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Primum non nocere

Riflessioni sulla nuova inchiesta della procura di Catania contro Medici senza Frontiere

Roma, Giugno 2018 - Campo informale Baobab. Eritrea, 24 anni, appena sbarcata dopo aver partorito, in Libia, il figlio di chi l’ha torturata (Photo credit: Emanuela Zampa)

Per prima cosa, non nuocere.
Quanto eseguito recentemente dalla procura di Catania nei confronti di Medici Senza Frontiere e Sos Mediterranee non è solo l’ennesimo attacco alle ONG nel Mediterraneo e l’intenzione di nuocere le organizzazioni stesse, ma anche l’espressione di un concetto gravissimo.

Una narrazione tossica e pericolosamente contagiosa, secondo la quale non ci si può fidare nemmeno più dei medici, in quanto complici di un’associazione criminale, che al fine di risparmiare quattro spicci, ma soprattutto di “diffondere le malattie portate dai migranti” nel nostro paese, avrebbe deliberatamente e dolosamente smaltito rifiuti infettivi in modo errato.

Oltre alle campagne no vax, che fortunatamente non sono ancora di stato, questo vuole ulteriormente mettere in dubbio il valore, l’affidabilità e l’integrità della professione medica, e per estensione, della scienza. Nello specifico la reputazione – e quindi il sostegno – di un’associazione che da quasi 50 anni si occupa anche del contenimento e della prevenzione di epidemie nel mondo, composta da persone che, per farlo, mettono a disposizione non solo la competenza, ma la vita, lasciando indietro famiglia e affetti, per addentrarsi nel maelstrom della sofferenza umana nel tentativo immane di prendersene cura.

Roma, Giugno 2018, Donna Eritrea (Photo credit: Emanuela Zampa)
Roma, Giugno 2018, Donna Eritrea (Photo credit: Emanuela Zampa)

Nel comunicato stampa pubblicato sul sito della Guardia di Finanza l’accento è infatti posto più volte sulla pericolosità infettiva degli indumenti indossati dai migranti e degli oggetti con cui sono entrati in contatto. Ed è lì che chi l’ha scritto ha operato una scelta, perché l’accusa è di aver smaltito erroneamente dei rifiuti, e potrebbe essere qualsiasi tipo di rifiuto speciale, ad esempio derivante dalla manutenzione della nave stessa, non di aver procurato un’epidemia che in effetti non c’è.

Portare invece l’attenzione su questo, sdogana una serie di titoli allarmanti quali “Scabbia, tubercolosi e Aids. Dai migranti bomba sanitaria” da “Il Giornale” del 21/11, come se un turista, perché ricco, perché bianco, che arriva con una nave passeggeri o un volo, non potesse essere portatore delle stesse patologie.

Il dubbio e la paura frutto di questa propaganda si possono così diffondere, infettando la mente delle persone che leggono, temono, commentano e danno ridondanza al messaggio.

Come affermò Joseph Goebbels, ministro della propaganda, in un discorso nel 1941, “La miglior propaganda è quella che penetra nella vita in maniera pressoché impercettibile”, e dovremmo tutti conoscere bene la storia di come quella persuasione occulta e capillare si fece via via più manifesta e violenta.

La cosa ancora più inquietante è che, stando a quanto riportato da “Redattore sociale“, l’accusa sta usando come prova i report degli stessi medici che prestano servizio sulle navi Aquarius e Vos Prudence.

Report nei quali, di fatto, emergono le testimonianze e le prove, sui corpi dei migranti stessi, delle disumane condizioni di detenzione nei campi libici, dove il nostro stato si impegna economicamente e politicamente a tenerli e riportarli nel caso riescano a prendere il mare, ignorando qualsiasi prova a sostegno del fatto che la Libia, non è un porto sicuro.

Attestando che alcuni di loro sono malati, si vuole avvalorare la teoria del complotto, secondo la quale le ONG sarebbero complici di facilitare la conquista dell’Europa da parte delle popolazioni africane.

Il fatto che affermare che la migrazione di popolazioni povere e malate possa trasformarsi in una minacciosa armata alla volta della conquista dei ricchi paesi europei sia un ossimoro, non viene preso in considerazione.

Come se l’inventario dell’oro estratto dalle bocche degli ebrei fosse stato usato per avvalorare la teoria della cospirazione ebraica.

Al tempo però le prove di ciò che è successo nei campi di sterminio vennero trovate e mostrate al mondo solo dopo, mentre queste persone arrivano da noi ora, portandosi addosso i segni delle torture e le conseguenze di condizioni di detenzione inumani che hanno subito.

Come la ragazza in queste foto, che ho incontrato a Roma lo scorso giugno e dai cui racconti è emerso di come fosse stata torturata e stuprata, di come avesse dovuto partorire in Libia il figlio dello stesso torturatore e attraversare il mare da sola, con un neonato di due settimane e la figlia del marito, rimasto lì. Alla fine, è venuto fuori di come le sue difficoltà ad allattare fossero dovute alle torture inferte tramite elettrocuzione, che le avevano bruciato i dotti lattiferi.

Roma, Giugno 2018, Donna Eritrea (Photo credit: Emanuela Zampa)
Roma, Giugno 2018, Donna Eritrea (Photo credit: Emanuela Zampa)

Si è lasciata fotografare dicendo: “Take a picture, Sister, ‘cause we need help”.
Sempre “Redattore sociale” riporta, dai report medici agli atti dell’inchiesta, una carrellata di note, racconti e testimonianze emerse dagli atti dell’Operazione Borderless in cui si leggono cose come: “Delle cose hanno iniziato a crescere sui nostri corpi, scoppiando, non abbiamo riconosciuto o compreso cosa fossero.
C’erano insetti e ragni su tutti i nostri vestiti che continuavamo a toglierci di dosso
” racconta Falasteen, migrante palestinese di 27 anni proveniente da Gaza e salvato il 18 ottobre 2017 dalla nave Aquarius. “Arrivammo in un magazzino-deposito vicino a Zerbo. In questo luogo c’erano già presenti 2.000 persone. Immagina 2.000 persone in 500 metri di spazio chiuso e bagni in cui nessuno poteva entrare. Gaza è mille, anzi un milione di volte meglio”. Oppure “Consegna di un bambino su una barca di legno, madre e figlio (ancora attaccati) trasferiti all’Aquarius e consegna della placenta a bordo” e così via.

Queste immagini, queste descrizioni forti vanno mostrate senza timore di disturbare le sensibilità, perché venga data pubblica e decisa testimonianza, per dovere di dare voce a chi non ne ha e per quelli a cui la si vuole togliere.

Perché se il mondo non vuole vedere la malattia che avanza, che almeno il sistema immunitario si metta in moto, unito ed il più possibile compatto. Gli anticorpi ci sono, lo si vede nella missione congiunta prontamente organizzata da Mediterranea, Sea Watch e Open Arms per continuare a monitorare gli avvenimenti e far risuonare le richieste di aiuto dalle barche in pericolo fino a che qualcuno accorre, come successo nella notte.

Lo si vede nelle decine di manifestazioni svoltesi nelle ultime settimane, in quelle che si stanno organizzando e nell’impegno di chi comprende che restare a guardare in silenzio non sia imparzialità, ma di fatto, prendere la posizione del potente che vuole schiacciare chi non ha mezzi, chi è malato, chi pensa e agisce diversamente, ed in base a questo decide di sostenere, anche con piccoli gesti, anche con poco, perché è goccia a goccia che si riempie il mare.