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Kenya. Violenti attacchi in corso contro richiedenti asilo e profughi LGBTI+ al campo profughi di Kakuma

di queersOfKakuma e migration-control.info

Richiedenti asilo LGBTI+ dormono all'aperto nel campo profughi di Kakuma dopo che i loro rifugi sono stati distrutti nel 2021

La traduzione dall’inglese di questo approfondimento è stata curata da Federico Favaro e Eleonora Diamanti.

queersOfKakuma è un gruppo di attivisti LGBTI+ che vivono nel campo profughi di Kakuma. In collaborazione migration-control.info, hanno scritto questa relazione sui violenti attacchi in corso contro richiedenti asilo e profughi LGBTI+, concentrandosi sulla situazione generale al campo profughi di Kakuma e in particolare sulle sfide della comunità LGBTI+ e sulle politiche internazionali di reinsediamento ed esternalizzazione.

Kakuma è un campo profughi fondato nel 1992 e situato nel nord del Kenya, vicino al confine con l’Uganda e il Sud Sudan, come mostra la mappa sottostante. Il campo è gestito sia dal governo keniota (Department of Refugees Services – DRS) sia dall’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati). Secondo le statistiche dell’UNHCR, nel luglio 2023 il Kenya ha ospitato 636.034 rifugiati e richiedenti asilo, di cui 269.545 (42,4%) a Dadaab, 270.273 (42,2%) a Kakuma e 96.206 (15,1%) nelle aree urbane. La scadenza per la chiusura dei campi kenioti era già stata fissata dai governi keniota e somalo, in un accordo trilaterale con l’UNHCR, per il 2016.

Da allora, la scadenza è stata rinviata in diverse occasioni e il numero di richiedenti asilo e rifugiati sta crescendo a causa della violenza nella regione. Quando nel 2016 è scoppiata la guerra in Sud Sudan, migliaia di donne, soprattutto sud sudanesi, sono fuggite attraverso il confine verso Kakuma. Oggi, Kakuma ha quasi lo stesso numero di abitanti di Dadaab ed è il secondo campo più grande del Paese.

Numero di profughi e richiedenti asilo attestati in Kenya, luglio 2023 (Fonte: Kenya Infographics and Statistics Package – 31 luglio 2023 – UNCHR)

In Kenya profughi e richiedenti asilo affrontano molte sfide e il tenore di vita viene descritto come insostenibile. Il finanziamento insufficiente del ramo kenyota dell’UNHCR (stando all’UNHCR, a ottobre del 2022 il finanziamento da parte delle Nazioni Unite è stato del 49% in meno) va a colpire direttamente le condizioni di vita dei richiedenti asilo e dei profughi nel campo di Kakuma. Per esempio, l’UNHCR e il PAM (Programma Alimentare Mondiale) hanno dichiarato che i fondi a favore dei profughi nell’Africa Orientale, “non sono mai stati così bassi”, poiché la loro insufficienza ha portato il PAM a ridurre del 40% le razioni di cibo per 417.000 profughi accampati (p. 14 del rapporto di Amnesty International e NGLHRC).

Stando ai dati di queersOfKakuma, attualmente un adulto riceve ogni mese: 1 kg di riso, 500 g di piselli, 500 g di sorgo e una piccola porzione di olio alimentare. Il finanziamento insufficiente da parte delle Nazioni Unite rappresenta per il governo kenyota l’occasione per minacciare la chiusura dei campi profughi. In effetti, la mancanza di finanziamenti comporta anche un numero minore di lavoratori nel campo e ciò ritarda ulteriormente le procedure relative alle richieste di asilo.

