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Con i migranti, sul “cammino della speranza”, tra Italia e Francia

di Émilien Urbach, l'Humanité.fr dell'8 giugno 2015

Foto: Frederic Lafargue
Foto: Frederic Lafargue

Inviato speciale.

Prima ancora di essere sfollati gli accampamenti di Calais o quello recentemente smantellato di La Chapelle, a Parigi, i migranti sopravvissuti alle traversate nel Mediterraneo devono passare la frontiera franco-italiana.

La maggior parte di loro cerca di farcela prendendo i treni che collegano Ventimiglia a Mentone. Ad ogni fermata, alla stazione di Garavan, prima stazione francese, o di Mentone, una decina di CRS, corpo speciale della gendarmeria nazionale, irrompe nei vagoni per tirare fuori qualche richiedente asilo e rispedirlo manu militari alla frontiera.

Le strade di Mentone sono diventate teatro di un via vai incessante di volanti della polizia tra la stazione frontaliera di Pont Saint-Louis e le due stazioni ferroviarie. “I treni più lunghi sono controllati alla stazione centrale, spiega un ferroviere SNFC, compagnia ferroviaria nazionale, in servizio alla stazione di Mentone. Per noi quello che conta è il biglietto ferroviario. Che chi viaggia sia clandestino o no, riguarda la polizia. Non noi.”.

Alle 19e26, martedì 2 Giugno, il Milano-Marsiglia fa la sua prima fermata in Francia. Una decina di CRS si piazzano davanti alle porte. Salgono. Poco dopo, in fondo alla banchina, Abdallah, Hamed e Abdou scendono scortati da due poliziotti. Li conducono subito in una stanza dell’edificio che comunica con l’esterno.

Un’auto civetta parcheggia davanti all’uscita. Abdallah, Hamed e Abdou sono invitati a salire e vengono portati all’ufficio della polizia di frontiera a una ventina di metri dal territorio italiano. Non passano neanche cinque minuti. Un poliziotto apre la porta dell’ufficio e con un gesto stizzito indica ai tre giovani Eritrei la direzione per Ventimiglia.

Foto: Frederic Lafargue
Foto: Frederic Lafargue

Non ci hanno domandato nulla” racconta Abdallah. “Non sapevano parlare inglese. Siamo rimasti seduti su una panca e poi ci hanno fatto uscire”. Nessun controllo di identità. Nessuna formalità amministrativa. Qui, a Mentone, minori o no, richiedenti asilo o meno, i migranti vengono espulsi illegalmente violando le convenzioni internazionali sul non-respingimento dei rifugiati e sui diritti dei minori.

Si tratta di riammissione in italia”, tenta di giustificare un ufficiale. Ma, dall’altra parte della frontiera, nessun doganiere italiano è presente per dichiarare questo rientro.
Diverse decine di migranti, ogni giorno, vanno incontro a questo destino. A cinquanta metri di distanza, nascosti nella macchia a ridosso della strada che costeggia la Riviera, Zara, suo fratello e sua cognata, arrivati anche loro dall’Eritrea, si sono seduti in mezzo a un sentiero polveroso disseminato di valigie e borse abbandonate.

Avevamo un biglietto Ventimiglia-Nizza”, dice sorridendo la ragazza di vent’anni. “Ce l’hanno confiscato e ci hanno detto di andar via. Non hanno voluto sapere se avevamo intenzione di chiedere asilo. Aspettiamo la notte per tentare di passare a piedi sul sentiero.”

Dopo essere stati respinti in territorio italiano, la maggior parte dei migranti tenta di andarsene via in altri modi. Alcuni raggiungono Ventimiglia per tentare ancora la fortuna prendendo il treno. Altri vanno a Milano sperando poi di passare la frontiera austriaca. E ci sono quelli che provano a passare a piedi seguendo i sentieri delle camminate.

