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La logica necropolitica dei sistemi detentivi

Una comparazione dei sistemi di detenzione amministrativa in Italia e Regno Unito

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di Ginevra Canessa 1

Questo articolo contiene riferimenti ad episodi di suicidio, autolesionismo, dipendenze, razzismo e violenza istituzionale. 

Chi hai dentro?” Con questa domanda, un uomo in attesa di visitare la fidanzata mi rivolge l’attenzione. Ci troviamo davanti al centro visite dell’Immigration Removal Center di Yarls Wood, nei pressi di Londra. Da circa un mese, Mark decide di trascorrere ogni weekend in un hotel nei pressi del centro detentivo in modo da poter visitare la fidanzata. I centri detentivi di rimpatrio sono infatti situati in posizioni molto remote da centri abitati e raggiungerli per fare visita ai propri cari è complicato per ragioni economiche e logistiche. Mi confida tuttavia che la situazione all’interno del centro sta diventando sempre più difficile per la fidanzata, la quale potrebbe essere presto rimpatriata. Le frequenti visite forniscono dunque una forma di supporto fondamentale per contrastare l’isolamento di tali strutture e connettere le persone trattenute ad associazioni e gruppi legali. 

Quel pomeriggio mi trovavo a Yarls Wood per conoscere una persona che aveva richiesto supporto a SOAS Detainee Support, un gruppo attivista di cui faccio parte a Londra.  Tramite la mia partecipazione a gruppi attivisti ho avuto infatti la fortuna di condividere momenti e creare amicizie in centri detentivi per l’immigrazione nel Regno Unito. Con queste esperienze sono venuta in contatto con storie di abusi e maltrattamenti che sono purtroppo endemici all’istituzione dei centri detentivi. Con questo articolo voglio riportare la mia esperienza da visitor nel contesto italiano per ribadire la violenza della detenzione e dimostrare solidarietà a tutte quelle persone che, per un caso o per un altro, si ritrovano trattenute in tali strutture. 

In Italia, gli Immigration Removal Centers si chiamano Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Nonostante le denominazioni siano diverse, la funzione è analoga: le strutture sono infatti destinate al rimpatrio di persone senza permesso di soggiorno, tra cui richiedenti asilo. 

Sono molte le voci che hanno denunciato la violenza dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). L’inchiesta “Sulla loro pelle” ha affrontato le problematiche relative ai Cpr tramite interviste a lavoratori e reclusi. Molte ricerche hanno inoltre svelato come la detenzione per persone migranti abbia effetti estremamente nocivi per la salute fisica e mentale. L’organizzazione Medical Justice che offre cure mediche a persone detenute nel Regno Unito ha dimostrato tramite vari report 2 come i danni alla salute mentale siano prevalenti in detenzione. Si fa riferimento a casi di depressione clinica, problemi di ansia, disturbi da stress post-traumatico (PTSD), forme di autolesionismo, l’aumento di pensieri suicidi e, in certi casi suicidio stesso. 

Dal Febbraio 2020 sono già otto le persone che hanno perso la vita all’interno dei Cpr. Nel silenzio istituzionale, Moussa Balde moriva nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Corso Brunelleschi a Torino. In seguito ad una violenta aggressione per mano di tre italiani a Ventimiglia, il ventitreenne proveniente dalla Guinea è stato prima ricoverato all’ospedale di Bordighera. Una volta trasferito nel Cpr di Torino, Balde veniva spostato immediatamente in isolamento dove non ha mai ricevuto cure mediche. Le ultime parole condivise con il suo avvocato, “Non riesco più a stare rinchiuso qui dentro: quanto manca per farmi uscire? Perché sono stato rinchiuso?” indicano un profondo stato di disorientamento. Due giorni dopo, Balde moriva impiccato annodandosi un lenzuolo al collo. 

Ad oggi, il governo non ha ancora rilasciato dichiarazioni su queste morti. Il recente Consiglio dei Ministri ha invece approvato nuove norme all’interno del decreto Sud che prevedono l’allungamento a 18 mesi del tempo massimo di trattenimento per il rimpatrio e l’apertura di nuovi Centri per il Rimpatrio (Cpr), uno in ogni regione. Con i nuovi provvedimenti annunciati nel Decreto Cutro, il governo ha esteso il trattenimento nei Cpr anche a richiedenti asilo per un periodo massimo di quattro settimane in attesa dell’esito del ricorso. Per persone che arrivano dai cosiddetti paesi ritenuti “sicuri” è inoltre introdotta la misura per cui la persona richiedente asilo può evitare la detenzione amministrativa previo pagamento di 4938 euro.  

L’estensione del sistema di detenzione amministrativa in Italia non rappresenta un caso isolato. Nel Regno Unito, con cui il governo italiano ha recentemente firmato un memorandum di intesa che andrà ad includere anche il contrasto all’immigrazione clandestina, la detenzione amministrativa ha visto un aumento significativo dal 2017. Come in Italia, la detenzione in centri di rimpatrio uccide anche nel Regno Unito. Solo qualche giorno fa infatti, il reporter per l’organizzazione per i diritti umani Liberty, Aaron Walawalkar 3 ha reso pubblico come il suicidio di Frank Ospina, detenuto colombiano (sulla cui morte il governo inglese non ha ancora rilasciato informazioni) abbia scatenato delle proteste all’interno del centro detentivo di Harmondsworth, durante le quali 6 persone hanno tentato il suicidio. 

