoppava nelle orecchie e non gli lasciava sentire più nulla.

Venti secondi e poi… rise. Il corpo contratto si allargò in un enorme sorriso e poi esplose in una dolce e leggera risata, fresca come improvvisamente gli era diventata l’aria di quella stanza. Fu come venire alla luce, una seconda volta.
Alla prima risata ne seguì un’altra, e poi un’altra ancora. Con la stessa delicata leggerezza, e quasi in punta di piedi, si scosse di dosso il lungo silenzio che pure gli era stato necessario a preparare i polmoni all’aria nuova e le spalle che tornavano ad aprirsi al mondo. Gli venne persino da ballare, gli venne da pensare all’estate.

Sentì sotto le narici il profumo del pane e del forno a tarda notte. Una dolcezza struggente gli prese il petto, così forte che quasi sembrava squarciarglielo. Ma non pianse, sapeva che una sola lacrima avrebbe trascinato con sé tutto il mare che gli si era addormentato, da troppo tempo, negli occhi. Non era il momento quello, o forse sì, ma si disse che tanta tenerezza non andava sprecata e perciò se la lasciò nella pelle, per quella donna che sperava avrebbe incontrato presto, a cui l’avrebbe regalata in cambio di poco o niente.

A vederlo non lo si sarebbe riconosciuto, non era più lo stesso del giorno prima. La barba fatta rendeva nudo il volto giovane che a quasi quarant’anni era ancora bello come il sole. Si tagliò i capelli, e fu come se fosse tornato ragazzo. Lo stesso corpo un po’ appesantito ora appariva più agile e scattante.

I primi che chiamò furono gli amici lontani. Poi vennero i compagni del centro che vivevano con lui. E poi fu la volta di quegli altri, degli amici nuovi. Cinque anni. Cinque bambini, cinque stelle. Come cinque estati al mare, cinque canzoni. Cinque ragazzi sui trampoli. Cinque anni di attesa da un paese europeo all’altro. Cinque storie d’amore.

E d’amore era ubriaco quel giorno in cui il permesso era arrivato. Era finita l’attesa snervante, la lotteria che fino ad allora teneva le redini del suo destino e lo prendeva a volte alla gola, altre alla testa o alla bocca dello stomaco, e gli levava sempre il sonno.

Abbas era un uomo di fatica. Di quelli con la testa china, piegata sul proprio lavoro, muli della vita che si spaccano la schiena e si lamentano poco. Quell’ultimo anno, però, era stato davvero duro, più di quanto poteva aspettarsi, e la schiena non gli era per poco spezzata sotto il peso delle giornate che lo avevano invecchiato d’un colpo.

Ma Abbas si era anche scoperto, in quel suo lungo e personale inverno, incapace di mollare la presa. Aveva avuto mani forti e pugni stretti, le dite piegate così tanto da fargli male. Ci sono, si era detto per sopportarne il dolore. Ci sei, gli aveva ricordato, quel dolore. Come se quello che sfuggiva alla vista era fermo lì, tra le dita tozze, logorate e sporche, in tutti i pugni chiusi per ciò che lo stomaco non aveva saputo ingoiare. Con le unghie e con i denti, a volte persino carponi, non aveva mai smesso di sentire la terra sotto i piedi.

Questo aveva detto alla donna in commissione la mattina dell’audizione per la sua richiesta d’asilo. Tra le tante domande a cui aveva dovuto rispondere, aveva ribadito tra le righe che la terra sotto i piedi ce l’aveva ancora.

Le raccontò che la terra sotto i piedi regge per l’amore dei sogni che gli ricordava il padre; per il mare d’estate che gli aveva fatto tornare in mente i suoi giorni più belli; per quel ballo appena accennato sotto il cielo del primo gennaio che era di nuovo sereno.

Forse fu fortunato se nelle parole della donna che lo intervistava riconobbe un’altra voce più dolce, e un’altra ancora prima di quella.

Così, furono cinque anni.
Tutta la felicità del mondo.

Sara Forcella

PhD in Civiltà dell'Asia e dell'Africa, è arabista, mediatrice culturale ed insegnante di italiano L2. E' inoltre presidente di Fuori Passo ETS, associazione che si occupa di mediazione, orientamento, servizi e formazione per persone con background migratorio.