Il ministro dell’interno Matteo S. viola norme interne e Regolamenti europei in materia di soccorsi in mare, ma accusa e minaccia chi salva vite, per reati che non esistono, in quanto ricorrono precise cause di giustificazione come lo stato di necessità e l’adempimento di un dovere (di soccorso) imposto da una serie di norme giuridiche internazionali, cause di giustificazione vincolanti nel nostro ordinamento per effetto delle specifiche previsioni di esimenti nel Codice penale e per quanto stabilito dall’art.117 della Costituzione.
Caso Sea Watch 3: presentato esposto alla Procura della Repubblica di Agrigento
La Sea Watch per il tramite dei suoi legali prof. Avv. Alessandro Gamberini del foro di Bologna e avv. Leonardo Marino del foro di Agrigento hanno trasmesso un esposto alla Procura della Repubblica di Agrigento per portare all’attenzione dei magistrati i tratti essenziali della vicenda, relativa alla presenza, avanti al Porto di Lampedusa, della nave Sea Watch 3, con a bordo, oltre all’equipaggio, 43 persone, tra le quali 3 minori non accompagnati, soccorsi in data 12 giugno 2019 in acque internazionali, a circa 47 miglia dalle coste libiche.
Attraverso la ricognizione del caso già segnalata dal Capitano della Sea Watch 3, Carola Rackete, alla Guardia Costiera nella giornata di ieri, si vuolecontribuire alla valutazione circa la sussistenza di eventuali condotte di rilevanza penale, poste in essere dalle autorità marittime e portuali preposte alla gestione delle attività di soccorso, nonché demandare alla valutazione dell’autorità giudiziaria l’adozione di tutte le misure
necessarie a porre fine alla situazione di gravissimo disagio a cui sono attualmente esposte le persone a bordo della nave.
Prof. Avv. Alessandro Gamberini avv. Leonardo Marino
Sembra così ripetersi l’ennesimo caso di privazione indebita della libertà personale dei naufraghi ancora trattenuti a bordo della Sea Watch 3. Intanto a Lampedusa continuano ad arrivare centinaia di migranti che vengono nascosti all’opinione pubblica.
Malgrado i fallimenti evidenti nella politica di Matteo S., in base ai sondaggi, sembrerebbe che il 60 per cento degli italiani sia contrario allo sbarco dei naufraghi salvati dalla Sea Watch 3 a Lampedusa, e questo dato viene utilizzato per legittimare prassi che sono chiaramente in contrasto con il rispetto delle Convenzioni internazionali e della stessa Costituzione italiana. In base al consenso, magari vantato senza tenere conto delle percentuali di non votanti, si pronunciano sentenze di condanna, prima ancora che la magistratura abbia esercitato l’azione penale. Il ministro dell’interno sembra diventato organo di indirizzo della magistratura ed unico depositario delle scelte del Consiglio dei ministri. Matteo S. se la prende adesso con l’Olanda, con la Germania, con l’Unione Europea, in preda ad un delirio di onnipotenza che non ha riscontro nelle regole costituzionali e nei Trattati europei.
Le sentenze di assoluzione, del Tribunale di Agrigento sul caso Cap Anamur, nel 2009, dopo cinque anni di processo, e quella più recente del Tribunale di Trapani sul primo caso Diciotti, del luglio dello scorso anno, dopo che Matteo S. aveva dato ordine di non sbarcare se non fossero scattate le manette, rendono bene la infondatezza della posizione che ancora oggi viene veicolata in modo schiacciante dai principali canali di informazione, ormai a disposizione del Viminale.
I tribunali chiariscono molto bene la portata delle cause di giustificazione. Non violano la legge coloro che hanno operato un soccorso nel rispetto del diritto del mare, la viola chi non indica un porto sicuro di sbarco, chi minaccia di non identificare i migranti, chi trattiene naufraghi a bordo di una nave per due settimane rifiutandosi di farli scendere a terra, privandoli, insieme all’equipaggio, della libertà personale. Come ha rilevato ancora una volta il Garante per i diritti dei detenuti, con un esposto alla Procura della Repubblica di Roma.