Richiedenti asilo e profughi LGBTI+ di fronte a discriminazioni e attacchi violenti che rimangono impuniti

Il Kenya è l’unico Paese dell’Africa orientale e del Corno d’Africa a offrire asilo alle persone in cerca di protezione a causa di discriminazioni basate sull’orientamento sessuale, l’identità di genere e/o espressioni di identità di genere o sessuale. Ma nel mese di aprile del 2023, il parlamentare keniano Peter Kaluma ha promosso il Family Protection Bill, un disegno di legge che punisce i rapporti sessuali tra due persone dello stesso sesso. Il Kenya 2021 Refugees Act (la legge del 2021 sui rifugiati in Kenya) dispone (Sezione 19(2)) quanto segue: “Un rifugiato o un richiedente asilo che adotti una condotta immorale che, a prescindere dal fatto se essa sia o meno legata alla sua richiesta di asilo, sia in contrasto o possa comportare un contrasto con l’ordine pubblico o essere contraria alla moralità pubblica ai sensi della legge potrà essere espulso dal Kenya per ordine del segretario di gabinetto.” Associato al Family Protection Bill, il Kenya 2021 Refugees Act darebbe la possibilità al governo kenyota di espellere richiedenti asilo e rifugiati sulla base del fatto che violerebbero l’“ordine pubblico” e la “moralità” kenyoti.

Il Family Bill kenyota è simile alla situazione ugandese: nel mese di dicembre 2013, il Parlamento, supportato dal Presidente Yoweri Museveni, votò un disegno di legge contro l’omosessualità che considerava reato anche i rapporti sessuali tra adulti dello stesso sesso. Questo disegno di legge costituisce l’esplicita istituzionalizzazione della discriminazione basata sull’orientamento e sull’espressione sessuale già generalmente stabiliti nella società ugandese, in particolare attraverso l’esclusione delle persone LGBTI+ dall’istruzione e dal mondo del lavoro, come illustrato da Gitta Zomorodi nel suo articolo. Da allora, gli standard di vita degli ugandesi LGBTI+ sono minacciati, come già succede in altri Paesi della regione, e come forse presto, considerando il Family Protection Bill, capiterà anche nello Stato kenyota. Un membro di queersOfKakuma afferma: “Non ho nessun posto dove andare.”

Stando a una dichiarazione dell’UNHCR, Kakuma ospita circa 300 profughi e richiedenti asilo LGBTI+. Come se non bastassero le sfide che i richiedenti asilo e i profughi affrontano in Kenya, se essi sono individui LGBTI+, dovranno affrontare ulteriori sfide inerenti all’orientamento sessuale, all’identità di genere e/o a caratteri sessuali o espressivi. Un attivista di queersOfKakuma spiega il dolore che si prova ad essere nel campo: “Vivo nel campo profughi di Kakuma, in Kenya. Sono qui per parlare per conto del mio compagno queer nel campo profughi di Kakuma. Siamo stati perseguitati nella nostra patria per via del nostro orientamento sessuale. Siamo riusciti a fuggire e chiedere sicurezza e protezione, ma purtroppo è stato come finire dalla padella alla brace. Qui la situazione è davvero terribile. Affrontiamo discriminazione e segregazione. C’è tanta omofobia in questo posto, e quando si tratta di trans è ancora peggio.”

Un altro attivista descrive concretamente le condizioni di vita: “Moriamo di fame. Non abbiamo medicinali, non abbiamo nulla; non ci viene data sufficiente attenzione. Viviamo alla giornata e domani chissà se ci saremo […] Dormiamo fuori, senza materassi, non abbiamo coperte né altro con cui coprirci.” La Refugee Regulation del 2009, che fissa le regole di comportamento dei profughi, permetteva ai richiedenti asilo e profughi LGBTI+ di beneficiare di procedure abbreviate perché considerati “a rischio”. Tuttavia, dal 2018, i tempi di attesa si sono allungati al punto che, come osservano Amnesty International e NGLHRC, le procedure sono state ritardate appositamente per richiedenti asilo e profughi LGBTI+, e questa è l’ennesima discriminazione.

Inoltre, i richiedenti asilo e profughi LGBTI+ devono spesso far fronte a violenze verbali e fisiche e umiliazioni durante le procedure di registrazione. Come spiegato da loro stessi, essi hanno subìto insulti sessisti e omofobi in quei frangenti. Pertanto, più richiedenti asilo e rifugiati LGBTI+ hanno volutamente deciso di non rivelare, davanti agli ufficiali di Stato, di identificarsi come individui LGBTI+. Ciò li ha esclusi in particolare dalla procedura abbreviata, riservata, quando possibile, alle popolazioni considerate “a rischio”.