Foto: Frederic Lafargue
Foto: Frederic Lafargue

È la seconda volta che mi faccio arrestare sul treno“, racconta esasperato Abdoul Hai, un Afgano di sedici anni. Ci hanno detto “No Francia”. Il giovane minore, qui da solo, osserva preoccupato la Giraude. Una massa rocciosa, a forma di torre, si eleva sulla cresta montagnosa che finisce a picco sul mare alla frontiera franco-italiana. “Questa sera, proverò a passare dalla montagna”, si convince il ragazzo mimando l’arrampicata in montagna.

Martedì, gli elicotteri della gendarmerie sorvolano la Giraude ogni ora. Partendo da Grimaldi, ultimo paese italiano prima della frontiera, un sentiero porta in cima alla montagna e scende su Mentone attorniando la torre rocciosa. Lo chiamano “Passo della Morte”. Una volta superata la barriera di filo spinato che delimita ancora la frontiera, bisogna andare a destra. Se si va dritto, si precipita nel vuoto. Sono numerosi gli aspiranti alla richiesta di asilo che, riusciti a passare, sono morti dopo qualche metro.

Tre mesi fa gli elicotteri sono venuti per salvare un Sudanese aggrappato alla parete” racconta Enzo Barnaba, un abitante di Grimaldi ben informato sulle questioni legate all’immigrazione. Questo storico sta correggendo l’ultima versione della sua pubblicazione consacrata al massacro di decine d’immigrati italiani, ad Aigues-Mortes, in Camarague nel 1893. Dice: “Gli antifascisti italiani, gli ebrei che fuggivano le leggi razziali di Mussolini nel 1938, gli Jugoslavi negli anni 1990 e, nel 2011, i Tunisini durante le Primavere Arabe… in tutti i tempi, il Passo della Morte è stato attraversato dai migranti”.

Foto: Frederic Lafargue
Foto: Frederic Lafargue

A febbraio, la Società Operaia del Mutuo Soccorso di Grimaldi e l’Association Randonneurs du pays (associazione dei gitanti appassionati di camminate nei dintorni di Mentone ndt.) hanno cominciato a ripulire il sentiero e di sistemare la segnalazione per assicurare i riferimenti necessari ai camminatori. Ad aprile, le due associazioni hanno organizzato un “pic-nic dell’amicizia” e rinominato il cammino storico “Sentiero della Speranza”.

Oggi sollecitano le amministrazioni locali, da entrambi i lati della frontiera, ad apporre “un pannello nel punto dove il sentiero passa la frontiera che ricordi a chi passa di là le sofferenze subite in questi luoghi”.
Abdallah, Hamed et Abdou provano a farcela passando per la montagna.

La storia prosegue in suo corso. 20:30 circa, Abdallah, Hamed e Abdou, respinti alla stazione di Mentone, provano a farcela passando per la montagna. Bisogna incamminarsi prima che cali la notte per non correre il rischio di cadere nei punti dove il sentieri profila il precipizio roccioso. Camminano veloci, si fermano poco e scalano la montagna in mezzo ai ginepri e agli arbusti di rosmarino e timo selvatici. Poco prima di arrivare al punto più ripido, un riparo, il rudere della Capanna Gina a strapiombo sul sentiero.

All’interno, i graffiti raccontano l’esilio. Si leggono nomi e date: “2004 Libia”, “George Galati 29.08.97 Romania”, “Silvia Saki 2015”… più distante, in arabo, si descrivono gli itinerari e, in cirillico, “Nicolas 1992”… tracciato a carbone su muri ingialliti c’è anche il disegno, a lettere nere: “Morte a chi passa!”. E più in basso, inciso sull’intonaco: “Menton” e una freccia che indica la direzione. “Queste case servivano ai migranti come riparo in attesa del momento giusto per salire”, spiega Enzo.

