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Scheda in fase di aggiornamento.
Può fare domanda lo straniero che intenda chiedere protezione dallo Stato italiano perché fugge da persecuzioni, torture o dalla guerra, anche se ha fatto ingresso in Italia in modo irregolare ed è privo di documenti.
Il richiedente dovrà motivare nella domanda le circostanze di persecuzione o danno grave che ne hanno motivato la fuga.
Gli agenti di questa persecuzione o danno grave possono essere lo Stato, partiti o organizzazioni che controllano lo Stato o una parte del suo territorio o soggetti non statuali qualora lo Stato, o chi lo controlla, non vogliano fornire protezione alla vittima di persecuzione o danno grave.
Non ci sono termini di tempo per la presentazione della domanda. La domanda può essere presentata anche dopo gli otto giorni cui sembra fare riferimento la procedura.
La domanda deve essere presentata presso la Polizia di frontiera o la Questura, che non necessariamente deve essere quella di frontiera, ma può essere quella nella quale il richiedente intende avere domicilio.
La Questura rilascia un documento che certifica la richiesta e la data dell’appuntamento per la verbalizzazione.
La domanda sarà verbalizzata dai funzionari di polizia utilizzando un modello, detto C3, che contiene molte informazioni di carattere anagrafico e poche domande sulle cause che hanno spinto il richiedente ad allontanarsi dal proprio paese e chiedere protezione.
E’ consigliabile quindi, al momento della richiesta di asilo, consegnare agli atti una memoria scritta, nella propria lingua e/o con una traduzione. Per la redazione di questa memoria può essere utile rivolgersi ad un Comune o associazione che si occupi di tutela del diritto di asilo per ricevere un aiuto.
Devono essere presentati documenti che comprovino quanto dichiarato, se disponibili (articoli di giornale, foto, documenti ufficiali quali denunce o referti medici, ecc.).
La mancanza di prove non deve essere motivo di esclusione dall’accesso alla procedura.
Se lo straniero è in possesso di passaporto dovrà consegnarlo alla Polizia, con quattro foto, il domicilio eletto (dovrà consegnare quindi la dichiarazione di ospitalità e relativi documenti, contratto d’affitto o rogito e documento d’identità dell’ospitante) e sarà sottoposto a rilievi fotodattiloscopici.
In caso il richiedente non possegga il passaporto poiché era pericoloso per lui rivolgersi al proprio governo, situazione non insolita tra i richiedenti asilo, può essere utile produrre al momento della domanda un certificato anagrafico, la carta d’identità del proprio paese, che, se ai sensi della legge non possono sostituire il passaporto, possono costituire documenti anagrafici utili per accertare l’identità.
Al momento della domanda è consigliabile fare richiesta di essere ascoltati personalmente dalla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale competente. Il richiedente ha l’obbligo, se convocato, di presentarsi in Commissione.
Al momento della domanda il richiedente eleggerà un domicilio presso il quale saranno inviate tutte le comunicazioni o gli appuntamenti, pertanto è utile che sia aggiornato o che chi vi abita trasmetta tempestivamente le comunicazioni.
Nei giorni immediatamente successivi alla domanda la Questura dovrebbe rilasciare un attestato nominativo, in attesa del permesso di soggiorno per richiesta asilo, che dovrebbe essere rilasciato entro 30 giorni.
Il rilascio del permesso per richiesta asilo avviene qualora la Questura, dopo avere effettuato accertamenti, abbia verificato che l’Italia è il paese competente ad esaminare la domanda di protezione internazionale e che non sussistono gli estremi per un trattenimento nei CIE o per l’accoglienza nei CARA. Il Prefetto stabilisce un luogo di residenza o un’area geografica dove i richiedenti possono muoversi.
E’ comunque possibile, in ogni fase che precede l’audizione e in linea teorica anche dopo l’audizione prima che sia stata presa la decisione, presentare memoria integrativa, o prove di quanto raccontato, delle quali si sia entrati in possesso dopo la prima verbalizzazione.
Nel caso di persone vittime di tortura un’importante documentazione che può essere fornita è quella medica, che dia un riscontro ed un resoconto delle violenze subite, meglio se realizzata da personale medico specializzato, secondo la traccia fornita dal Protocollo di Istanbul, finalmente tradotto anche in lingua italiana.
Un consiglio importante: Conservare sempre copia di tutti i documenti che si depositano presso Questura, Prefettura e Commissione e i verbali rilasciati da queste autorità.