Nel caso Cap Anamur la causa di giustificazione indicata dal tribunale di Agrigento quale elemento fondante la sentenza di assoluzione, veniva identificata nell’art. 51, comma 1 c.p. (nell’“adempimento di un dovere imposto da una norma di diritto internazionale”). Secondo i giudici agrigentini, l’operatività della scriminante in oggetto muove dal riconoscimento del dato oggettivo del soccorso compiuto ed è fondata, sotto il profilo normativo, da una lettura costituzionalmente orientata della locuzione “dovere imposto da una norma giuridica” della norma, trattandosi non solo di precetti codificati nella normativa nazionale, ma anche in quella internazionale, cui il nostro ordinamento è tenuto a conformarsi proprio in base al comma 1 dell’art. 10 della Costituzione (particolare valore assumono, anche i commi successivi della norma in questione, ove si statuisce che “la condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali” e che “lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.
Nella sentenza pronunciata dal Tribunale di Agrigento il 7 ottobre 2009 relativa al caso Cap Anamur, il collegio giudicante specificava che l’onere di fornire un porto di sbarco sicuro (place of safety) non si riferisce unicamente alle incombenze legate alla somministrazione del vitto e dell’assistenza medica, ma, soprattutto, va rapportato alla necessità di garantire ai naufraghi “il diritto universalmente riconosciuto di essere condotti sulla terraferma”.
La situazione in Libia è fin troppo nota, la riferiscono tutti i rapporti delle Nazioni Unite, era già tragica prima dell’attacco del generale Haftar alla Tripolitania, e non può essere negata dal ministro dell’interno, o dai politici che lo assecondano. I centri di detenzione dai quali fuggono a caro prezzo i migranti sono un inferno, la corruzione e le violenze sono all’ordine del giorno. Anche dove arrivano l’UNHCR e l’OIM, nei cd. centri governativi, non sono garantite le condizioni minime di igiene e sicurezza. La Libia non garantisce in alcuna delle sue diverse articolazioni politiche e militari, porti sicuri di sbarco. L’inchiesta aperta dalla Procura di Agrigento potrà fare chiarezza sulla reale situazione sofferta in Libia dai naufraghi soccorsi dalle navi delle ONG.
Viola dunque la legge chi rifiuta di indicare un porto sicuro di sbarco in Italia ad una nave che ha operato un soccorso in acque internazionali, avvertendo tempestivamente le autorità italiane, e che si trova in una zona soggetta alla giurisdizione italiana, chi invade le competenze di altri ministeri e della stessa magistratura, alla quale si ordina con arroganza di arrestare naufraghi incolpevoli, se non chi risulta scomodo perché resiste ai diktat del ministero dell’intero e chiede un porto sicuro di sbarco in Italia. Eppure l’UNHCR, Il Commissario dei diritti umani dell’ONU e il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa avevano chiesto in diverse occasioni il sollecito sbarco dei naufraghi in Italia. Le decisioni interlocutorie sulla richiesta di misure d’urgenza da parte della Corte di Strasburgo non scalfiscono di un millimetro la fondatezza di quelle richieste.
Malta, la Tunisia o la Grecia non sono alternative praticabili per garantire il completamento delle azioni di soccorso imposte dal diritto internazionale, anche se la questione della distribuzione dei migranti richiedenti asilo va affrontata a livelli europeo, ma dopo lo sbarco sollecito nel porto sicuro più vicino. Lo scorso gennaio la Tunisia ha rifiutato espressamente un porto di sbarco sicuro proprio in occasione di una operazione di ricerca e salvataggio condotta da Sea Watch 3. Il governo di Malta non collabora con il governo italiano in attività SAR, come avviene in base agli accordi bilaterali, quando i soccorsi non sono operati dalle ONG. L’Italia non può continuare a sottrarsi ai suoi doveri di cooperazione e di soccorso, che si completa soltanto con lo sbarco delle persone a terra. Lo chiarisce adesso anche un documento di Human Rights Watch.
