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Esodi 2017

La nuova web map sulle rotte migratorie dai paesi sub-sahariani verso l’Europa

La mappa interattiva - arricchita di video testimonianze, di grafici e di statistiche - racconta nel modo più semplice e dettagliato possibile le rotte affrontate dai migranti dall’Africa subsahariana all’Italia, le difficoltà, le violenze, le tragedie e le speranze attraverso le voci dei protagonisti.

di Medici per i Diritti Umani

Medici per i Diritti Umani (MEDU) ha presentato oggi, presso la Sala della Stampa Estera a Roma, ESODI 2017 la nuova web map sulle rotte migratorie dai paesi sub-sahariani verso l’Europa.

ESODI è una mappa interattiva realizzata sulla base di duemilaseicento testimonianze raccolte da Medici per i Diritti Umani (Medu) in quasi quattro anni (2014-2017), di cui oltre la metà nel solo 2017. La mappa interattiva - arricchita di video testimonianze, di grafici e di statistiche - racconta nel modo più semplice e dettagliato possibile le rotte affrontate dai migranti dall’Africa subsahariana all’Italia, le difficoltà, le violenze, le tragedie e le speranze attraverso le voci dei protagonisti.

La situazione più drammatica è in questo momento in Libia come testimoniano i racconti dei migranti in questi giorni a Tripoli, Sabha, Gharyan, Beni Walid, Zawia e Sabratha. Gli imbarchi dalle coste libiche sono drasticamente diminuiti dopo la firma dei nuovi accordi italo-libici come anche gli ingressi di migranti nel territorio libico dal Niger e dal Sudan, paesi chiave dei flussi migratori provenienti da Africa occidentale e Corno d’Africa, in conseguenza degli accordi stipulati da Italia ed Unione europea con questi stati.

Il risultato di queste politiche è tragico: centinaia di migliaia di migranti bloccati in Libia, la maggior parte dei quali in condizioni di detenzione, sequestro e schiavitù.

Le migliaia di testimonianze raccolte da Medici per i Diritti Umani descrivono un paese che oggi è una sorta di grande lager per i migranti, sottoposti a violenze ed abusi gravissimi; un paese dove si commettono crimini contro l’umanità su vasta scala; un paese che è diventato un luogo di morte e di tortura per centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini. A fronte di un quadro di questa gravità, la comunità internazionale è chiamata a rispondere con la massima energia ed urgenza.

In questo contesto si stima che i 30 centri di detenzione formalmente sotto il controllo del governo libico di Al Sarraj contengano attualmente un numero che oscilla tra le seimila e le quindicimila persone. Le restanti decine di migliaia di migranti si trovano in un enorme buco nero fatto di luoghi di detenzione e di sequestro controllati da milizie, trafficanti e bande criminali come gli Asma Boys. Se infatti l’accordo italo-libico dello scorso febbraio, avallato dall’Europa, prevedeva teoricamente due obiettivi strategici fondamentali – il contrasto dei flussi migratori verso l’Italia e il miglioramento delle condizioni di vita dei migranti in quelli che il memorandum definisce “centri d’accoglienza” libici – emerge oggi con tutta evidenza che, mentre il primo scopo viene pervicacemente perseguito, il secondo risulta del tutto disatteso, rendendo di fatto l’Italia e l’Unione europea corresponsabili delle atrocità che si stanno consumando in Libia. Al di là delle dichiarate buone intenzioni, infatti, le iniziative umanitarie messe in campo, o previste, sia da parte del governo italiano sia da parte delle organizzazioni internazionali, risultano drammaticamente insufficienti di fronte alle dimensioni di questa catastrofe umana; in pratica come pretendere di svuotare una palude con un cucchiaio.

Secondo i dati raccolti da Medici per i Diritti Umani in questi ultimi quattro anni - confermati se non aggravati negli ultimi mesi – l’85% dei migranti giunti dalla Libia ha subito torture e trattamenti inumani e degradanti e nello specifico il 79% è stato detenuto/sequestrato in luoghi sovraffollati ed in pessime condizioni igienico sanitarie, il 60% ha subito costanti deprivazioni di cibo, acqua e cure mediche, il 55% gravi e ripetute percosse e percentuali inferiori ma comunque rilevanti stupri e oltraggi sessuali, ustioni provocate con gli strumenti più disparati, falaka (percosse alle piante dei piedi), scariche elettriche e torture da sospensione e posizioni stressanti. Tutti i migranti detenuti hanno subito continue umiliazioni e in molti casi oltraggi religiosi e altre forme di trattamenti degradanti. Nove migranti su dieci hanno dichiarato di aver visto qualcuno morire, essere ucciso o torturato. Alcuni sopravvissuti sono stati costretti a torturare altri migranti per evitare di essere uccisi. Numerosissime le testimonianze di migranti costretti ai lavori forzati o a condizioni di schiavitù per mesi o anni. Questi dati, probabilmente addirittura sottostimati, rappresentano, a nostro avviso, un quadro fedele delle violenze sistematiche a cui vengono sottoposti tutti i migranti che giungono dalla Libia nel nostro paese.

Le atrocità raccontate dai testimoni trovano conferma nelle sequele fisiche e psichiche rilevate nei sopravvissuti dai medici di Medu. L’82% dei pazienti visitati presentava ancora segni fisici, spesso gravi, compatibili con le violenze riferite. Oltre ai segni fisici vi sono poi, spesso più insidiose e invalidanti, le conseguenze psicologiche e psicopatologiche. Tra i disturbi psichici più frequentemente rilevati dai medici e dagli psicologi di Medu, vi sono il Disturbo da stress post traumatico (PTSD) e altri disturbi correlati ad eventi traumatici ma anche disturbi depressivi, somatizzazioni legate al trauma, disturbi d’ansia e del sonno.