Non può essere riconosciuto rifugiato o beneficiario di protezione sussidiaria chi rientra nelle seguenti categorie:
chi abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità;
chi abbia commesso un crimine grave di diritto comune al di fuori del paese di accoglimento e prima di esservi ammesso in qualità di rifugiato;
chi si sia reso colpevole di azioni contrarie ai fini e ai principi delle Nazioni Unite.
La precedente normativa precludeva l’accesso alla procedura a chi era stato condannato per i reati previsti dall’articolo 380, comma 1 e 2 del Codice di Procedura Penale. La suddetta causa ostativa non è più in vigore.
La valutazione sulla inammissibilità alla procedura rispetto ai reati e crimini gravi non può essere effettuata dalla Questura che riceve la domanda ma deve essere effettuata dalla Commissione territoriale competente.
Se lo straniero è considerato un pericolo per la sicurezza e l’ordine dello Stato la sua domanda non sarà riconosciuta, ma dovrà comunque essere esaminata.
Se lo straniero è già stato riconosciuto rifugiato in un altro paese firmatario della convenzione di Ginevra o ha reiterato la medesima domanda dopo aver ottenuto un diniego, la domanda sarà dichiarata inammissibile dalla Commissione territoriale competente ma deve comunque essere ricevuta dalla Questura. La domanda può essere, inoltre, rigettata per manifesta infondatezza quando risulta la palese insussistenza dei presupposti previsti dal decreto sulle qualifiche, o quando risulta che la domanda e’ stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento.
Scompare, di fatto, la discrezionalità in precedenza in capo alle Questura, sulla ricevibilità della domanda.
L’autorità competente alla decisione in merito alla domanda di protezione internazionale è la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.
Le Commissioni attualmente sono dieci, portate a venti con il Decreto Legge n. 119 del 22 agosto 2014.
Con decreto ministeriale del 10 novembre 2014 e successivi decreti sono state istituite alcune sezioni delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, composte dai membri supplenti delle Commissioni stesse, per fare fronte all’eccezionale incremento delle domande di asilo.
Vedi la distribuzione delle Commissioni Territoriali aggiornate al 3.10.2016
La Commissione competente è quella del luogo nel quale la domanda è stata presentata, salvo il caso in cui sia disposto il trattenimento o l’accoglienza nei CARA, per il quale è competente la Commissione nella quale si trova il centro.
Vai al prospetto delle Commissioni territoriali del Ministero dell’Interno aggiornato a Novembre 2016.
La Commissione Territoriale può riconoscere una forma di protezione internazionale, asilo politico o protezione sussidiaria, non riconoscere alcuna forma di protezione, rigettare la domanda per manifesta infondatezza, valutare la domanda inammissibile (qualora sia già stata esaminata da altro paese europeo), oppure, per motivi non riconducibili alla sicurezza della persona ma per gravi motivi umanitari, può chiedere alla Questura il rilascio di un permesso per protezione umanitaria (si noti che sono differenti dai ps per motivi umanitari rilasciati fino al gennaio 2008, parificati alla protezione sussidiaria).
La normativa è molto precisa circa la definizione di:
atti di persecuzione e motivi di persecuzione che, se riconosciuti, consentiranno al richiedente di avere riconosciuto lo status di rifugiato; oppure di
danno grave, che se riconosciuto, consente al richiedente di avere riconosciuta la protezione sussidiaria.
Entrambe le forme di protezione, a differenza di quanto accadeva con le precedenti disposizioni, sono degli status, quindi la revoca degli status può essere disposta solo dopo accertamento della situazione individuale e con una procedura specifica.
Lo status di rifugiato è riconosciuto in presenza di atti di persecuzione per determinati motivi:
A. Atti di persecuzione
Ai fini della valutazione del riconoscimento dello status di rifugiato, gli atti di persecuzione come stabilito dalla Convenzione di Ginevra, devono alternativamente:
a) essere sufficientemente gravi, per loro natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, in particolare dei diritti per cui qualsiasi deroga è esclusa;
b) costituire la somma di diverse misure, tra cui violazioni dei diritti umani, il cui impatto sia sufficientemente grave da esercitare sulla persona una violazione grave dei diritti umani fondamentali;
Gli atti di persecuzione possono, tra l’altro, assumere la forma di:
a) atti di violenza fisica o psichica, compresa la violenza sessuale;
b) provvedimenti legislativi, amministrativi, di polizia o giudiziari, discriminatori per loro stessa natura o attuati in modo discriminatorio;
c) azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie;
d) rifiuto di accesso ai mezzi di tutela giuridici e conseguente sanzione sproporzionata o discriminatoria;
e) azioni giudiziarie o sanzioni penali in conseguenza del rifiuto di prestare servizio militare in un conflitto, quando questo potrebbe comportare la commissione di crimini, reati o atti considerati crimini di guerra o contro l’umanità;
f) atti specificamente diretti contro un genere sessuale o contro l’infanzia.
