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tratto da Carta.org

Samir è arrivato a Nizza. Con il treno della dignità

di Sarah di Nella

Samir è seduto in uno scompartimento del treno delle 21,30 che il 16 aprile è partito da Napoli diretto a Torino. Insieme a lui ci sono altre cinque persone. Sono tutti cittadini tunisini usciti dal campo di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta. Dove, raccontano con orgoglio, dopo una giornata di sciopero della fame, hanno ottenuto il rilascio immediato del permesso di soggiorno temporaneo «per motivi umanitari» e del titolo di viaggio, un libretto verde che ha tutta l’aria di essere un passaporto. Con questi documenti si apprestano a lasciare l’Italia. Ma l’impresa è tutto altro che facile. È vero che possono viaggiare senza problemi, ma molti di loro non hanno un soldo in tasca e il biglietto, per salire su un treno, ci vuole. Trenitalia non intende derogare a questa regola ferrea e con il supporto della polizia ferroviaria (non troppo convinta, per la verità) ha deciso di far scendere i tunisini senza biglietto durante il viaggio.

È quello che hanno scoperto gli attivisti della campagna Welcome, saliti a Roma e diretti in Francia, per dare vita al primo «Treno della dignità». Alcuni di loro tornano da Lampedusa, altri dalla Tunisia. L’obiettivo questa volta è verificare che i cittadini tunisini riescano a varcare il confine, e in caso contrario provare a infrangere il muro che il presidente Nicolas Sarkozy ha eretto, almeno a parole, tra i due paesi. Da giorni è in corso una serrata partita di ping pong tra l’esecutivo francese e quello italiano: una gara per non deludere i fautori della retorica della sicurezza, gli uni sospendendo Schengen, gli altri spingendo verso l’uscita – anche a costo di regolarizzarli per sei mesi – i migranti appena arrivati.
Dopo il passaggio della Polfer nello scompartimento, qualcuno prova a nascondersi, altri no. Vogliono restare insieme. Anche a costo di aspettare un altro treno. Il tentativo di negoziare un biglietto collettivo per quelli che non ce l’hanno è fallito. Una signora tunisina alza la voce e dice che nessuno scenderà, mentre altri passeggeri se la prendono con i migranti. A Civitavecchia, nonostante la ferma e pacifica resistenza opposta da tunisini e attivisti agli agenti della Polfer, in cinque sono costretti a scendere.

Samir è rimasto da solo. Un biglietto fino a Genova è venuto fuori all’ultimo. Trovato. Lui non voleva andare fino a Torino, ma proprio nel capoluogo ligure per poi continuare fino a Nizza dove vive la sua famiglia da sei anni. Madre, padre e tre fratelli. Quando hanno lasciato Douz, alle porte del Sahara, lui aveva già 23 anni, e non c’è stato nulla da fare per ottenere un ricongiungimento familiare. Così, non ha avuto altra scelta ed è rimasto. Faceva l’autista. Un mese fa ha lasciato il suo paese alla volta di Lampedusa dove è rimasto una quindicina di giorni. Altrettanti a Santa Maria Capua Vetere. Restato solo, decide di proseguire il viaggio e unirsi al treno della dignità a Genova.
Nonostante le minacce, la Polfer non interviene più, il viaggio prosegue senza intralci (e senza biglietto) fino a Genova. Si diffonde la voce della partenza di un treno «protetto» alle 9. Appuntamento alle 8 davanti alla stazione. Lì, ad aspettare ci sono gli attivisti romani e genovesi, centri sociali e associazioni. Dopo la colletta per il biglietto, si raggiunge il binario dove ci sono molti fotografi e giornalisti. Lungo il tragitto salgono altri manifestanti, a Imperia quelli della Talpa e l’orologio.

