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Grecia: le due facce delle migrazioni

Gemma Bird e Amanda Russell Beattie, EUROPP (European Politics and Policy or the London School of Economics)

La Grecia è stata contemporaneamente al centro della crisi dell’Eurozona e della crisi dei migranti. Gemma Bird e Amanda Russell Beattie hanno osservato che ognuna di queste crisi ha lasciato un segno indelebile nel Paese. Tutto questo è evidente nelle politiche sulle migrazioni della Grecia, in cui gli enormi sforzi per attirare investimenti e lavoratori dall’estero sono in netto contrasto con il trattamento di coloro che sono bloccati nei centri di prima accoglienza e nei campi rifugiati.

La Grecia è sotto molti aspetti un Paese di contraddizioni, in seguito alla crisi economica del 2008, i cui effetti sono visibili ancora oggi, peggiorati dalla crisi umanitaria. Un Paese che da un lato accoglie i turisti e gli investitori, pubblicizzando i vantaggi della cittadinanza greca (e di conseguenza dell’UE); dall’altro conta sulla presenza di Frontex per controllare i confini, ed è una dei destinatari dell’accordo tra Turchia e UE, quindi dovrebbe facilitare i rientri programmati. Queste politiche contraddittorie sulle migrazioni mettono in chiaro chi è il benvenuto e chi no. Per i 16.000 rifugiati bloccati sulle isole in seguito all’accordo tra Turchia e UE il messaggio è chiaro: loro non sono i benvenuti.

Queste contraddizioni sono evidenti nell’assetto di questo Paese e nelle politiche e pratiche che riguardano rifugiati e immigrati. C’è una fermata del tram, attualmente non in uso, appena fuori il Parlamento greco e i giardini botanici di piazza Sintagma di Atene. Qui, c’è una pubblicità per attirare i futuri cittadini, che chiede in greco, inglese, cinese e arabo “Sogni una nuova vita in Grecia o nell’Unione Europea?”. Continua poi: “investi nell’immobiliare, cambia la tua vita!”. Il singolare programma d’investimento sviluppato dalla Grecia prevede permesso di soggiorno permanente, la possibilità di richiedere la cittadinanza, e di registrare la propria società in Grecia e nei 26 Paesi dell’area Schengen attraverso un investimento immobiliare di 250.000 €.

Oltre a questo annuncio per i possibili nuovi cittadini che vogliono investire nel Paese, la Grecia ospita anche 69.300 rifugiati e migranti, stando ai dati dell’UNHCR (aggiornate a novembre 2018). In netto contrasto con i cartelloni fuori dal Parlamento, c’è il trattamento riservato a tutte quelle persone che lottano per una nuova vita ai confini dell’Unione Europea, arrivati in Grecia come rifugiati o richiedenti asilo. Di queste 69.300, 16.000 vivono sulle isole, mentre gli altri 53.300 vivono sulla terraferma.

Parlando con gli attivisti e i volontari, è chiaro che di fatto i numeri sono più elevati: ci sono molte persone non conteggiate, specialmente coloro che arrivano direttamente sulla terraferma, dove è possibile rimanere fuori dal sistema di accoglienza. Sebbene l’UNHCR fornisca sistemazioni in tutta la Grecia in abitazioni condivise e appartamenti, questo sistema conta solo di 55.755 posti. Come una goccia nel mare, considerando il numero delle persone ospitate nei centri o nei campi rifugiati sparsi tra le isole e la terraferma. Sull’isola di Samo, per esempio, sono disponibili solo 252 posti nel sistema UNHCR, mentre le cifre contano di 4.000/5.000 persone attualmente bloccate sull’isola in attesa della procedura per l’asilo, che potrebbe durare mesi, se non anni.

Queste persone aspettano per la procedura, che può durare fino a un anno, avendo anche poche indicazioni su quando si terrà la prima udienza. Ci è stato raccontato che però le chance di ottenere protezione sono poche, sia per coloro che verranno trasferiti dalle isole ai centri permanenti, sia per coloro che aspettano la valutazione delle proprie condizioni. Un sistema che cerca nuovi cittadini e che allo stesso tempo non dà spazio alle persone ferme qui per lavorare, accedere al sistema scolastico o partecipare agli obiettivi comuni.

Sull’isola di Samo, per esempio, ci sono bambini che non hanno accesso al sistema scolastico greco, e che si affidano quindi a una serie di organizzazioni di volontari. Queste offrono corsi per ragazzi di diverse età, cercando così di colmare i bisogni di questa fase della loro vita. Anche gli adulti in Grecia si affidano alle organizzazioni volontarie che organizzano lezioni di lingua, musica, serate di cinema per riunire le persone sparse in tutto il Paese.

Anche tutti gli altri bloccati nei centri di accoglienza potrebbero rappresentare i futuri cittadini che il governo greco sta cercando. Dall’estate del 2017, da quando siamo qui, abbiamo incontrato e ascoltato le storie di studenti universitari, professori, artisti, medici, muratori, elettricisti, le cui capacità sono ignorate, messe da parte, mentre aspettano per la richiesta d’asilo, che potrebbe alla fine, renderli cittadini dello Stato.

In Grecia esistono le storie di due sistemi migratori; il primo è basato su accoglienza e apertura, con richieste di partecipazione e investimenti nell’economia; è aperto però solo a un gruppo specifico di persone, che possiede il passaporto “giusto”.

Dall’altra parte, c’è un secondo sistema che limita e lascia in sospeso. Un sistema che lascia le persone in cattive condizioni, in cui è necessario fare file di cinque ore per ricevere uno dei tre pasti distribuiti ogni giorno, in cui queste persone vivono nelle tende durante violenti temporali, e devono dare spiegazioni sul perché hanno lasciato la patria o perché hanno lasciato la Turchia.

Un sistema che non dispone più nemmeno di sacchi a pelo puliti, che fa sì che donne e bambini camminino per 15 minuti per raggiungere i servizi igienici, che si rivelano poi inadeguati; un sistema che accusa al posto di accogliere, che serra le porte al posto di aprirle.

La Grecia, o in generale l’Europa, rappresenta un micro cosmo di un mondo dominato da due modelli di migrazione, uno che accoglie, e l’altro che punta sulle differenze.