B. Motivi di persecuzione
1. Al fine del riconoscimento dello status di rifugiato, gli atti di persecuzione devono essere riconducibili ai motivi di:
a) "razza";
b) "religione";
c) "nazionalità";
d) "particolare gruppo sociale";
e) "opinione politica".
Nell’esaminare se un richiedente abbia un timore fondato di essere perseguitato, è irrilevante che il richiedente possegga effettivamente le caratteristiche razziali, religiose, nazionali, sociali o politiche che provocano gli atti di persecuzione, purché una siffatta caratteristica gli venga attribuita dall’autore delle persecuzioni.
Il riconoscimento dello status di rifugiato consente:
il rilascio di un permesso di soggiorno per asilo politico della durata di 5 anni;
il rilascio del titolo di viaggio per rifugiati per potersi recare all’estero;
il rilascio del tesserino di rifugiato che consente ulteriori rinnovi e pratiche;
di fare richiesta di cittadinanza per naturalizzazione dopo soli 5 anni;
di ricongiungere la propria famiglia, o effettuare una coesione, in base ai requisiti previsti dalla legge (art.29 bis D.lgs. 286/98), ma senza dimostrare alloggio e reddito, e con facilitazioni per quanto riguarda i documenti attestanti il legame familiare;
accesso all’occupazione;
accesso all’istruzione;
assistenza sanitaria e sociale (invalidità civile, assegno di accompagnamento, assegno di maternità) a parità coi cittadini italiani.
La protezione sussidiaria è riconosciuta in presenza di danno grave ai danni della persona.
Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, sono considerati danni gravi:
a) la condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte;
b) la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine;
c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.
Il riconoscimento della protezione sussidiaria consente:
il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione sussidiaria della durata di 5 anni;
il rilascio del titolo di viaggio per potersi recare all’estero, quando sussitono fondati ragioni che non consentono al titolare di protezione sussidiaria di chiedere il passaporto alla Rappresentanza diplomatica o consolare del Paese d’origine;
di ricongiungere la propria famiglia, o effettuare una coesione, in base ai requisiti previsti dalla legge (art.29 bis D.lgs. 286/98), ma senza dimostrare alloggio e reddito, e con facilitazioni per quanto riguarda i documenti attestanti il legame familiare;
accesso all’occupazione;
accesso all’istruzione;
assistenza sanitaria e sociale (invalidità civile, assegno di accompagnamento, assegno di maternità) a parità coi cittadini italiani.
1. Accoglienza nei CARA
In seguito alla presentazione della domanda di asilo la Questura ha facoltà di decidere in merito all’accoglienza o al trattenimento del richiedente.
Il trattenimento nei Centri di identificazione e la procedura semplificata non sono più previsti dall’ordinamento che ora parla di accoglienza nei CARA, che è disposta:
per verificare o determinare la sua nazionalità o identità qualora egli non sia in possesso dei documenti di viaggio o di identità, oppure abbia, al suo arrivo nello Stato, presentato documenti risultati falsi.
L’”accoglienza” è limitata al tempo necessario per compiere gli accertamenti e comunque non può superare i 20 giorni;
quando ha presentato la domanda dopo essere stato fermato per aver eluso o tentato di eludere il controllo di frontiera o subito dopo. L’accoglienza è disposta per il tempo necessario all’esame della domanda e comunque per un tempo non superiore a 35 giorni;
quando ha presentato la domanda dopo essere stato fermato in condizioni di soggiorno irregolare.
L’accoglienza è disposta per il tempo necessario all’esame della domanda e comunque per un tempo non superiore a 35 giorni.
Nel caso in cui il richiedente sia accolto in un CARA gli sarà rilasciato non il permesso di soggiorno ma un attestato nominativo.
Allo scadere del periodo di accoglienza al richiedente è rilasciato un permesso per richiesta asilo della durata di tre mesi.
2. Trattenimento nei CIE
Il richiedente sarà invece trattenuto nei CIE se:
è destinatario di un provvedimento di espulsione o di respingimento;
ha commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità;
ha commesso un crimine grave di diritto comune fuori dei paese ospitante prima di essere ammesse come rifugiati;
si è reso colpevole di atti contrari agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite;
è stato condannato in Italia per uno dei delitti indicati dall’articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale, ovvero per reati inerenti agli stupefacenti, alla libertà sessuale, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’emigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati, o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite.