Ciò dimostra anche che la diffidenza nei confronti degli ufficiali di Stato da parte della comunità LGBTI+ è forte. Allo stesso modo, tale sfiducia è provocata dal pessimo trattamento che i membri della comunità LGBTI+ ricevono da parte della polizia. Di fatto, la polizia kenyota indaga raramente sulla violenza discriminatoria perpetrata nei confronti dei richiedenti asilo e dei rifugiati LGBTI+, i quali vengono puntualmente aggrediti, picchiati o violentati. queersOfKakuma spiega: “Grazie agli spazi aperti in cui viviamo, per gli omofobi è facile venire ad aggredirci, cosa che è successa moltissime volte. I nostri compagni hanno perso la vita, eppure né la polizia né l’UNHCR ha fatto qualcosa. Capite che è davvero ingiusto. Non ci sentiamo al sicuro.”

Ricoveri in fiamme di richiedenti asilo LGBTI+ al campo profughi di Kakuma nel 2021 (Foto: queersOfKakuma)

Inoltre, gli agenti di polizia possono usare personalmente violenza contro i richiedenti asilo e i rifugiati LGBTI+. Hanno incusso timore agli attivisti che hanno organizzato la marcia pride nella città di Kakuma in particolare arrestandoli ed esponendoli a stupri e violenza sessuale da parte degli altri detenuti, come è stato scoperto durante un’inchiesta di Amnesty International e NGLHRC (National Gay and Lesbian Human Rights Commission). Anche QueersOfKakuma ha parlato di arresti ingiusti: «Prima eravamo in sessanta, ma quattro di noi sono in prigione. Sono stati imprigionati senza motivo. Sono in carcere, e noi non siamo riusciti a raccogliere dei soldi per farli uscire. Sono dentro da due mesi. Siamo al verde; per i carcerati servono duemila dollari».

Oltre a questa violenza istituzionalizzata, i richiedenti asilo e i profughi LGBTI+ faticano ad avere accesso alle cure mediche a causa di importanti stigmi da parte di chi dovrebbe prendersi cura di loro. Per questo è sempre difficile, per loro – in particolare chi ha subìto attacchi violenti o chi è positivo all’HIV – avere accesso alle cure mediche necessarie e fondamentali, come spiega queersOfKakuma: «Quando andiamo all’ospedale […] ci viene detto che non siamo normali, che siamo diavoli.»; «Alcuni di noi, duecentosette, hanno l’HIV. […] non hanno nemmeno accesso alle vitamine, i costituenti che possono aiutare un soggetto HIV positivo che, per questo, vive un trauma. Perfino ottenere il farmaco può essere molto difficile a volte».

Inoltre, i figli di genitori LGBTI+ e i figli che si identificano come individui LGBTI+ subiscono violenza nel campo profughi di Kakuma. La discriminazione che subiscono a scuola fa sì che essi non ci vadano più. Spiega QueersOfKakuma: «Non sopportiamo l’idea che i nostri figli vadano a scuola al campo. Verranno discriminati. Fanno cose brutte a quei ragazzini, ma i ragazzini non hanno nessuna colpa. Non hanno fatto nulla. E se riusciamo a mettere in piedi un’organizzazione che aiuti quei ragazzini ad andare a scuola e prendersi un’uniforme e degli zaini e che paghi loro le tasse scolastiche, sarà davvero, davvero qualcosa di meraviglioso».

Come misura di protezione, l’UNHCR e il DRS hanno trasferito qualche profugo LGBTI+ dal campo profughi di Kakuma per lo più a Nairobi e dintorni. Ma il trasferimento a Nairobi è consentito solo in casi eccezionali e segue un processo di selezione poco trasparente, dal momento che il governo kenyota attua una politica di accampamento che limita la libertà di movimento (profughi e richiedenti asilo devono chiedere l’autorizzazione prima di spostarsi da un’area designata ai rifugiati ad altre aree in Kenya).

Anche chi ha beneficiato di un trasferimento incontra delle difficoltà quando deve avere accesso ai servizi o rinnovare i propri documenti. Di conseguenza, un trasferimento non è risolutivo. QueersOfKakuma riferisce circa la morte di individui LGBTI+ trasferiti a Nairobi: «Il nostro queer non è più tra noi. Viveva a Nairobi. È saltato da un appartamento. Aveva perso la speranza, aveva perso tutto ed era stanco di vivere a causa dell’omofobia. Ha chiesto giustizia, stava chiedendo un aiuto, implorava solidarietà. Non aveva cibo per sé. Nessuno si prendeva cura di lui, non aveva nessuno vicino».

