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Chiudere Riace? Non se ne parla

Tiziana Barillà, Il Salto - 7 agosto 2018

Riace, martedì 7 agosto. Il festival è finito, il fitto via vai per i vicoli e la fila al bar anche. Quello che rimane, al risveglio, sono Mimmo Lucano e alcuni operatori davanti alla taverna Donna Rosa, in sciopero della fame. È il sesto giorno del “digiuno di giustizia” del sindaco di Riace. Da sei giorni combatte con la morsa nello stomaco e con gli inviti di tanti di noi a interrompere questo sciopero. Siamo tutti preoccupati qui a Riace, sindaco incluso. Preoccupati per la salute di Mimmo e per il presente dei suoi concittadini, figuriamoci per il futuro.

Sono stati giorni emozionanti quelli del Riace in fest. In migliaia hanno affrontato il viaggio della speranza per arrivare fin qui. Qui, ai piedi dell’Aspromonte. Ci siamo abbracciati, ci siamo emozionati, abbiamo persino pianto di gioia e di rabbia. Tra le migliaia è arrivata fin qui Ada Colau, sindaca di Barcellona e donna autentica venuta a portare solidarietà ma anche a imparare – ha detto – da un piccolo paese che ha tanto da insegnare a questa sporca Europa. È arrivato il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, per tuonare che «Mimmo Lucano non è solo». E lo ha detto davanti a un anfiteatro gremito di gente e di cuori spalancati.

Siamo venuti tutti qui, come ogni anno. Forse quest’anno siamo stati anche più del solito. Bisogna essere in tanti quando l’attacco alla democrazia e all’umanità arriva dalle istituzioni. No, non è un’espressione eccessiva. Il Comune di Riace, negli ultimi mesi, ha accumulato un ingente debito con il personale, con i fornitori e con gli stessi rifugiati. Da settembre 2016 il prefetto di Reggio Calabria si rifiuta di trasferire i fondi relativi all’accoglienza straordinaria. Riace è poi stata esclusa dal saldo luglio-dicembre 2017 (circa 650.000 euro) e per il 2018 non è compresa tra gli enti beneficiari del finanziamento del primo semestre.

Li stanno affamando, i riacesi. Nessuna comunicazione ufficiale ha proclamato la chiusura dei progetti, non ancora. Ma di fatto il progetto è ormai minato nella sua solidità economica e finanziaria. Qui si punta con evidenza e sfacciataggine a fomentare la guerra tra poveri, ad alimentare il senso della fine, dell’impossibile. A punire una comunità che da 20 anni dice alla Calabria, all’Italia e all’Europa che è possibile. E che «se è possibile qui a Riace, allora è possibile ovunque». Parole di Mimmo Lucano.

Se l’esperienza di Riace finisse andrebbero in strada 165 rifugiati – tra cui almeno 50 bambini – e circa 80 operatori perderebbero il lavoro. Se davvero Riace chiudesse i battenti cadrebbero pure le belle speranza di chi, come chi scrive, ha trovato qui il luogo della rigenerazione politica di una precisa parte politica . Personalmente, questo sogno proletario e di uguaglianza ho avuto l’onore di raccontarlo. L’ultima cosa che avrei voluto era cristallizzare un’esperienza per consegnarla ai posteri. Guardandola adesso sgretolarsi sotto i colpi e l’indifferenza delle istituzioni.

È dura in queste ore sostenere lo sguardo spento di Mimmo Lucano, durissima. La sfida, l’ennesima di questi anni, è aperta. Dopo anni passati dietro il coraggio di Mimmo Lucano e della sua comunità, stavolta tocca a noi sostenere Mimì e Riace. Questa volta bisogna venire avanti. Perché se l’Italia – una certa Italia – ha deciso di escludere Riace, vuol dire che è il turno della solidarietà internazionale. Se il governo attacca Riace, noi possiamo difenderla. Insieme.

Recosol, la Rete dei Comuni solidali ha aperto una raccolta fondi per sostenere Riace nel momento più difficile del suo percorso. L’Iban è questo: IT92R0501801000000000179515. Quell’odiato denaro con il quale oggi si prova a mettere in Ginocchio il nostro sogno, può essere la nostra via d’uscita.