Nel caso in cui il richiedente sia inviato a un CIE gli sarà rilasciato non il permesso di soggiorno ma un attestato nominativo. La normativa non fa riferimento a limiti per il trattenimento.
Qualora il trattenimento non venga disposto il richiedente, dopo le verifiche in merito allo Stato competente per l’esame della domanda ai sensi del Regolamento del Consiglio 343/2003 effettuate con il confronto delle impronte digitali attraverso il sistema EURODAC, riceve un attestato nominativo e poi il permesso di soggiorno per richiesta di asilo della durata di tre mesi e rinnovabile fino al termine della procedura. Con questo permesso si può chiedere l’attribuzione del codice fiscale numerico provvisorio (la nuova procedura è attiva con la comunicazione n. 8 del 26 luglio 2016 dell’Agenzia delle Entrate) e si deve effettuare l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale. Il richiedente ha diritto alle prestazioni sanitarie in esenzione alla compartecipazione alla spesa.
Non può svolgere attività lavorativa.
Dopo due mesi dal rilascio del primo permesso, se la procedura non si è ancora conclusa deve essere rilasciato un permesso della durata di sei mesi che consente di svolgere attività lavorativa. Tale permesso di soggiorno riporta la dicitura "attività lavorativa".
Il richiedente potrà circolare nel luogo stabilito dal Prefetto.
3. Servizio di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati
Alle persone che non rientrano nei casi di accoglienza nei CARA o di trattenimento dovrebbe essere garantita l’accoglienza nel Sistema di Protezione.
Qualora il richiedente rientri nei casi previsti dal Regolamento 343/2003 gli sarà rilasciato un permesso ‘Convenzione Dublino’, della durata di un mese, rinnovabile fino a che la procedura di accertamento e l’eventuale trasferimento non saranno completati.
L’audizione non è obbligatoria, ma il richiedente ha l’obbligo di presentarsi se convocato. La Commissione territoriale può decidere anche senza intervistare la persona, qualora ritenga di avere elementi sufficienti per concedere la protezione internazionale.
La Commissione comunica alla Questura la data dell’audizione e questa poi provvederà a comunicarla al richiedente presso il domicilio indicato sul permesso di soggiorno o presso il centro dove è trattenuto/accolto.
È importante, e obbligatorio, aggiornare il domicilio al momento del rinnovo del permesso.
Qualora il richiedente non si presenti senza aver richiesto il rinvio la domanda sarà esaminata in base alla documentazione inviata.
L’esame della domanda tramite convocazione del richiedente dovrebbe avvenire entro 30 giorni dalla richiesta e la decisione dovrebbe essere presa nei tre giorni successivi.
Nel caso in cui la domanda risulti palesemente fondata, o nel caso in cui la domanda sia presentata da una persona che rientra tra le categorie vulnerabili, o da un richiedente trattenuto, la domanda è esaminata in via prioritaria.
In caso di esito negativo è possibile presentare istanza di riesame.
La richiesta si può fare solo nel caso in cui ricorrano elementi nuovi o documenti prima non reperibili.
Sebbene la normativa lo preveda esplicitamente solo per chi sia trattenuto è possibile comunque inviare richiesta di riesame alla Commissione che ha esaminato la domanda, qualora si ritenga che elementi importanti non siano stati esaminati o siano sopraggiunti in seguito. E’ necessario comunque fare ricorso per poter permanere in Italia.
Il ricorso si presenta presso il Tribunale ordinario. Il Tribunale competente è quello che ha sede nel capoluogo del distretto della Corte d’appello in cui ha sede la Commissione Territoriale.
Il ricorso sospende l’espulsione, ma le recenti modifiche normative prevedono numerose eccezioni:
chi ha avuto il diniego in seguito all’audizione alla quale non si era presentato;
il richiedente la cui domanda è stata rigettata per manifesta infondatezza;
chi è stato inviato ai CARA perché irregolarmente presente o ai CIE.
Il ricorrente può chiedere al Tribunale, contestualmente al deposito del ricorso, la sospensione del provvedimento per gravi e fondati motivi.
I termini per il ricorso previsti dalla legge sono 30 giorni. In seguito al ricorso la legge dispone che sia rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta asilo.
Per i richiedenti trattenuti in CIE o nei CARA i tempi per il ricorso sono fissati in 15 giorni.