Dopo le due decisioni della Corte Europea dei diritti dell’uomo, che sulla istanza di misure provvisorie hanno negato alla SEAWATCH 3 il diritto allo sbarco in un porto sicuro, e soprattutto dopo il voto del Senato che ha “chiuso” il caso Diciotti dell’agosto del 2018, seguito dalla archiviazione per lo stesso fatto, recentemente disposta dalla procura di Catania, l’asticella delle violazioni della Costituzione e delle leggi, oltre che delle Convenzioni internazionali si è ancora alzata. Sembra ormai che sia scontato che la difesa dei confini possa prevalere sui diritti fondamentali delle persone, anche sul diritto alla vita e sul diritto di chiedere asilo. La reiterazione di accuse infamanti contro le ONG, tacciate di nuovo di collusione con i trafficanti, producono devastanti effetti di assuefazione nell’opinione pubblica, tenuta dolosamente in uno stato di grave disinformazione, e cancellano di fatto la presunzione di innocenza sancita dall’art. 27 della Costituzione.
Lo stato di diritto, la democrazia in Italia sono a rischio, ogni ora che passa il potere che si riconosce a livello mediatico al ministro dell’interno modifica la portata effettiva della carta costituzionale e ne svuota di fatto i principi di garanzia. Lo sbarco dei naufraghi, come la lotta all’immigrazione irregolare, non si risolvono con lo schieramento della “forza pubblica”. Una serie di questioni che riguardano tutti i cittadini, non soltanto i naufraghi soccorsi dalle navi delle ONG.
La scelta della comandante della Sea Watch 3 di entrare nelle acque territoriali è una diretta conseguenza delle mancate decisioni dei Tribunali (prima il TAR Lazio, poi la Corte europea di Strasburgo) a fronte dello stato di necessità determinato dalla prolungata permanenza dei naufraghi a bordo di una nave piccola e priva degli spazi necessari per una loro dignitosa permanenza a bordo. Una nave soccorritrice è solo un place of safety temporaneo, ma non può essere trasformata in una prigione galleggiante. Una “disobbedienza civile” che in realtà si traduce in una piena obbedienza ai principi normativi sanciti dalla Carta Costituzionale e dalle Convenzioni Europee. Una scelta di umanità che non viola le leggi. Saremo accanto alla comandante di Sea Watch 3 ed a tutti gli operatori umanitari e comandanti di navi ancora oggi sotto inchiesta, dal sequestro della Iuventa a Lampedusa il 3 agosto 2017, fino ai più recenti procedimenti penali che hanno riguardato Open Arms, Mare Ionio di Mediterranea e la Sea Watch 3.
Il ricatto all’Unione europea ci porterà soltanto all’isolamento ed alla sconfitta sui dossier economici aperti con Bruxelles. Il Regolamento Dublino III avrebbe potuto essere modificato già oggi se la Lega non si fosse schierata contro le proposte di revisione dopo che Salvini aveva disertato tutte le riunioni che ne preparavano un nuovo testo, con il superamento del criterio della competenza del paese di primo ingresso. Se il Regolamento Dublino III non è stato modificato dipende anche dalla netta opposizione dei partiti sovranisti europei ai quali adesso la Lega cerca di avvicinarsi, peraltro con scarso successo.
La determinazione della comandante della SEA WATCH 3 indicano come vanno rispettati i diritti umani e come sia possibile opporsi a chi, inventando emergenze che non esistono, governa in nome dell’odio e della rivalsa, attraverso la costruzione di un nemico, ed applicando nei suoi confronti regole, adesso anche imposte con leggi come il Decreto sicurezza bis (DL n.53/2019), che non rispettano i diritti umani e le garanzie costituzionali.
Sarà adesso decisiva la partita che si giocherà in Parlamento per l’approvazione del decreto sicurezza bis (D.L. n.53 del 2019). Vedremo chi sarà capace di fare opposizione, a partire dalla denuncia degli accordi infami con la Libia.
