Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Liberazione dell'11 gennaio 2004

«Questa galera sarà la più grande» di Stefano Galieni

Nuovo Cpt per immigrati inaugurato a Isola Capo Rizzuto con toni trionfalistici

Il sito prescelto svolge già da anni una funzione ibrida: centro di accoglienza, identificazione per richiedenti asilo; roulotte e container sparsi nell’area vastissima di quello che un tempo era un aeroporto militare. All’epoca dei grandi sbarchi sulle coste ioniche, fino al 2002, soprattutto d’estate si riempiva fino all’inverosimile: fino a 1800 “ospiti”, qualcuno lo definì il ventottesimo comune della provincia. Ogni tanto nascevano tensioni, potevano dipendere dal sovraffollamento, dalla presenza di gruppi predestinati all’espulsione, dalla mala gestione che ha dominato. Allora arrivavano agenti di pubblica sicurezza che rinchiudevano i riottosi nell’unica palazzina, qualche funzionario si rifiutava di farlo ma le condizioni di emergenza giustificavano tutto. Poi le rotte degli sbarchi sono cambiate e al S. Anna ha cominciato ad affluire soprattutto chi non trovava posto in Sicilia; la gestione era affidata alla Croce Rossa Italiana.

Nei piani del ministero dell’Interno il S. Anna aveva però tutte le caratteristiche per trasformarsi in un Cpt: è così iniziata la costruzione di palazzine basse, a due passi dalla rete e dal filo spinato che chiude ogni varco, oltre la statale 106 che attraversa l’intera costa ionica. Il centro è a poche centinaia di metri dall’aeroporto civile, chi verrà rimpatriato nei charter dovrà soltanto attraversare la strada.

Ma per comprendere meglio le ragioni che hanno portato alla realizzazione del Cpt e nel contempo interpretare l’ennesimo atto di violenza sul territorio che questo rappresenta, bisogna partire da altro.

Il comune di Isola Capo Rizzuto è commissariato dal maggio scorso per infiltrazioni mafiose, da allora è amministrato da una Commissione straordinaria: 18 mesi estendibili a 24, prima di poter indire nuove elezioni, forse nel maggio 2005. Un territorio depresso anche economicamente, basti pensare che su 15mila abitanti duemila sopravvivono con il reddito minimo di inserimento. Nei nove mesi di attività la Commissione ha rilevato danni strutturali: l’acquedotto è inquinato, finita la stagione estiva è stato imposto il divieto di balneazione in mare, persino il cimitero è stato chiuso perché fuori norma. Un’area che si sta dimostrando sempre più insalubre; sono più alti rispetto alla media nazionale i tassi di mortalità e di malattie; è difficile verificarne le cause scatenanti ma certamente hanno a che fare con le condizioni ambientali. Di lavoro stabile neanche a parlarne, cova una tensione micidiale fatta di disagio sociale, assenza di prospettive e punti di riferimento. Le persone chiedono sussidi minimi mentre la vita sociale e politica è attraversata da conflittualità trasversali, ci si spartiscono le piccole e grandi fette di torta, garantendo inossidabili equilibri di potere. Il consiglio comunale, ora sciolto, ignorava persino l’esistenza di villaggi turistici spuntati in maniera tutt’altro che trasparente. Le cosche continuano a proliferare. Il S. Anna dava e dà lavoro, anche oggi che è deserto: opere di manutenzione, piccoli lavori destinati a durare pochi mesi che però garantiscono entrate. Chi controlla il S. Anna controlla una fetta di consenso che il “terzo settore” o privato sociale, laico e cattolico, si sono spartiti equamente con la realizzazione del nuovo centro.

Chi attraversa da oggi la statale 106 dopo essere sceso dal volo di linea, ha due alternative: se entra dall’ingresso a destra si ritrova nel nuovo Cpt, gestito dalle Misericordie, grazie probabilmente ad una buona parola dell’Opus Dei. Per ora potrà ospitare “solo” 150 persone ma l’ampliamento è nell’aria. Del resto per divenire il più grande deve superare i record del “Regina Pacis” di Lecce. Chissà che il vescovo della diocesi di Lecce, monsignor Ruppi, non possa fornire validi consigli al proprio collega crotonese? Non a caso al taglio del nastro era presente il sottosegretario con delega all’immigrazione, Alfredo Mantovano (fedelissimo della diocesi salentina), il quale ha tenuto a sostenere che i Cpt non sono delle carceri: «Basta visitarli per rendersene conto». E, buon per lui, ha stigmatizzato l’atteggiamento di chi, a sinistra, un tempo li proponeva e adesso ci ripensa. L’onorevole di An ha anche inaugurato la sede di una associazione antimafia dedicata al commissario Ninni Cassarà, ucciso dalla mafia nel 1985. Peccato che l’inaugurazione si sia potuta fare solo dopo il benestare del proprietario dell’edificio, un personaggio ultradiscusso.

Se invece si entra nell’ingresso di sinistra – il riferimento non è ideologico – si trova il centro di accoglienza dove operano settori di pseudo associazionismo laico. Così nessuno ha di che lamentarsi. Ci si spartisce le briciole in un’assurda guerra fra poveri. Addirittura le associazioni che si occupano di disabilità pensano più a combattersi che ad elaborare un piano comune di intervento. In un tessuto sociale che rischia di divenire esplosivo, il nuovo Cpt più che occasione di reddito e di lavoro sembra rispondere al paragone, schiettamente fatto, alcuni mesi fa da Anna Maria D’Ascenzo, prefetto che a Roma è responsabile del Dipartimento libertà civili e quindi dei Cpt.: «Sono come le discariche – ha affermato – ognuno vorrebbe che fossero realizzate in casa altrui». Le discariche, quelle più tossiche, da che è mondo, si realizzano nei luoghi che meno possono opporre resistenza. Che nell’immediato qualcuno ci guadagni è parte del tutto: basti pensare che in ognuna delle prefetture in cui viene ubicato un Cpt, i funzionari delle stesse ricevono un’indennità ulteriore che può raggiungere anche i mille euro mensili.

Qualcosa però potrebbe non andare per il verso giusto: il 31 gennaio, aderendo alla giornata europea per i diritti dei migranti, la Calabria si mobiliterà a Crotone contro questa ennesima mostruosità. Pino Commodari, segretario regionale del Prc è lapidario: «Non vogliamo che la Calabria che è ancora terra di emigrazione diventi terra di reclusione. Siamo un crocevia di popoli e terra d’incontro in cui non c’è spazio per carceri etniche ma solo per accoglienza reale».