Dopo la tensione del viaggio fino a qui, i tunisini si rilassano. Sono molto giovani, la maggior parte non arriva ai trenta. Qualcuno ha diciotto anni da poco. Hamidehg Salah fa vedere sul telefonino il video del suo viaggio. È stato montato ed è accompagnato da una musica araba. Lui, originario di un paesino chiamato Matmata, ha lasciato Gabes un mese fa. Non era al suo primo tentativo. Altre due volte il motore si è guastato, per fortuna hanno potuto dare l’allarme in tempo e sono stati scortati fino alla costa dai militari tunisini. Il viaggio però era pagato ed è stato necessario rimettere insieme il migliaio di euro che costa la traversata. «Voglio leggere, mangiare e dormire», dice Salah pensando alla sua vita una volta in Francia.
C’era anche Mohamed Arfu sul barcone che li ha portati a Lampedusa insieme ad altre 300 persone. È salito sul treno della dignità a Savona, insieme ad altri che erano stati fatti scendere da un intercity diretto a Milano. Scoppiano risate, si conoscono tutti perché sono stati insieme nel campo del casertano. Lui, fino a quattro settimane prima, lavorava a Tunisi, per un’azienda. A 23 anni, faceva l’idraulico e montava riscaldamenti già da otto anni, per circa duecento euro al mese. Ha partecipato alle manifestazioni contro Ben Ali, cacciato dal potere lo scorso 14 gennaio dalla Rivoluzione dei Gelsomini. Secondo lui però c’è poco da fare per il paese dove il 24 luglio si voterà per eleggere l’Assemblea costituente. «La situazione è troppo difficile. Non ci sono soldi, c’è solo disoccupazione. E tanta corruzione. Ben Ali è in Arabia Saudita, la moglie, Leila Trebelsi è a Tripoli. Io vado in Francia, non c’è alternativa». «Ci vorranno – aggiunge Salah ridendo – almeno trecento anni perché la situazione possa cambiare. Sono un po’ troppi per noi».

Verso l’una, il treno arriva alla stazione di Ventimiglia. Nella piazza antistante ci sono tunisini e manifestanti provenienti dal Veneto, dall’Emilia Romagna, dalle Marche, da Roma, dalla Francia. Si sparge la notizia che il traffico ferroviario verso la Francia è sospeso, il treno della dignità non può partire. Secondo il ministero dell’interno francese, la decisione è stata presa «su richiesta del prefetto delle Alpi-Maritime, a causa degli evidenti rischi di disordini». Parte un corteo improvvisato per andare a fare una conferenza stampa davanti al consolato francese, ma la strada è immediatamente bloccata da due furgoni della polizia. Un centinaio di agenti in tenuta antisommossa bloccano la via a metà. Di fronte al divieto di raggiungere il consolato francese, anche solo in delegazione, i tunisini prendono i megafoni e intonano i canti e i cori dei giorni della rivoluzione: «Liberté» e «horrya» (libertà in arabo). La tensione sale, poi si allenta. Molti si siedono.
Nell’attesa di capire come e quando varcare la frontiera, si moltiplicano le domande. «Sarà valido il permesso rilasciato dalle autorità italiane anche negli altri paesi europei?», si chiedono in molti, nessuno sa bene cosa rispondere. Fouad Hamza riassume così la situazione, mutuando lo slogan intonato qualche mese fa nel proprio paese: «Sarkozy dégage! Basta aspettare fino alle prossime elezioni, nel 2012», aggiunge Hamza. Guarda i manifestanti con sollievo: «Ci sono molti rischi, molti problemi. È importante che ci siano degli italiani per aiutarci, quando verranno in Tunisia faremo lo stesso. Come stiamo facendo per chi esce dalla Libia». Hamza ha 24 anni. Viene da Zarzis e da lì si è imbarcato. Dopo otto giorni a Lampedusa è stato trasferito a Taranto dove è rimasto solo un giorno. La tappa successiva è stata Bari, poi Milano e infine Ventimiglia, dov’è riuscito a ottenere un permesso temporaneo. «Nel mio paese facevo l’operaio, lavoravo un giorno e dormivo gli altri 29. Non c’è lavoro.
Mi fermerò laddove lo trovo. Ho provato a passare in Francia dalla montagna ma sono stato fermato e riaccompagnato a Ventimiglia. Cerchiamo solo la libertà, in tutti i sensi». Ben Mansour Sadek è stato più fortunato. È riuscito ad arrivare fino a Strasburgo in treno – con il biglietto pagato è tutto più facile – passando, dopo Lampedusa, per Bari e Ventimiglia. Lì però la gendarmerie l’ha fermato. Con un foglio di via in mano è tornato a Ventimiglia, dove ha ottenuto un permesso temporaneo che esibisce incredulo.

Per superare lo stallo, i manifestanti indietreggiano e rientrano nella stazione, dove al grido di «Siamo tutti clandestini» invadono i binari. Dopo qualche centinaio di metri, il corteo si ferma, anche se alcuni tunisini gridano «Andiamo, andiamo», guardando verso la Francia. Quando, dopo una breve trattativa, viene garantita l’accoglienza dei migranti che lo vorranno nel centro allestito dalla città e la certezza che non ci saranno conseguenze legali, i binari vengono liberati. Rimane un presidio per verificare che l’accompagnamento verso il centro si svolga senza problemi.
Samir e Salah, seduti di fronte alla stazione, sono un po’ stanchi ma non sono scoraggiati. Verso le 19, appena è stato ripristinato il traffico verso la Francia, sono saliti su un treno. Direzione Nizza. Ed è da lì che ci arriva la loro chiamata, verso le 23. Domani finalmente mangeranno il couscous.