Ricapitolando, per i richiedenti asilo e i profughi LGBTI+ del campo di Kakuma il rimpatrio è molto pericoloso: essi vengono da Paesi come l’Uganda, dove le relazioni omosessuali sono considerate reati e stigmatizzate; l’“integrazione” di richiedenti asilo e profughi del campo di Kakuma in Kenya non è auspicata dal governo kenyota, ed è sempre più pericolosa; lo spazio messo attualmente a disposizione non soddisfa tutte le necessità di reinsediamento all’interno di altri campi. La mancanza di un aiuto specifico e di finanziamenti istituzionali rende la questione dei profughi e dei richiedenti asilo LGBTI+ particolarmente urgente.

Campi profughi del Kenya in un contesto internazionale

Come già detto, il Kenya è l’unico Paese dell’Africa orientale e del Corno d’Africa a offrire asilo alle persone in cerca di protezione a causa di discriminazioni basate sull’orientamento sessuale, l’identità di genere e/o espressioni di identità di genere o sessuale, il che è discutibile, poiché il Kenya è considerato un Paese di origine sicuro – tranne che per gli individui LGBTI+, i quali, stando a un’ordinanza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 2013, godono del diritto d’asilo all’interno dell’UE.

Amnesty International e NGLHRC suggeriscono ai Paesi terzi di estendere le opportunità di reinsediamento e di percorsi complementari ai richiedenti asilo e rifugiati che si trovano in Kenya e hanno bisogno di sicurezza. In generale, le richieste di reinsediamento si estendono alla corsa ai ricollocamenti. Secondo l’UNHCR, al mese di luglio 2023, su 2757 richieste di reinsediamento, solo 821 rifugiati sono stati ricollocati.

Oltre all’assenza di opportunità per i profughi per lasciare i campi e dirigersi verso un altro Paese, più sicuro, mancano anche gli aiuti internazionali per i richiedenti asilo e rifugiati che rimangono in Kenya. Nel mese di ottobre 2022 l’UNHCR ha registrato il 49% in meno in termini di finanziamenti. Inoltre, al vertice UE-Africa del 2015 sulla migrazione, al Kenya venne promessa un’esigua quantità di denaro dal Fondo Fiduciario di Emergenza per l’Africa creato dall’UE: l’UE ha investito 28 milioni di euro in progetti agricoli e sicurezza alimentare e 12 milioni di euro nel miglioramento delle opportunità economiche per i giovani all’interno di aree strutturalmente deboli. Inoltre, i 6 milioni di euro di budget del Piano d’Azione delle Commissioni Europee per i flussi migratori misti e i 45 milioni di euro spesi nel contesto del processo di Khartoum interessano solo in modo marginale il Kenya.

E ciò perché, in termini di migrazione, il Kenya rimane un Paese verso cui l’UE non prova alcun interesse, essendo lontano dall’Europa. Come riportato da Kenya Wiki, il portavoce dei rifugiati di Dadaab afferma che l’interesse di molti giovani per un’eventuale migrazione risente di una mancanza di disponibilità economiche dal momento che essi avrebbero bisogno di più di 10000 dollari per poter raggiungere un Paese appartenente all’UE.

Sembra che l’UE non si preoccupi molto delle persone che migrano dal Kenya all’Europa; di conseguenza, il Paese non è un centro focale per una politica di esternalizzazione. Ma si può ancora rivolgere un appello all’UE affinché supporti tutti i profughi, in genere vulnerabili, e quindi anche gli individui LGBTI+ in Kenya. Non basta qualche centinaio di trasferimenti – specialmente se si tratta di persone rimaste sole. E, come dicono Amnesty International e NGLHRC, si chiede a tutti i Paesi terzi di aumentare i contributi per il reinsediamento e i percorsi complementari e offrire più aiuti finanziari, materiali e tecnici.

QueersOfKakuma e migration-control.info hanno redatto questo articolo a titolo informativo.

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