Nel Regno Unito la detenzione può avvenire per tempi indefiniti ed è proprio questo uno degli aspetti più nocivi per la salute mentale, come molti studi dimostrano. 

Riporto la testimonianza di Maria, ragazza di ventisei anni proveniente dalla Colombia detenuta per due settimane in un centro di rimpatrio femminile nei pressi di Londra. “Le giornate qua sono sempre più lunghe perchè non sai mai cosa ti succederà. Non sai se verrai deportata o trattenuta qua per anni”. Scappata dal suo paese in seguito a violenza di genere, Maria vive a Londra da circa due anni. Qualche settimana fa la polizia ha fatto irruzione in casa sua alle 6 del mattino per trasportarla, contro la sua volontà, presso il centro detentivo. 

Al nostro primo incontro, Maria, che nemmeno parla inglese, non capisce perché si trovi lì. Sa di non aver commesso nessun crimine, eppure si ritrova dietro a delle sbarre in uno stato di incertezza temporale e costante sorveglianza. Maria non riesce a dormire, il che è anche dovuto ai controlli notturni che avvengono ogni ora all’interno delle camere. Maria perde l’appetito e mangia sempre meno. La dieta consiste principalmente di patate fritte che vengono servite tutti i giorni sia a pranzo che a cena. Maria racconta di come molte ragazze all’interno del centro passino le giornate a piangere e in stati depressivi. È così che, portate all’esasperazione, molte richiedono i cosiddetti ‘ritorni volontari’ ai propri paesi di origine.

Tuttavia, come in Italia, è una minoranza quella che viene rimpatriata dai centri di detenzione. La maggior parte delle persone detenute finisce per essere rilasciata o semplicemente trattenuta per periodi estesi piuttosto che essere rimpatriata. Secondo un rapporto 4 stilato dal garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà Mauro Palma, in Italia meno del 50 per cento delle persone trattenute nei CPR è effettivamente rimpatriato.

In entrambi i paesi, la gestione dei centri è concessa dallo Stato a gestori privati che traggono profitto dal numero di persone detenute. Come riportato da un esponente dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) alla conferenza NO AL CPR tenutasi a Firenze lo scorso Maggio, per ogni persona detenuta lo stato versa 150 euro all’ente gestore. La logica del guadagno fa dunque sì che i più basilari servizi siano sostituiti con soluzioni più vantaggiose per l’ente gestore. Ad esempio, l’inchiesta di AltraEconomia 5 sui Centri di Rimpatrio ha svelato come l’acquisto di psicofarmaci sia più economico del cibo nei Cpr. «Servono per stordire donne e uomini in modo che mangino di meno, restino più tranquilli e resistano di più al sovraffollamento, nelle gabbie in cui vengono stipati. All’ente gestore gli psicofarmaci costano meno del cibo e permettono di riempire maggiormente i Cpr e allungare il tempo di permanenza di ciascun migrante nella struttura, in modo da aumentare i guadagni». Le persone sono così trattenute per una mera irregolarità amministrativa in uno stato manicomiale pre-Basaglia.

A differenza dei centri di detenzione nel Regno Unito in cui alle persone detenute è concesso il diritto di ricevere visite da amici e parenti, nei Cpr italiani è praticamente impossibile accedere in quanto società civile. In Italia, i Cpr possono essere comparati a dei lager di segregazione razziale in cui fette di popolazione ritenute non desiderabili possono essere trattenute per periodi sempre più lunghi. Ciò porta alla creazione di spazi extra-giudiziali in cui lo stato e gli enti gestori possono violare regolarmente diritti umani, tra cui il diritto alla salute, alla difesa legale e alla comunicazione. I Cpr italiani svolgono anche una funzione di completa disumanizzazione della persona trattenuta, la quale tramite l’isolamento e la violenta rimozione dal tessuto sociale viene ridotta ad un problema di sicurezza per la collettività. 

Lo stato italiano riesce a svolgere così il suo ruolo necropolitico. Con questo termine il filosofo Achille Mbembe fa riferimento a processi politici globali che hanno portato alla creazione di cosiddetti “mondi di morte”, ossia condizioni sociali che condannano intere popolazioni allo stato di “morti viventi”. Ed è chiaro nell’esempio dei Cpr e delle politiche migratorie degli ultimi anni come il governo italiano stia sempre più rinnegando il principio di protezione della vita. Nei Cpr infatti alle persone non solo sono negati i diritti umani più fondamentali. Si assiste ad una logica perversa per cui queste vite diventano insignificanti da un punto di vista biologico: non ha più importanza se muoiono o se vivono. 

  1. Sono laureata con un Master in Diritti Umani presso la London School of Economics and Political Science. Ho svolto attivismo nel Regno Unito con Soas Detainee Support per contrastare la detenzione amministrativa di migranti e rifugiati. Al momento mi trovo in Serbia come referente per la comunicazione di No Name Kitchen
  2. Damage to mental health – Medical Justice
  3. Revealed: ‘Mass suicide attempt’ at immigration centre after detainee death, Open Democracy (settembre 2023)
  4. Rapporto sulle visite effettuate nei centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR) (2019-2020)
  5. Rinchiusi e sedati: l’abuso quotidiano di psicofarmaci nei Cpr italiani di Luca Rondi e Lorenzo Figoni – 1 Aprile 2023