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La Libia è l’inferno: migranti barricati su nave cargo rifiutano richieste di sbarco

di Francesca Mannocchi, Middle East Eye - 16 novembre 2018

Migranti ancora a bordo del cargo Nivin nel porto di Misurata (MEE)

Tripoli – Hanno lasciato la Libia dieci giorni fa su un’imbarcazione di gomma. Dall’Etiopia, dal Pakistan e anche da più lontano, hanno cercato di attraversare l’ormai tristemente noto passaggio dal Mediterraneo all’Europa e, come ha detto uno dei passeggeri, di sfuggire all’inferno.

Al momento più di 70 migranti, tra cui bambini, sono in una situazione di stallo con le autorità libiche nel porto di Misurata, a nordovest del paese, e rifiutano di sbarcare dalla Nivin, il cargo italiano che li ha salvati.

Molti di loro hanno viaggiato per mesi attraverso territori pericolosi alla mercé dei trafficanti o trascorso lunghi periodi di detenzione nelle carceri libiche. A quanto dicono i volontari, alcuni sono stati torturati dai trafficanti nel tentativo di estorcere loro denaro.

Barricati dentro la nave, con contenitori di plastica al posto dei servizi igienici, l’equipaggio sui ponti superiori e le forze armate libiche tutte intorno in attesa di ordini da Tripoli, adesso si rifiutano di tornare indietro.

Non scendiamo dalla nave”, ha detto a Middle East Eye Dittur, un 19enne del Sud Sudan che è rimasto a bordo. “Non torniamo in quell’inferno”.

Nel Mediterraneo, dove non ci sono più navi delle ONG a pattugliare le acque, l’incidente ha gettato luce sulla situazione di groviglio morale in cui le navi mercantili si trovano ora che non ci sono più i volontari. Potrebbe essere più facile per gli equipaggi fingere di non vedere i gommoni piuttosto che rubare tempo alla loro rotta. Sei navi sono passate prima che la Nivin si fermasse a soccorrere queste persone. Così racconta uno di loro a MEE.
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Ma a quanto detto dai difensori dei diritti umani venerdì scorso, questo stallo è anche una testimonianza dei continui problemi dei centri di detenzione libici, che all’inizio di quest’anno l’ONU ha descritto come raccapriccianti. Uno dei migranti ha raccontato a MEE che i trafficanti lo hanno prelevato da uno dei centri sotto la piena consapevolezza delle autorità.

Heba Morayef, direttore di Amnesty International per il Medioriente e il Nordafrica, ha detto che la protesta “è un chiaro segno delle terribili condizioni che i rifugiati e i migranti affrontano nei centri in Libia, dove sono quotidianamente esposti a torture, stupri, pestaggi, estorsioni e altri abusi”.
Mentre lo stallo continua, c’è il timore che la protesta possa sfociare in violenza.

Come sei navi nella notte

Il viaggio dei migranti è cominciato il 6 novembre, quando 95 persone, tra cui 28 minori, salpano su un gommone dalla costa libica di Khoms.
Dittur, uno dei passeggeri, ha riferito a Mee che il gruppo era in mare già da parecchie ore quando hanno realizzato di essere in pericolo e provato a chiedere aiuto alle navi di passaggio.

Abbiamo chiamato il numero di emergenza dicendo che eravamo sul gommone e che era già in pessime condizioni. Ci sono passate davanti sei navi quella notte e nessuno ci ha soccorso. Ci hanno visti e non ci hanno salvato la vita,” ha detto.

Alla fine è arrivata una nave mercantile. Era la Nivin, una nave cargo battente bandiera panamense, partita dalla città di Imperia il 7 novembre con un carico di automobili destinate al mercato nordafricano.

L’equipaggio ha aiutato tutti quanti a bordo. “Vi portiamo in Italia. Tranquilli,” è Dittur a riportare le parole dei soccorritori.

Invece alcune ore dopo è arrivata la guardia costiera libica. “È stato un incubo”, racconta il ragazzo sudsudanese. Quando la guardia costiera ha cominciato le operazioni di trasferimento dalla nave cargo e i migranti hanno realizzato che sarebbero tornati in Libia, si sono rifiutati di sbarcare, raccontano un membro dell’equipaggio della Nivin e alcuni passeggeri.

Una comunicazione tra la Nivin e l’MRCC italiano esaminata da MEE mostra che l’MRCC stava agendo per conto della guardia costiera libica.