Foto: Frederic Lafargue
Foto: Frederic Lafargue

I nostri tre giovani Eritrei non si fermano qui. Si arrampicano, a passo veloce verso la speranza. Le magliette impregnate dal sudore quando finalmente raggiungono, a quasi 1000 metri di quota, il filo spinato. Ma i loro occhi brillano guardando in basso le luci di Mentone. Sembra quasi di vederli giocare a una sorta di caccia al tesoro in cerca, a turno, delle tracce lasciate dai fili rossi e bianchi attaccati ai cespugli. Passata la frontiera, tirano il fiato seduti sul tronco di un pino caduto e osservano la Francia dall’alto. Mentone, Monaco, e in lontananza, il colletto della Regina, la costa di Nizza…

In Francia, le lucciole illuminano la notte mentre sono nascosti in un fosso dove scorre un piccolo corso d’acqua, le Fossan, a un’ora di cammino dal Sentiero della speranza. “Sono partito dall’Eritrea da sei anni“, dice Abdallah. “Ho vissuto cinque anni nel campo profughi di Mahaini, in Etiopia, e poi sei mesi in Sudan, a Khartoum. Ho attraversato la Libia in due mesi, dove ho pagato 2.000 dollari per un passaggio in barca“.

Il giovane di ventotto anni è arrivato a Lampedusa da soli 20 giorni. Prima ha tentato di andare in Austria. “Ma volevano prenderci le impronte digitali” continua. “Ho rifiutato e mi hanno mandato indietro. Prima, ho incontrato Hamed e Abdou a Roma. Allora abbiamo deciso di prendere un treno da Milano fino a Nizza. Non potevamo restare in Italia. La polizia è molto violenta. Colpiscono con i manganelli e utilizzano dei bastoni elettrificati per farci fuggire”.

Foto: Frederic Lafargue
Foto: Frederic Lafargue

I tre giovani ragazzi vogliono prendere un biglietto per Parigi.
Dopo poco più di un’ora, i tre uomini, guidati da un volontario di Mentone, si ritrovano alla stazione di Nizza. Hanno intenzione di prendere un biglietto per Parigi. Il giorno prima, allo stesso posto, erano una sessantina: eritrei, sudanesi, afghani sono riusciti a partire. Ruth, incontrata a Ventimiglia la mattina, era salita su un treno che non è stato controllato. Senza mai perdere il sorriso, ci ha raccontato la storia del suo esilio… suo figlio di quattro anni è morto in Sudan.
Qualcuno in Sicilia mi ha dato dei vestiti e un po’ di soldi, ha detto la ragazza. Ho potuto acquistare i biglietti del treno fino a qui. Avevo perso tutto alla frontiera del Sudan“.
Questi atti di solidarietà non sono rari. A Nizza, quella notte, tre persone arrivano spontaneamente a offrire pane e panini. Mentre le associazioni distribuiscono sacchi a pelo e cibo. La Cimade riempie moduli e chiedono agli agenti SNCF di agevolare il viaggio dei richiedenti asilo a Parigi.

Lo sguardo sul migranti sta cambiando” insiste Teresa Maffeis, attivista RESF (Réseau Education Sans Frontières N.d.T.) e fondatrice, a Nizza, dell’Associazione per la democrazia. “Certo, ci sono insulti razzisti, le dichiarazioni di Estrosi e di Ciotti (rappresentanti del governo e dei partiti, ndt.). Ma gli atti di solidarietà aumentano“.
Anche in Italia. “Con la cooperativa e l’associazione Caritas, quest’anno, abbiamo distribuito 700 kg di prodotti alimentari a Ventimiglia” dice Giuseppe Fama, membro della Arci e fondatore della Coop Liguria, una cooperativa (società nazionale, ndt.) di produttori e consumatori. “In tutto, abbiamo donato una trentina di tonnellate di cibo in tutta la Liguria. Agli italiani poveri, come ai immigrati, perché la povertà non ha patria.

La mobilitazione è più difficile rispetto al 2011, per i Tunisini della primavera araba. La forte repressione della polizia, all’epoca, ha lasciato tracce. Le persone sono ora riluttanti a mobilitarsi, ma la solidarietà continua a organizzarsi”.

A Nizza è mezzanotte, martedì. Abdallah, Hamed e Abdou si informano sugli orari per Parigi e prendono i contatti utili con delle organizzazioni che potranno accompagnarli per la richiesta di asilo. Finalmente, si ritrovano con la trentina di migranti che, di fronte alla stazione, dormono in terra sognando l’avvenire.