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da Il Manifesto del 16 dicembre 2003

Stranieri sanati ma per poco di Sara Menefra

«La sanatoria bene o male è andata. Ma ora il rischio è che con i tempi e le regole previste dalla Bossi Fini la maggior parte di quelli che oggi sono regolari tornino ad essere clandestini e lavoratori in nero nell’arco del prossimo anno».
La previsione di Anna Tonioni, avvocato esperto di questioni relative all’immigrazione di Bologna, sbatte frontalmente con il quadro esaltante presentato due giorni fa dal ministero degli Interni sulla sanatoria per gli immigrati partita l’11 novembre del 2002, che hanno già fatto passare quella appena conclusa come la più grande opera di regolarizzazione della storia d’Italia.
Secondo il resoconto del Viminale, infatti, delle 705.172 domande presentate lo scorso anno, la stragrande maggioranza (650.000) sono state accolte, 25.000 sospese e solo 30.000 (il 4%) respinte. Un quadro talmente positivo da aver fatto esultare il sottosegretario Mantovano, «Siamo riusciti in poco più di un anno a completare la regolarizzazione ora possiamo cominciare a parlare di regole il più possibile certe», e gridare allo scandalo Francesco Speroni della Lega, che ha esclamato senza giri di parole: «Abbiamo dato la sanatoria a cani e porci».

Eppure, già nei prossimi mesi molti degli immigrati che oggi sono a tutti gli effetti regolari potrebbero perdere i diritti appena acquisiti. E il rischio sta prima di tutto nel meccanismo su cui si basa la Bossi Fini. Una buona fetta dei regolarizzati di oggi, infatti, ha ottenuto un permesso di 6 mesi per disoccupazione (il lasciapassare di 6 mesi è stato assegnato a tutti quelli che hanno perso il lavoro dopo aver inviato la domanda alla prefettura) e deve riuscire entro la scadenza a ottenere un contratto di lavoro regolare. Se non ci riesce, però, può presentare i redditi ottenuti durante l’anno.
«Ma se questi redditi sono frutto di lavoro nero, ovviamente non possono essere dichiarati e quindi il meccanismo su cui si era generato il grosso numero di situazioni irregolari degli anni passati rischia rapidamente di ripetersi», spiega l’avvocato Tonioni. Poi c’è il problema della casa.
Una recente ricerca curata dall’Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità) per il ministero del welfare, dimostrava che la retribuzione media degli immigrati è di 934 euro al mese, che salgono a 1000 al centro nord e scendono a 750 euro nel Lazio per arrivare a 690 euro in Sicilia. «Con un reddito così è difficile che queste persone riescano ad avere il contratto di affitto regolare che è il secondo criterio previsto dalla legge per poter presentare una richiesta di rinnovo regolare», dice l’avvocato Simone Sabattini, anche lui di Bologna.

Infine ci sono gli interminabili «tempi tecnici» degli uffici immigrazione delle questure. A Milano, ad esempio, i dati della sanatoria rispecchiano punto per punto il quadro fatto da Mantovano. Tutti i richiedenti sono stati convocati per il primo incontro con la prefettura entro lo scorso 27 novembre, 87.000 persone hanno ottenuto il permesso di soggiorno, 15.000 saranno riconvocate per un secondo incontro nei prossimi mesi e 500 sono state respinte.
«Il problema, però – dice Gabriele Messina fino all’altro ieri responsabile dell’ufficio immigrazione della Cgil e oggi con la stesso compito nei Ds – è che la stessa questura di ieri dovrà occuparsi di 250.000 persone e i tempi per ogni pratica rischiano di allungarsi a dismisura». Già oggi, infatti, ogni domanda di rinnovo ottiene una risposta non prima di 7 o 8 mesi. E in tutto questo periodo il richiedente ha come unico documento il «cedolino» della domanda, che non consente di rientrare in Italia una volta espatriati, non è valido per ottenere una tessera sanitaria o per iscrivere i figli a scuola e non basta nemmeno per ottenere un nuovo lavoro se mentre attendi la risposta della questura perdi il lavoro e vuoi cercarne un altro.
«Abbiamo avuto un caso di questo tipo alcuni giorni fa – dice Roberto Morgantini della Cgil Immigrati di Bologna – la cooperativa che fa le pulizie in un’importante ospedale della città ha perso l’appalto. Quella che è subentrata ha garantito che tutti i dipendenti sarebbero stati assorbiti. Ma un immigrato in attesa di permesso di soggiorno è rimasto fuori». Secondo la legge Bossi Fini, infatti, solo gli immigrati in possesso di permesso di lavoro regolare possono essere assunti senza rischi per il datore di lavoro.

La prova del nove partirà nei prossimi mesi, quando i call center di prefetture e questure chiuderanno e la legge andrà finalmente a regime.