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Open Arms, ancora bloccata al largo di Palermo. Le persone si gettano in mare rischiando nuovamente la vita

L'appello di Open Arms ed Emergency: “Necessario e urgente un sistema di soccorso che garantisca l’approdo rapido in un porto sicuro”

Non è la prima volta che accade e non sarà nemmeno l’ultima. Ieri mattina, mentre la nave umanitaria Open Arms attendeva istruzioni sulle modalità di sbarco davanti al porto di Palermo, 75 persone si sono gettate in acqua nel tentativo di raggiungere la costa a nuoto.
Le persone, fortunatamente, sono state tratte in salvo, recuperate dalla Guardia Costiera italiana e portate sulla nave quarantena, o nave hotspot, “Allegra”. Altre dieci persone avevano compiuto lo stesso gesto martedì, nei pressi di Porto Empedocle. E mentre scriviamo altre 48 persone si sono gettate in mare rischiando un’altra volta la vita, dopo la Libia e la traversata del Mediterraneo, per vedersi garantito un diritto.

Restano ancora sulla nave 140 persone, tra cui donne e ragazzi, nonché due bambini piccoli.

Open Arms attende di sapere quando e come i naufraghi potranno raggiungere terra.
Nella missione numero 76, sono state soccorse in tre differenti operazioni, due delle quali in acque maltesi, 276 persone.

«Le persone soccorse presentano condizioni di estrema vulnerabilità. Un gruppo, proveniente dalla terza imbarcazione, si trovava da 3 giorni alla deriva senza cibo né acqua: secondo lo staff medico di Emergency a bordo alcune delle persone salvate presentano ustioni di terzo grado, problemi di salute e sintomi da stress post traumatico dovuti alla violenza o agli abusi che hanno subito nei paesi di origine e di transito, oltre che alla dura traversata in mare».

Open Arms ed Emergency accusano Malta e chiedono all’Ue che «vengano messi a punto protocolli di ricerca e soccorso strutturali e che le autorità competenti proteggano e difendano l’integrità fisica e psichica dei naufraghi e garantiscano loro l’approdo in un porto sicuro come previsto dalle convenzioni internazionali, dal diritto del mare e dalle nostre costituzioni democratiche.

Il rifiuto reiterato da parte di Malta di assegnare un porto sicuro di sbarco e di evacuare i casi medici gravi e l’avvicinarsi di un forte temporale che rischiava di mettere a rischio la sicurezza dei naufraghi a bordo, ci ha obbligato a chiedere un punto di riparo in acque maltesi. Anche questa richiesta è stata negata senza una motivazione plausibile, cosa che ci ha costretti ieri a richiedere un riparo in acque italiane dopo 7 giorni in mare.

Tutte le persone che soccorriamo fuggono da contesti di violenza nei propri paesi di origine e rischiano la vita in mare in cerca di un futuro migliore per loro e per le proprie famiglie. Quello che vogliono è costruirsi un futuro in paesi democratici dove possano vivere in pace e sicurezza. I loro diritti umani sono stati già ripetutamente violati, la loro vita e quella dei loro cari è stata già minacciata, i traumi che hanno subito sono terribili. Per questo è necessario e urgente che vengano messi a punto protocolli di ricerca e soccorso strutturali e che le autorità competenti proteggano e difendano la loro integrità fisica e psichica e garantiscano loro l’approdo in un porto sicuro come previsto dalle Convenzioni internazionali, dal diritto del mare, e dalle nostre Costituzioni democratiche».

Rassegna stampa:
Open Arms, 75 si lanciano in mare. Altri 188 attendono lo sbarco – di Giansandro Merli, tratto da il manifesto.it del 18 settembre 2020

Redazione

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