Nel loro primo contatto via cavo, l’MRCC ha detto alla Nivin di soccorrere i migranti a bordo del gommone e ha sollecitato l’equipaggio a mettersi in contatto con la guardia costiera libica, ma il numero fornito dall’MRCC era in realtà un numero italiano.
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Alle 19:39 del 7 novembre, l’MRCC scrive alla Nivin: “A nome della guardia costiera libica […] siete pregati di cambiare rotta e dirigervi alla massima velocità alla latitudine indicata”. L’MRCC ha poi inviato un altro numero italiano come numero di contatto.
Alle 21:34, con un’e-mail esaminata da MEE, la marina libica, insieme alla marina maltese, la Eunavfor Med e la marina italiana in copia, comunica alla Nivin: “In quanto autorità libica, vi ordiniamo di recuperare la barca, vi forniremo istruzioni per lo sbarco”.

‘Sono disperati’

Il cargo è arrivato a Misurata il 9 novembre. Mercoledì scorso, dopo giorni di mediazione tra le autorità libiche e i migranti, una donna somala e il suo bambino di 3 mesi, insieme a altre 12 persone, sono sbarcate.

Lo staff di Medici Senza Frontiere (MSF) ha negoziato con le autorità libiche al porto di Misurata, dove ha portato cibo e medicine per i migranti a bordo che hanno ustioni e abrasioni. Adesso sono 70 le persone che rimangono barricate sulla nave.
Sono disperati,” ha detto a MEE Jilien Raickman, capo missione di MSF. “Nel gruppo ci sono molte persone, compresi dei bambini, che sono state torturate dai trafficanti per estorcere loro dei soldi. Un paziente in condizioni gravi ha rifiutato di essere portato in ospedale in Libia. Ha detto che avrebbe preferito morire sulla nave.”

Non ci sono bagni, per cui i migranti stanno usando bottiglie di plastica per urinare. I giornalisti non sono stati ammessi sulla nave, né al porto o nella città di Misurata. Fuori dal porto, le forze armate stanno aspettando istruzioni da Tripoli, è quello che riferisce una fonte interna al porto.

Il comandante della marina libica Anwar El Sharif da Tripoli ha detto a MEE: “Sono pirati, criminali. Non li consideriamo migranti e questa non è più un’operazione di soccorso per persone in pericolo. Hanno dato fuoco al carico della nave e hanno tentato di uccidere l’equipaggio.”

Li tratteremo come meritano, cioè come terroristi. È un lavoro per le forze speciali, per l’antiterrorismo. Saranno loro ad evacuare la nave.

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Ma chi è ancora a bordo nega di aver dato fuoco alle automobili o di aver tentato di uccidere qualcuno. Al contrario, i migranti raccontano di essersi ustionati con il carburante del gommone su cui si erano imbarcati all’inizio.

Alcuni hanno anche inviato delle foto a MEE in cui mostrano graffi e cicatrici che gli sono stati inferti durante la detenzione a Tripoli e a Tagiura, una città nelle vicinanze da cui molti di loro, tra cui Dittur, hanno cercato di scappare.

Fuga impossibile

Due anni fa, quando Dittur aveva 17 anni, è scappato dal Sud Sudan, ha attraversato il deserto ed è stato arrestato la prima volta che ha provato a passare il Mediterraneo. È stato imprigionato e tenuto in detenzione nel centro di Bani Walid per sette mesi.

A quel primo tentativo, ha detto, ne è seguito un altro, nonostante i trafficanti continuassero a estorcergli denaro.

“Ogni volta più torture e più soldi da chiedere alla mia famiglia per lasciarmi libero, e ogni volta i trafficanti mi lasciavano andare. Ho lavorato gratis per potermene andare di nuovo.”

Così prosegue Dittur: “Quando [le autorità libiche] mi hanno messo di nuovo in prigione, ho chiesto di poter lasciare i miei documenti alle organizzazioni umanitarie, ci hanno detto che ci avrebbero aiutato a uscire, ad andarcene da lì. Ma sono passati mesi e nessuno è più venuto da noi.”

I passeggeri con lui sul gommone sono stati tenuti in un capanno in una zona di campagna, prima che i contrabbandieri li trasportassero sulla costa.
Dittur ha raccontato di essere stato prelevato dai trafficanti dal centro di detenzione Tariq al-Sikka di Tripoli, che è amministrato dal ministero dell’interno del Governo di Accordo Nazionale.

“I trafficanti possono entrare quando vogliono in prigione,” racconta. “Vengono per fare accordi con quelli che se ne vogliono andare e entrano per portare via chi può pagare la loro quota, con me hanno fatto così due settimane fa.”