Dopo che è rimasto inascoltato l’appello delle Nazioni Unite per un ripensamento sul decreto sicurezza bis e per la fine della criminalizzazione dei soccorsi operati dalle navi delle Organizzazioni non governative, Dunja Mijatovic, Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, ha chiesto che alla “Sea Watch 3 sia indicato tempestivamente un porto sicuro che possa essere raggiunto rapidamente”. Il Commissario “preoccupato per l’atteggiamento del governo italiano nei confronti delle Ong”, ha aggiunto di essere “seriamente preoccupata per l’impatto che alcune parti del decreto sicurezza bis potrebbero avere sulla vita delle persone che necessitano di essere salvate in mare. Basta con la politica dei porti chiusi”.
La politica di respingimento delegato alla sedicente guardia costiera “libica” e la chiusura dei porti europei, nei prossimi mesi estivi, potrebbero sfociare in vere e proprie stragi.
La battaglia per la democrazia, non solo per la difesa dei naufraghi soccorsi dalle ONG si combatte ogni giorno, non solo sul molo di Lampedusa, ma nei tribunali, nelle aule parlamentari dove è già calendarizzato l’esame del decreto legge sicurezza bis, nei territori dove i cittadini vanno informati della reale portata dei fatti e delle norme che non garantiscono soltanto i diritti fondamentali dei migranti, ma che valgono a salvaguardare il carattere democratico dello stato e i diritti di libertà di ciascuno.
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Secondo La Stampa sul caso Sea Watch, dopo la richiesta d’intervento alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, si aggiunge anche un esposto alla procura di Roma da parte del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Mauro Palma, che esprime la sua preoccupazione per il deteriorarsi della situazione venuta a crearsi nelle acque internazionali ma pur sempre al confine della nostra frontiera italiana. Per questo, il Garante chiede nell’esposto, di verificare se lo Stato italiano, attraverso le sue autorità competenti non stia integrando una violazione dei diritti delle persone trattenute a bordo della nave e se ciò non configura fattispecie penalmente rilevanti.
Il Garante chiarisce che “non può nè intende intervenire su scelte politiche che esulano dalla propria stretta competenza. Tuttavia, è suo dovere agire per fare cessare eventuali violazioni della libertà personale, incompatibili con i diritti garantiti dalla nostra Carta, e che potrebbero fare incorrere il Paese in sanzioni in sede internazionale. In particolare, ribadisce che le persone e loro vite non possono mai divenire strumento di pressione in trattative e confronti tra Stati. Ritiene inoltre che la situazione in essere richieda la necessità di verificare se lo Stato italiano, attraverso le sue Autorità competenti, stia integrando una violazione dei diritti delle persone trattenute a bordo della nave”. Il Garante smonta poi la decisione della Corte europea basata sulla pretesa mancanza di giurisdizione dell’Italia. Infatti, “L’esercizio della giurisdizione italiana sull’imbarcazione sembra inoltre confermato dalla valutazione delle vulnerabilità delle persone a bordo a cui è stato permesso lo sbarco: non può essere però questa la sola via d’uscita dalla situazione presente che, a parere del Garante, sta degenerando”.
Il Garante ribadisce così come “nel caso della Sea Watch 3, sia proprio il pur legittimo esercizio della sovranità da parte del nostro Paese a determinare giurisdizione e responsabilità nei confronti delle persone, incluso almeno un minore non accompagnato, bloccate in condizioni sempre più gravi al confine delle sue acque. Del resto, l’esercizio stesso del divieto e la sua attuazione implicano che il Paese garantisca l’effettività dei diritti derivanti dagli obblighi internazionali alle persone bloccate: di non essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti; di non essere rinviati in Paesi dove ciò possa avvenire; di avere la possibilità di ricorrere contro l’attuale situazione di fatto di non libertà davanti all’autorità giudiziaria; di richiedere protezione internazionale”.