A fronte di un quadro di tale gravità, Medici per i Diritti Umani chiede una reazione adeguata ed immediata da parte dell’Italia, dell’Unione europea e della comunità internazionale. Centinaia di migliaia di persone condannate a queste atrocità non possono essere considerate esseri umani di second’ordine. Così come è stato possibile arrestare il flusso migratorio nell’arco di pochi mesi, con altrettanta rapidità e determinazione deve essere garantita incolumità e protezione ai migranti intrappolati nel lager libico. I centri di detenzione libici, anche quelli sotto il controllo governativo, sono chiaramente non riformabili ed è pertanto necessaria l’immediata attivazione nel paese nordafricano di centri di accoglienza sotto il controllo della comunità internazionale, con il contributo operativo di Unhcr e Oim, dove siano garantite ai migranti la possibilità di fare richiesta di protezione internazionale o la possibilità di un rimpatrio sicuro.

I dati e le testimonianze raccolti da ESODI descrivono tra l’altro i motivi della fuga dai paesi d’origine (meno del 10% dei testimoni adduce esclusive motivazioni economiche), evidenziando come la distinzione tra rifugiati e migranti economici sia ormai una concezione vecchia quanto il muro di Berlino, incapace di descrivere la complessità del mondo attuale, in cui le dimensioni della povertà,delle persecuzioni e della violenza si intrecciano nei percorsi di vita individuali delle persone in fuga. In una più ampia prospettiva risulta quanto mai necessario attivare corridoi umanitari per le persone in fuga da guerre e persecuzioni così come attivare canali di ingresso legali verso l’Italia e l’Europa.

- Clicca sulle sezioni del sito: MAPPA | VIDEO | NEWS | GRAFICI

Alcune delle testimonianze raccolte

La prima volta che sono partito in mare la guardia costiera libica ci ha intercettato e ci ha riportato a terra. Ci ha condotto in una prigione a Zawia che si chiama Ossama Prison…Quello che differenzia questa prigione dalle altre è il fatto che se si paga il riscatto si è sicuri che si verrà rilasciati, cosa non sempre vera per le altre prigioni. Avvengono infinite crudeltà e torture lì dentro ma finalizzate ad ottenere i soldi, non la violenza diffusa che si vede negli altri posti. Questa prigione viene monitorata da una commissione di europei una volta al mese. Durante la visita mensile le guardie fanno sparire tutti gli strumenti di tortura, le catene e aprono tutte le celle così che sembri un campo profughi piuttosto che una prigione. Poi quando la visita è finita tutto ricomincia come prima.
X.Y. dal Camerun, 25 anni, Hotspot di Pozzallo, Luglio 2017

Siamo stati portati in una prigione vicino Tripoli che si chiama “Mitiga”…Ho subito moltissime violenze. Sono stato picchiato tutti i giorni. Sono stato torturato mentre i miei familiari assistevano per telefono alle violenze che subivo per convincerli a pagare un riscatto. Mi legavano le gambe e mi appendevano a testa in giù e poi colpivano con forza sotto i piedi. A volte mi versavano addosso dell’acqua gelata e poi mi colpivano su tutto il corpo con dei tubi di plastica dura. Sentivo dolore intenso, la pelle si gonfiava e diventava rossa, poi questi segni sparivano. Una volta un arabo mi ha tagliato con un coltello sulla mano. Ho visto molte persone venire uccise per futili motivi, a volte solo per divertimento. Molto spesso ho avuto paura di morire, ho pensato che non sarei mai uscito di prigione...
I., 20 dalla Costa d’Avorio. Hotspot di Pozzallo, Settembre 2017

Sono stato in Libia per 3 anni. Gli ultimi 2 anni li ho trascorsi a Zwara. Ho lavorato per la polizia libica ma non era proprio un lavoro. Loro mi usavano, io non mi potevo rifiutare. Quando ho provato a rifiutarmi mi hanno picchiato violentemente e hanno minacciato di uccidermi. Il mio compito era quello di recuperare i cadaveri dal mare, i cadaveri dei miei fratelli che morivano durante i naufragi. Li recuperavo e poi dovevo seppellirli. In questi due anni ho contato circa 3000 corpi. Ho finito per farci l’abitudine. Alla fine non mi emozionavo più, non mi sconvolgevo più. Solo per le donne che erano visibilmente in gravidanza o per i cadaveri dei bambini non sono mai riuscito a farci l’abitudine.
L., 17 anni, proveniente dal Gambia. Testimonianza raccolta presso l’Hotspot di Pozzallo, 8 settembre 2017

Sono stato in prigione in Libia per 11 mesi. Durante la detenzione mi sono ammalato per via delle terribili condizioni igieniche della prigione. Ho contratto una malattia della pelle. Tutto il mio corpo era pieno di ferite che sanguinavano e perdevano pus. Loro non mi hanno mai permesso di vedere un dottore così sono peggiorato moltissimo. Mi umiliavano davanti a tutti per questa condizione e nessuno voleva starmi vicino. Le guardie venivano solo per picchiarmi o per umiliarmi. Mi dicevano che non valevo niente, che nessuno mi avrebbe mai voluto vicino. Ho pensato che sarei morto per questa malattia. Così un giorno ho provato a scappare insieme ad un amico. Le guardie ci hanno scoperto quasi subito, ci hanno riportato dentro e ci hanno picchiato violentemente. Alle percosse il mio amico non è sopravvissuto. L’ho visto morire davanti ai miei occhi.
L., 20 anni proveniente dal Gambia.Testimonianza raccolta ad agosto 2017, Hotspot di Pozzallo

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[ 5 ottobre 2017 ]
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