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Gradisca - Corteo contro i CPR e le violenze lungo la rotta balcanica

Domenica 9 giugno ore 15 Piazza dell’Unità d’Italia

Domenica 9 giugno la rete "No Cpr e no frontiere" del Friuli Venezia Giulia scenderà nuovamente in piazza per manifestare la netta contrarietà all’imminente apertura del Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Gradisca che da bando della prefettura di Gorizia, in ottemperanza al decreto Minniti-Orlando, avrebbe dovuto aprire il 1° giugno 2019.

«Una terra segnata dal confine, ma da sempre meticcia e multiculturale, rischia nuovamente di ospitare una galera etnica», affermano gli organizzatori che nel comunicato di lancio tengono a precisare di essere un’assemblea larga e plurale che non si riunisce sotto nessuna bandiera. E proprio per questo nei primi spezzoni chiedono che non ci siano simboli di nessuna organizzazione, per evitare che chiunque metta il proprio cappello sul corteo. Informano, inoltre, che non saranno tollerati simboli di forze politiche responsabili delle leggi razziste presenti in Italia.

Rispetto al CPR presso l’ex caserma Polonio di Gradisca d’Isonzo (GO), la rete regionale ne ripercorre le tappe spiegando i motivi per cui non devono aprire e, da territorio di confine, punta l’attenzione alle violenze che subiscono i migranti per attraversali:

«A partire dall’apertura del CPT nel 2006, l’ex caserma Polonio è stata al centro di polemiche, inchieste giudiziarie, presidi e manifestazioni organizzate dalle reti antirazziste e solidali. Le persone detenute hanno messo in atto negli anni varie pratiche di resistenza, anche sottoforma di autolesionismo, e hanno dato vita a molte rivolte, determinando così la chiusura del centro nel 2013, dopo la morte di Majid El Kodra.

Il CPR è di fatto una prigione dalla quale i ‘trattenuti’ (non detenuti, perché l’internamento nei CPR è determinato da un provvedimento amministrativo, non da una sentenza penale) non possono uscire. La struttura di Gradisca è nota in particolare per la sua somiglianza ai carceri di massima sicurezza, evidente nella parcellizzazione di tutti gli spazi, nella presenza di grate a coprire anche i cortili interni, nel fissaggio dei suppellettili alle pareti e ai pavimenti. Il Gip presso il Tribunale di Gorizia definì nel 2014 «alienanti» le condizioni di vita del CPR e «disumano» il contesto quotidiano al suo interno.

Il CPR è un’istituzione totale e un dispositivo di controllo che instaura una gerarchia tra cittadine/i e non cittadine/i basata su razzializzazione, classe, passaporto. È un luogo di segregazione dove si può essere rinchiusi fino 180 giorni (secondo il nuovo limite fissato nel Decreto Sicurezza) anche semplicemente a causa del possesso di un permesso di soggiorno scaduto. Si tratta di un abominio giuridico che non garantisce alla persona trattenuta nemmeno le tutele che l’ordinamento italiano riconosce alle carcerate e ai carcerati.

Il CPR è solo l’ultimo anello di una catena che inizia con lo sfruttamento economico neocoloniale dei cosiddetti “Paesi in via di sviluppo”, anche attraverso gli interventi militari, diretti o per procura, che generano eterne zone ‘destabilizzate’, facili da saccheggiare. Questo sistema costringe milioni di persone a migrare, cercando di raggiungere l’Europa. Nell’impossibilità di ottenere i visti necessari per attraversare le frontiere legalmente, esse si vedono costrette a muoversi illegalmente, pagando i trafficanti di esseri umani e affrontando viaggi massacranti e pericolosissimi.

I Paesi europei delegano il contrasto alle migrazioni a diversi agenti senza scrupoli: ai signori della guerra libici (attraverso, ad esempio, gli accordi firmati dall’ex ministro Minniti e rinnovati dal governo Lega-M5S); a Erdoğan, cui l’UE ha per questo versato 3 miliardi di euro; alle polizie di Croazia, Serbia e Ungheria, che sono da tempo sotto accusa per le violenze perpetrate contro i e le migranti lungo la rotta balcanica.

A dispetto della propaganda, questo contrasto non ha lo scopo di bloccare un fenomeno per sua natura inarrestabile, bensì di rendere quelle frontiere dei tritacarne, dei dispositivi idonei a trasformare chi riesce a superarli in soggetti deboli, disposti a ogni ricatto per conservare il premio di un viaggio difficile. Proprio per questa ragione la legge Bossi-Fini lega dal 2002 contratto di lavoro e rinnovo del permesso di soggiorno, costringendo chi arriva senza visto ad accettare condizioni lavorative spesso inimmaginabili per i cittadini comunitari, pur di non rischiare di essere rimpatriata/o.

I CPR sono l’ultimo deterrente da brandire contro chi pensa di ribellarsi a questo meccanismo infernale.

Si tratta di un sistema che cerca di rendere la manodopera straniera più sfruttabile dalle imprese italiane, che crea divisioni e concorrenza al ribasso tra gli stessi lavoratori, che permette alle forze reazionarie e razziste di costruire le proprie fortune politiche speculando sulla guerra tra poveri scatenata da questi stessi potenti.

Rompere questa catena è di fondamentale importanza per iniziare a costruire una società inclusiva aperta, accogliente e solidale.

Iniziamo da una anello: iniziamo dal CPR di Gradisca!»

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[ 6 giugno 2019 ]
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Balcani, CPR (ex CIE), CARA, CDA, Hotspot (Articoli generali), Detenzione, FVG - Gorizia, Gradisca, Migrazioni, Razzismo, Solidarietà
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