Il ricorrente ha diritti, se sussistono i requisiti di reddito, al gratuito patrocinio a spese dello stato. Il reddito può essere autocertificato, senza ricorrere alla documentazione che di norma deve essere richiesta all’ambasciata del paese di origine.
Il ricorso può essere fatto anche in caso di provvedimento di revoca o cessazione dello status.
Il richiedente asilo può lavorare decorsi sessanta giorni dalla presentazione della domanda di protezione. Al secondo rinnovo ha diritto a un permesso di soggiorno per 6 mesi che rechi la dicitura esplicita che si tratta di permesso che consente l’attività lavorativa. Non è comunque convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
Il rifugiato e il beneficiario di protezione umanitaria possono lavorare, possono iscriversi alle liste di collocamento e fare corsi di formazione. Nel caso della stipula di un contratto di lavoro non devono stipulare il contratto di soggiorno, come esplicitato dalla nota ministeriale del 25 ottobre 2005 di chiarimento alle competenze dello Sportello Unico.
Il richiedente asilo in possesso di permesso di soggiorno e di codice fiscale numerico provvisorio (la nuova procedura è attiva con la comunicazione n. 8 del 26 luglio 2016 dell’Agenzia delle Entrate) ha l’obbligo di iscriversi al Servizio Sanitario Nazionale, che gli dà diritto, quindi, al medico di base e alle prestazioni specialistiche, senza compartecipazione alla spesa, cioè in esenzione del ticket.
Il rifugiato e il beneficiario di protezione sussidiaria hanno l’obbligo all’iscrizione al Servizio Sanitario e beneficiano delle prestazioni in compartecipazione della spesa.
La decisione in merito alle procedure di revoca e cessazione degli status è attribuita alla Commissione nazionale con sede a Roma.
La cessazione dello status di rifugiato può essere disposta se lo straniero:
si sia volontariamente avvalso di nuovo della protezione del Paese di cui ha la cittadinanza;
avendo perso la cittadinanza, l’abbia volontariamente riacquistata;
abbia acquistato la cittadinanza italiana ovvero altra cittadinanza e goda della protezione del Paese di cui ha acquistato la cittadinanza;
si sia volontariamente ristabilito nel Paese che ha lasciato o in cui non ha fatto ritorno per timore di essere perseguitato;
non possa più rinunciare alla protezione del Paese di cui ha la cittadinanza, perché sono venute meno le circostanze che hanno determinato il riconoscimento dello status di rifugiato;
se trattasi di un apolide, sia in grado di tornare nel Paese nel quale aveva la dimora abituale, perché sono venute meno le circostanze che hanno determinato il riconoscimento dello status di rifugiato.
Negli ultimi due casi, il cambiamento delle circostanze deve avere una natura non temporanea e tale da eliminare il fondato timore di persecuzioni e non devono sussistere gravi motivi umanitari che impediscono il ritorno nel Paese di origine.
La revoca dello status di rifugiato può essere disposta, su base individuale, qualora, successivamente al riconoscimento dello status di rifugiato, è accertato che:
sussistono le condizioni per il diniego dello status sulla base dei presupposti o sulla base della pericolosità per la sicurezza dello Stato;
il riconoscimento dello status di rifugiato è stato determinato, in modo esclusivo, da fatti presentati in modo erroneo o dalla loro omissione, o dal ricorso ad una falsa documentazione dei medesimi fatti.
La cessazione dello status di protezione sussidiaria può essere disposta se le circostanze che hanno indotto al riconoscimento sono venute meno o sono mutate in misura tale che la protezione non è più necessaria.
Le mutate circostanze devono avere natura così significativa e non temporanea che la persona ammessa al beneficio della protezione sussidiaria non sia più esposta al rischio effettivo di danno grave di cui all’articolo 14 e non devono sussistere gravi motivi umanitari che impediscono il ritorno nel Paese di origine.
La revoca dello status di protezione sussidiaria può essere disposta se, successivamente al riconoscimento dello status, è accertato che:
sussistono le cause di esclusione ostative all’accesso alla procedura;
il riconoscimento dello status di protezione sussidiaria è stato determinato, in modo esclusivo, da fatti presentati in modo erroneo o dalla loro omissione, o dal ricorso ad una falsa documentazione dei medesimi fatti.
In tutti questi casi l’interessato deve essere informato della procedura in corso e deve avere la possibilità di essere ascoltato in un colloquio personale.
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ARGOMENTI:
Commissioni territoriali, Diritto di asilo, Guide e strumenti asilo, Permesso di soggiorno per motivi umanitari (art. 5, co. 6, D.lgs. N. 286/98), Protezione sussidiaria, Status di rifugiato
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